Tuesday, April 30, 2013

30 aprile: di maggio il primo, saluti agli assenti.

E va bene dai, scriviamo un post…...
Tutta una serie di cose per la testa, mai vorrei che mi saltasse per aria: potrebbi anche forse farmi male. C’è da dire innanzitutto che… beh, sì, Pechino è per me paradiso, toccasana, tocco di serenità, libertà, trasgressione, cassa integrazione. Però certò (con l’accento) Pechino senza quel numero di persone per me così importanti, insomma, perde un po’'… soprattutto domani che è il primo di maggio, festa internazionale degli oppressi, che qui a Pechino solevo celebrare con amici, compagni e studenti ai festival di musica. Pechino senza Yu, Lavinia, Seva e compagnia cantante e ballerina è Pechino solo a
metà. Grande soddisfazione anyway, ma un po’ monca. Le persone che la Cina me l’hanno insegnata e fatte digerire, cagare dalla bocca saltando la pizzica in piazza Tian’anmen. A loro dedico questo post postmoderno. E grazie de core.


27 aprile: il comunismo di Letta.

Simpatizzo col marxismo, ma non sono un comunista e anzi mi definisco un anarchico. Però, come giustamente faceva notare Blob nella puntata del 25 aprile, in Italia nel 1976 il Partito comunista prese quasi tredici milioni di voti alle elezioni politiche, il 34,37 % del totale. Neanche nella Russia di Breznev o nella Cuba di Castro i partiti comunisti avrebbero preso così tanto. E il 13 giugno del 1984 a Roma c’era mezzo milione di persone a salutare col pugno chiuso il grande compagno Enrico. Oggi invece i nipotini di Berlinguer hanno Letta. Letta, Cristo! Letta!

Monday, April 29, 2013

26 aprile: Viva Stalin!

Ebbene. Così, modestamente, di nuovo a Pechino. Così oggi, sgarbatamente, me ne sono andato a Pechino ovest. La linea rossa della metropolitana è la prima costruita a Pechino. Segue tutta la lunga via Chang’an, la stessa dove il boia macellaio Li Peng mandò i carri armati a massacrare studenti e lavoratori in quel giugno dell’89. Questa linea metropolitana c’era già quando qui venni per la prima volta nel lontano 2004. I treni sono ancora gli stessi, così i binari, le mura e il fascino realista delle mattonelle. L’ultima fermata a ovest è Pingguoyuan. Estrema periferia occidentale, massima espressione del socialismo russo. Non baraccopoli ma soviet. Tutto il potere ai soviet. E se le pellicole di Sergej Ejzenstejn ti mettono di buon umore, se ti divertono i film di Aki Kaurismaki, se ti senti allegro passeggiando nelle strade di Pyongyang, se trovi troppo “occidentali” le periferie di Bucarest o Sarajevo, se ti è venuto da ridere nella zona industriale fuori Novosibirsk, allora vieni con me che ti porto a Pechino ovest. Io ti porto verso Pingguoyuan, ti porto a Wukesong, ti porto a Gucheng. Vieni con me che ti faccio ridere io. Qui dove il tempo è fermo al 1949, qui non ci sono persone ma solo “compagni lavoratori”. Qui la gente non parla, abbaia. Nelle loro vene scorre sangue mongolo, mancese, khitano. Sono alti di statura, robusti di corporatura, i capelli lunghi e neri come la pece. Per colazione si riempiono lo stomaco di grappa cinese, mangiano solo spaghetti in brodo e pannocchie di mais. Qui il riso è un vizio meridionale. Qui ai cani mettono di nome “Iosif Jughasvili”. Qui il partito è unico, così come il sindacato, e ti iscrivono per legge al compimento del tredicesimo anno di età. Qui al battesimo ti tatuano falce e martello sul petto. Qui il colore è vietato, i sorrisi vengono estradati in Canada, le uniformi le fabbricano in Corea del Nord. Qui coi preti ci fanno il sapone, coi fascisti il minestrone alle verdure. Qui le facce sono nere di fatica, il saluto si fa col pugno chiuso. Qui se ti beccano a cantare ti tagliano la lingua e ti chiedono di cantare di nuovo. Qui se ti trovano dei soldi in tasca ti spezzano le braccia perché significa che non hai bisogno di lavorare. Qui se ti pizzicano a chiedere l’elemosina ti mettono un martello in mano e ti mandano a faticare a calci in culo. Qui se incontrano un soldato il kalashnikov glielo fanno inghiottire. Qui il sindaco di mestiere pulisce le scarpe ai ferrovieri. Qui al funzionario corrotto lo danno in pasto ai maiali. Qui all’ultimo imprenditore straniero l’hanno fatto saltare in aria assieme alla Ferrari con la quale era venuto. Qui sanno bene che democrazia è il fucile in spalla all’operaio e in fabbrica vanno armati, perché se incontrano un imperialista yankee mica si possono far trovare impreparati. Qui l’umorismo è punito con la pena capitale. Qui Ho Chi Minh è considerato un conservatore il cui nome è sul libro paga della CIA, i trotziskisti li prendono per reazionari di destra, ai gramsciani li appendono a testa in giù.  Qui l’imbarazzo è solo “un residuato dell’ideologia borghese”. Qui se ti vedono con gli occhiali ti sparano in testa come nelle strade di Phnom Penh nella Cambogia di Pol Pot. Qui ogni primo di maggio danno fuoco alla città, a confronto il capodanno napoletano è una noia mortale. Qui quando un operaio muore sul lavoro impiccano immediatamente il titolare della ditta e tutta la famiglia fino al quinto grado di parentela. Qui i canali sono in secca e i pesci in sciopero. Qui lo sciopero non è solo generale ma anche permanente. Qui i palazzoni proto-sovietici privi di qualsiasi anima sembrano gridare ai passanti “Intellettuali al muro, potere ai lavoratori!”.

Stalin vive. Viva Stalin!

 

 

Sunday, April 28, 2013

26 aprile: Pechino cazzo, Pechino

All’idea di gettarmi nel vuoto non temo tanto lo schianto a terra, mi terrorizza più che altro il fatto di rimbalzare sulle pareti del grattacielo, come un manichino riempito di paglia. Quelle orribili immagini di palazzi in fiamme e gente che si butta, disperata, nel vuoto. Come quel giorno dell’11 settembre. Il settembre bianconero dell’Ascoli Calcio. E i cori della Maceratese urlati a squarciagola tra gli hutong di Pechino. Sì, cazzo, Pechino. Parola di qualità e qualità della vita. Tra gli hutong. Una Yanjing nella mano destra e una Zhongnanhai in quella sinistra. Sempre a sinistra. Evviva il 25 di aprile! Evviva la liberazione! Se il lavoro in una società capitalista è pura prostituzione allora il rifiuto del lavoro in una società capitalista è pura masturbazione. Puro egocentrismo. Puro narcisismo. La convinzione di poter fare a meno degli altri. Per gli hutong di Pechino. Cantando, si diceva, cori della Maceratese a squarciagola. Il terzo pacchetto di sigarette all’interno delle stesse ventiquattro ore sembra però un’esagerazione. Labbra come attore protagonista. Tutto un fatto di labbra: labbra-bottiglia, labbra-sigaretta, labbra-labbra. Labbra. Lebbra.

Questo eterno conflitto tra la psicologia femminile e la paura di te stesso.

Estaba muy claro, no!?

Pechino cazzo, Pechino.

p.s. Se in Cina si parla solo di matrimonio e prole, in occidente la promiscuità è l’ultimo baluardo dell’amore romantico. Che culo.

 

 

Saturday, April 27, 2013

24 aprile: Canton (seconda parte)

Questa volta sono venuto a Canton per incontrare un docente cinese della Normale e due nostre studentesse irlandesi che lì stanno completando un periodo di studio e tirocinio. Arrivo alla stazione orientale di Canton praticamente sfinito, dopo diciassette (pensavo fossero undici, erano invece diciassette) ore di treno seduto. Caviglie gonfie e stordimento di testa dovuto alle mancate ore di sonno. Ma la brutta notizia è un’'altra: non ho più batteria nel cellulare e neanche nel portatile, quindi non so come contattare né le persone in università né l’amico tedesco da cui dovrei passare le mie due notti. A Canton fa un caldo afoso bestia, io faccio schifo dalla punta delle scarpe alla pelata in testa, ma non posso fare altro che caricarmi i venticinque chili di bagaglio e raggiungere l’università, nella speranza di trovare l’ufficio del docente. Sono impresentabile, ma mi va di culo, trovo l’ufficio e anche il docente, che per fortuna mi liquida subito con un invito a cena per il tardo pomeriggio. E andiamo! Trovo un centro internet, dove riesco di nascosto a ricaricare il portatile, mentre il cellulare sembra proprio morto del tutto. Tramite Skype e qualche giro tra le e-mail cestinate trovo i numeri di telefono di F. (il tipo tedesco) e delle studentesse. Alla grandissima: non ho che da caricarmi i venticinque chili di valigia e andare a casa di F. Trenta minuti di metropolitana e altri trenta a piedi, nel campus di un'’altra università, la Sun Yat-sen di Canton. Anche qui, uno dei campus più belli mai visti, enorme e immerso nel verde della vegetazione tropicale, antichi edifici nascosti in una densa foresta, statue del grande statista cinese che dà il nome all’università, laghetti e religioso silenzio. Il tempo di posare la valigia a casa di F., un lungo abbraccio, una birretta fresca e via di nuovo per l’'appuntamento nell’'altra università. Le studentesse mi accolgono solari, facciamo una lunga passeggiata, mi raccontano di questa loro prima esperienza in Cina, del tutto positiva nonostante le varie difficoltà che ben conosco: mi ritrovo in pieno nei loro commenti e sensazioni, quando lo studente per la prima volta in Cina ero io. Poi tutti a cena, nel ristorante dei docenti.
Terminato il lauto pasto e le discussioni che avevo da fare, saluto tutti e me ne vado finalmente a fare due passi per Canton. Caso ha voluto che l'’università fosse proprio a cinquecento metri dall’appartamento dove vivevo io quasi sette anni fa. Un quartiere parecchio cambiato, nuovi palazzi, strade allargate, e i sempre presenti “lavori in corso”. Una grigia e afosa metropoli di tredici milioni di persone, con un sistema metropolitano efficientissimo, così come a Shanghai. Mi do appuntamento con F. e andiamo in locale a sentire un concerto jazz e farci due chiacchiere. Il locale è vuoto, i drink costano come in Irlanda, ma la musica non è male e io sono talmente stanco che stacco il cervello e mi godo la serata. Ce ne andiamo poi in una specie di ristorantino lì vicino.
Mi ritrovo a bere birra Carlsberg, mangiare una pizza pomodoro e mozzarella e fumare shisha… C’è qualcosa che non va, tutto decisamente “poco cinese”, ma come dicevo prima di cinese a Canton c’è molto poco… Il giorno dopo ci svegliamo con tutta calma e andiamo a farci un bel giro per la città… Passeggiata lungo il Fiume di perla, poi direzione ex-concessione, cibo da strada e spaghetti alla birra nelle bettole lungo la strada, pochi stranieri in giro, macerie qua e là e negozi tra quello che resta degli edifici di colonialista memoria. Infine due passi al parco, uno come tanti dei classici parchi cinesi, anziani a giocare a carte e fare ginnastica, gli innamorati per mano, il battello nel laghetto. Andiamo poi a farci l’ennesimo piatto di spaghetti alla Lanzhou in un ristorantino vicino l’università. Ci approccia una giovane ragazza cinese dello Hunan, tipa simpatica, ma anche molto sola direi. Si scambia il numero di cellulare con F., penso che i due si incontreranno di nuovo, magari per uno scambio linguistico cinese-inglese, o magari non solo per quello. Figo inondarsi di romanticismo nelle bettole di Canton, tra un brindisi di birra gelata Zhujiang e due chiacchiere con la tipa di turno. Riprendiamo la metropolitana e via verso un’altra aerea di bar e club. Tutto un po’ troppo fighetto per i miei gusti (e disdicevole per le mie tasche), così compriamo altre birrette nei supermercati e ci fermiamo a parlare, ormai ubriachi, di donne e pene d’amore sul lungofiume. Clima molto rilassato, caldo asfissiante, anziani a petto nudo, giovani in bicicletta, armonia sociale e quel torridume tipico delle metropoli tropicali, da Singapore a Canton passando per Bangkok e Hong Kong.
Mattina seguente, riprendo i miei venticinque chili di roba che non mi pare di star usando, saluto e ringrazio F. e prendo la metropolitana in direzione aeroporto. Osservo questi “cinesi” di Canton, ascolto la loro lingua che col mandarino c’azzecca come il lituano con l’andaluso. Gente sicuramente solare, vestiti di pantaloncini corti e ciabatte, le donne appaiono molto sexy semplicemente perché mezze nude e non perché più attraenti delle donne del nord-est. Se mi parlate di cinesi di certo non mi vengono in mente i cantonesi, io li associo più ai vietnamiti, per lingua, usi, costumi e questa ossessione per il cibo. Apprezzo i loro colori, la loro estenuante lotta contro il caldo umido, la loro unica capacità di aprire ed esportare ristoranti in tutto il mondo, la loro tendenza al business e al commercio. Ma di cinese, ripeto, mi pare abbiano proprio poco.
La vita è bella perché varia. Idem la Cina.

Friday, April 26, 2013

24 aprile: Canton (prima parte)

Scrivo dall’aeroporto di Canton, a breve un volo per Pechino. Mi tremano le gambe alla sola idea, rivedere la mia sempre tanto amata Pechino! E nel frattempo ho scoperto che anche la stanchezza può essere un’ottima compagna di viaggio.

A Canton avevo vissuto nel lontano autunno del 2006. Tre mesi in compagnia di tre amiche italiane per un tirocinio al consolato italiano. Non mi è mai piaciuta questa città, e non ci ho messo molto a ricordarne i motivi: 1) clima troppo umido, 2) lingua e cultura (leggi “lingue e culture”) troppo diverse dalla Cina che conoscevo io, 3) grande smog che ti si appiccica addosso nonostante le tre docce giornaliere, 4) assenza quasi totale di attività culturali, rimpiazzate da quelle commerciali 5) una ossessione per il cibo che finisce per disgustarti 6) una comunità internazionale fatta di imprenditori e puttanieri, gente che non sa neanche di stare in Cina e passa il tempo tra piscine e ristoranti di lusso. Sembra insomma di stare nel Vietnam colonizzato dall’uomo bianco, tutto così diverso dalla Pechino dove vivevo io…

Tuttavia Canton è un nome importante per questo blog. “Secondo me sinologia” è infatti stato aperto proprio a Canton, sei anni e mezzo fa.

Tre mesi di tirocinio che non definirei come i più felici della mia vita, ma tre mesi in cui (e forse me ne rendo conto solo ora) feci tante esperienze e viaggi. Ad esempio:

- capii cosa significa lavorare in un ufficio diplomatico, come funzionano i visti per i turisti cinesi, come organizzare degli eventi, come contattare i “VIPs”, e via dicendo;

- feci la mia prima esperienza come interprete italiano-cinese per degli uomini d’affari durante la grande fiera di Canton;

- ricevemmo una delegazione di politici e industriali italiani. Niente di particolarmente entusiasmante, ma è fico vedere dal vivo volti che di solito vedi solo in televisione. Ricordo Prodi, Di Pietro, D’Antoni, Mussi, Montezemolo. Di Pietro altissimo, Montezemolo un signore;

- cominciai a frequentare tipe cinesi conosciute via internet. Un insuccesso dopo l’altro, ma interessante per capirne di più di tecnologia e relazioni sociali. Non credo ci fosse Facebook, a quel tempo;

- ribeccai quella che poi ri-divenne la mia compagna di strada per qualche tempo. Andammo insieme in viaggio prima a Wuhan e poi a Hong Kong;

- andai in viaggio da solo (ma con tante tante birre in tasca) a Macao e a Guilin. Storica foto con autoscatto, nudo con baffo e dreadlock nel fiume vicino Yangshuo. Quando eravamo ancora giovani, belli e pazzi dentro;

- mi misero cinque punti in testa in un ospedale pubblico alle quattro di mattina, al termine di una rissa scoppiata per colpa mia in una discoteca di Canton. Me ne vergognai molto, avevo bevuto fino a perdere completamente il controllo dell’assenza di controllo. Avere amiche che ti vogliono bene e ti vengono a raccogliere in strada all’alba fa la differenza.

E questo è quanto. Quanto alla Canton di oggi invece…

(alla prossima puntata)

 

Wednesday, April 24, 2013

21 aprile: ma va bene così

E mentre la terra torna a tremare nel Sichuan, rieccomi in una stazione dei treni cinese. Sala di attesa, cartelli che vietano di fumare ovunque e ovunque uomini che fumano. Non serve avere sigarette per fumare. Sempre troppo avanti, i cinesi.


E così ho concluso questa prima parte del mio ritorno in Cina. Prossima destinazione Canton. E poi, finalmente, Pechino! Fatto la valigia, salutati abbondantemente gli amici, con tanto di folle festa e una sbronza da ricordare per un bel po’…

Tornare a casa a un’ora imprecisata della notte, non sai chi ti abbia messo su quel taxi ma sai che mancano centotrenta metri all’ingresso di casa: puoi farcela! Lo stile a zig zag conferma il tuo stato di confusione fisica e mentale, la capocciata in piena faccia col palo della luce non è sufficiente a rimetterti in sesto. Improvvisamente baaaam!, una tenera pomiciata con l’asfalto a ricordarti che la strada è una compagna, la strada è di sinistra, la strada è l’unica maestra. Ti rialzi cercando di capire la direzione da prendere, luci e fari abbaglianti, qualche passo e baaaam!, un’altra volta, a ricordarti la terza legge di Yeltsin, secondo la quale il numero di ubriachi investiti è direttamente proporzionale al numero delle macchine presenti in carreggiata. Per qualche miracolo di cui la scienza non riesce a fornire una spiegazione, riesci a infilarti in ascensore e premere il tasto “17”: potresti tranquillamente addormentarti appoggiato allo specchio ma le gambe cedono e la porta dell’ascensore si apre… Un’ora e venti per infilare le chiavi, tre secondi netti per sfilarti le scarpe e saltare sul letto, lei mormora qualcosa ma tu sei troppo stanco per prestarle attenzione. Ti svegli qualche ora dopo, alle due di pomeriggio, con lei che urla incazzata nera perché non ti sei degnato neanche di toglierti i pantaloni e il giubbetto. E io che mi ero anche tolto le scarpe, ingrata! Col mal di testa e l’alito di fogna cerchi un profilattico (anche usato, non mi sembra sia il caso di soffermarsi ora su questi dettagli) perché venti minuti d’amore sistemano tante cose. Poi una doccia e la stazione dei treni.

Dai che va bene così…





Monday, April 22, 2013

17 aprile: turismo a Shanghai

I giorni volano, la ricerca un po’ meno e così oggi ho comprato un biglietto del treno di sola andata per Canton. Sedile rigido, 20 euro, 9 lunghissime ore. Non vedo l’ora.

Nel frattempo ho buttato via la casacca del ricercatore allegro e mi sono infilato quella del turista idiota. A parte il Bund 外滩, via Nanchino 南京路 e la concessione francese 法租界 che avevo già visto a Shanghai, questa città offre le seguenti attrazioni artistico-culturali:

1) Il museo di Shanghai 上海博物馆, in piazza del Popolo 人民广场. Ingresso gratuito, aperto tutto l’anno. Pieno di turisti, in gran parte occidentali. Merita decisamente una visita, è diviso in quattro piani e raccoglie migliaia di anni di storia di cultura cinese: bronzi, giade, ceramiche, porcellane, pitture, sigilli, mobili. È come farsi due esami di Salviati insieme, in soli cento minuti di visita.

2) Il museo di arte contemporanea di Shanghai 上海当代艺术馆, sempre in piazza del Popolo 人民广场. Prezzo 30rmb (sui 4 euro). In tre parole? Una cagata pazzesca! Giorni fa sono andato all’apertura di una mostra di un’artista americana… Boh… Sarà che “ah, non capisco l’arte contemporanea”, però a me sembra che questi artisti ci marcino… cioè ai loro occhi vedere un coglione qualsiasi impallidire davanti a un’opera d’arte cercando di capire che minchia significhi tutto ciò è già arte di per sé! Quindi ci sta, l’esibizione è riuscita, è arte e magari la vendono pure. Tutta colpa del linguaggio, ci siamo fatti fregare dal linguaggio…

3) La stazione dei treni di Shanghai 上海火车站. Post-moderna di facciata, sovietica nello spirito, funzionale di fatto. Non piacevole alla vista come quella di Pechino, ma anche molto meno trafficata (forse perché siamo solo ad aprile) e senza milioni di migranti seduti sui loro zaini a giocare a carte e fumare sigarette. Se vuoi evitare di fare la fila alla biglietteria c’è un enorme salone (anzi, due) con delle macchinette automatiche. Magari non è una novità, ma non ne avevo mai viste prima. Vendono solo biglietti fino a tre giorni. Oltre i tre giorni (e fino ai diciotto) si possono acquistare biglietti nei negozi appositi oppure on-line. Anche questa per me è una mezza novità.    

4) Il tempio della pace e della tranquillità 静安寺. L’ho visto passando in moto con un amico. Lascia pensare che un tempo fosse esteticamente supremo, ma oggi è coperto di impalcature e attività commerciali: da evitare.

5) I giardini Yu 豫园. Linea metropolitana n.3, vicino via Nanchino. Uno schifo di negozi, ristoranti e altre attività commerciali in un’ambientazione da Far West cinese. Una via di mezzo tra Wangfujin e Qianmen a Pechino. Roba che piace ai turisti cinesi. E forse anche a quelli occidentali.
Io pensavo di trovare un bel parco e invece solo legno, plastica e commercio. Oltretutto c’ero già stato per lavoro quattro anni fa. Colpa mia che non mi sono informato abbastanza, ma credo che a informarsi troppo quando sei in viaggio perdi tutto il gusto dell’avventura.

6) La cattedrale di Sant’Ignazio 徐家汇天主教堂. Perché un po’ di sano e onesto colonialismo francese fa sempre bene, tanto per non deludere il pubblico cattolico. Linea metropolitana n.1, in zona 徐家汇, dove potete ammirare anche il centro tecnologico più fastidioso al mondo (中关村 a Pechino a confronto è l’Italia in miniatura). La zona attorno alla cattedrale è interessante anche perché ha una biblioteca, una scuola e un vecchio osservatorio.

7) Il centro d’arte e propaganda di Shanghai 上海杨培明宣传画收藏艺术馆. Questo invece è per un pubblico nostalgico e neo-maoista. Si trova in zona 江苏路, in uno scantinato a venticinque minuti a piedi in direzione sud-est. Una delle collezioni più belle di poster propagandistici che abbia mai visto. Il biglietto d’ingresso costa due euro e cinquanta, ma purtroppo non si possono fare foto. I poster e alcuni libri sono in vendita (prezzi decisamente non proletari).

8) Il tempio Longhua 龙华寺. Linea metropolitana n.10, quindici minuti a piedi in direzione est. Carino, merita una visita soprattutto per chi non è mai stato in un tempio buddista. Certo, non è il Tempio dei Lama a Pechino, però ospita anche un’antica pagoda e all’ingresso un mazzetto di incenso è in omaggio. Li ho usati in preghiera a Buddha: “Dai panzone, facci il miracolo: porta la Maceratese in serie C!”.

9) I campus universitari. Io consiglio la Normale della Cina Orientale 华东师范大学 e l’Università di Shanghai (campus di Baoshan) 上海大学宝山校区. Sconsiglio invece l’Università Jiaotong 上海交通大学 e il campus Yanchang dell’Università di Shanghai 上海大学延长校区.

Un unico suggerimento: evitate i taxi. I taxi sono borghesi, distruggono il fascino del viaggio e della scoperta. Andateci in metropolitana, in bus, a piedi. Perdetevi per le strade, parlate con le persone, anche se non conoscete la lingua, anche se vi fissano sbigottiti, anche se non capite, anche se non vi capiscono, anche se vi mandano in tutt’altra parte. Andateci in autostop, smarritevi nelle linee metropolitane, armatevi di birra, seguite lo spirito guida di Terzani, sporcatevi i pantaloni, buttate via le scarpe, maledite Buddha, affidatevi a qualche divinità taoista, sbroccate con l’autista del bus. Se vi interessa conoscere un po’ di Cina evitate i taxi e le visite guidate, fatevi assalire dalla folla, rincorrere dalla polizia, fermatevi a giocare a palla coi bambini, fatevi una partita a scacchi cinesi con gli anziani di quartiere, scavalcate ogni volta che c’è scritto “vietato l’ingresso”. Salvate quel poco di romanticismo che ci resta in questa cazzo di modernità. Fatevi rapire dalla curiosità, come recita la pubblicità di una nota marca di jeans: “Curiosity knows no limits”.

Aaargh, all’attacco!

p.s. Scoperto nuovo tè in bottiglia: 茉香蜜茶. Tè al gelsomino e miele, sublime! 

 

Sunday, April 21, 2013

15 aprile: l’armoniosa società dei barboni

E beh, poi sì chiaro che resta l’enorme disparità sociale cinese. È qualcosa di cui ogni persona non può far a meno di notare, dal viaggiatore solitario al turista per caso, dall’industriale in viaggio per affari allo studente straniero. La disparità è lì, la si vede, la si tocca con mano. Innegabile.

Non che in Italia non ce ne sia. E ve n’è ancora di più nelle metropoli dell’America Latina, dell’Africa, dell’Asia. Ma per un europeo non propenso a viaggiare, la vita in Cina ti mostra quello che tuo nonno ti insegnava da piccolo: “Al mondo, mio caro, ci sono i ricchi e ci sono i poveri. I primi hanno troppo, i secondi troppo poco”.

Grattacieli altissimi, metropolitane super tecnologizzate, centri commerciali finiti di costruire ieri, aria condizionata sparata a tutto… Basta girare l’angolo per trovare vecchie case tirate al suolo di recente, anziani vestiti di stracci che le abitano ancora, bambini sporchi di polvere giocare nelle pozzanghere. In Cina la chiamano la “la società armoniosa”, cioè la società ancora da armonizzare. L’armonizzazione, mi sa, sta nel fatto che i morti di fame convivono tranquillamente con gli straricchi, accettando (a quanto pare) la loro condizione di miseria. Ok, in Cina non c’è miseria nera come la vedi in India o in Kenya, non c’è neanche quel passaggio shock tra hotel di lusso e slums che vedi a Buenos Aires o a Lima. Però io, da cazzone europeo, sin dalla mia prima volta in Cina non sono mai riuscito a capire come sia possibile che in una bettola dove un operaio migrante consuma un pasto per 80 centesimi di euro, nel bar a fianco frequentato da giovani occidentali un bicchiere di birra costa 4 euro, esattamente come una pinta in Irlanda. Se l’operaio guadagna 120 euro al mese, significa che quel bar è accessibile solo alla classe media cinese e agli stranieri. La cosa ridicola è che questo taglia fuori gran parte della popolazione cinese, ma “taglia dentro” persone che non definirei esattamente “ricche”. Il miracolo della modernità, evviva l’armonizzazione!

Ebbene, stamattina mentre uscivo dal mio palazzone moderno a 27 piani e mi recavo a piedi verso la metropolitana-centro commerciale all’ultimo grido, sono passato sotto un ponte dove di solito ci sono una trentina di anziani muratori che sistemano dei piloni di cemento. Sotto il ponte c’è anche una baracca con su scritto “lavaggio auto”. Tre giovani tipi passano lerci stracci imbevuti d’acqua su macchine di lusso. Oggi di fronte alla baracca, in mezzo alla strada, ho anche trovato un vecchio divano raccolto chissà dove e sopra uno striscione (quasi come quelli che vedi allo stadio) che recitava a caratteri rossi 和谐社会 无家可归, “società armoniosa, senza fissa dimora”.

Probabilmente ce l’hanno messo quei migranti che lì non si sa bene che lavoro facciano, ma di sicuro non portano a casa più di 150 euro al mese. Un terzo di quello che la mia amica prostituta si guadagna con due ore di piacere.

Disparità sociale. O società armonizzata, se preferite.

 

Saturday, April 20, 2013

15 aprile: poesie fallocentriche

(letteralmente, “coscia”) è il nome d’arte di una giovane poetessa cinese residente a Shanghai. Trovo le sue poesie profonde e originali, così ho deciso di tradurne alcune per voi:

《奢侈品》

你的包包是LV

你的皮鞋是香奈儿的

你的手表是劳力士的

你的外衣是范思哲的

你在炫耀你的这身行头

我从上到下

打量了你一翻

说道

你的逼是什么牌子的

“Lussuria”

La tua borsa è di Louis Vuitton

le tue scarpe di pelle sono Chanel

il tuo orologio è un Rolex

il tuo cappotto Versace.

Ci tieni a mostrare il tuo abbigliamento

dalla testa ai piedi

ti squadro

dico

di che marca è la tua fica?

《操我吧,如果你有钱》

操我吧

如果你有钱

没钱

毛泽东也不行

“Scopami, se hai soldi”

Scopami!

Se hai soldi.

Se non ne hai

non provarci neanche se sei Mao Zedong.

《避孕北京》

来到北京

天安门

看见

人民英雄纪念碑

耸立在那

我总觉得

那是鸡巴

北京的鸡巴

国家的鸡巴

很高

很粗

很雄伟

耸立在那

我摸着口袋里的

避孕套

我总想

把它套在纪念碑上

那样

国家就

安全了

“Pechino contraccettiva”

Arrivo a Pechino

piazza Tianan’men

osservo

il monumento agli Eroi del popolo.

Resto in piedi

penso

che quel monumento sia un cazzo

il cazzo di Pechino

il cazzo della Nazione

alto

spesso

maestoso.

Resto in piedi

tocco le mie tasche

un preservativo.

Vorrei

metterlo sul monumento

così

la Nazione

sarebbe al sicuro.

 
Queste e altre poesie le trovate qui:

Friday, April 19, 2013

14 aprile: il Falun Gong e la bella birra fredda

Le due di pomeriggio, l’ora perfetta per alzarsi dal letto la domenica “mattina”. La ragazza che mi ospita doveva ricevere un cliente, così ne ho approfittato per levarmi dalla palle e tornare a fare due passi nel campus della Normale di Shanghai, proprio di fronte a casa. Splendido sole e quei venticinque gradi che ti fanno amare la primavera.

Mi siedo in un padiglione di legno accanto al canale, dove ci sono alcuni anziani intenti a pescare e altri a pisolare. Mi metto a leggere qualcosa e noto che in uno dei pali al mio fianco c’è un piccolo adesivo giallo a caratteri neri: 法轮大法好,真善忍好. Sono quelli del Falun Gong, un movimento spirituale represso dal governo. “I Testimoni di Geova con caratteristiche cinesi”, direbbe certa stampa italiana. Nel 2009 pubblicai un breve articolo sul Falun Gong in una rivista catalana. Bei tempi, quelli dell’inizio del dottorato.

Ritorno alle mie letture. Poco dopo si siede accanto a me una studentessa e si mette a giocare al cellulare. Poco dopo ancora arrivano un uomo e una donna, entrambi giovani, vestiti elegantemente. Cominciano a chiacchiere con la studentessa, in modo molto formale ma al tempo stesso amichevole. Sono loro: quelli del Falun Gong. Attaccano un pippone tremendo alla povera malcapitata, chiedono informazioni su di lei, sulla sua vita, i suoi studi, sul perché non sia soddisfatta, che desideri non riesce a realizzare e altre minchiate simili. Peggio di un catechista, peggio degli amici di Geova, peggio degli Hare Krishna, peggio. A un tratto chiedono alla studentessa se lo straniero al suo fianco (cioè il sottoscritto) sia suo amico. Per fortuna la ragazza dice la verità: non ci conosciamo. Io ero già pronto a rimbalzarli subito con un “I am sorry, I do not speak Chinese” o direttamente in cinese “Sono un marxista. La religione mi fa schifo”. I tipi hanno lasciato un numero di telefono alla studentessa e se ne sono andati.

Tutto questo ascoltare di religioni e desideri mi ha fatto venire voglia solo di una cosa: una bella birra fredda.

p.s. Su Internazionale di questa settimana c’è un articolo del Nanfang Xinwen Wang che parla di gioventù cinese e prezzi delle case. A causa degli alti affitti di Pechino, molti lavoratori cinesi sono costretti in alloggi di fortuna, stanze minuscole, spesso sotto terra. Li chiamano “la tribù dei topi”. Anche io ho vissuto in uno scantinato nell’inverno del 2006. E avevo un topo vero come compagno di stanza. Bei tempi.

 

 

Thursday, April 18, 2013

13 aprile: la fiera dei “giocattoli sessuali”

In questi giorni Shanghai sta ospitando la decima edizione della fiera internazionale dei giocattoli sessuali, 上海第十节国际成人用品展览会. Ovviamente non potevo mancare, soprattutto considerando il fatto che la tipa che mi sta ospitando fa la prostituta di professione e per lei andare a vedere le novità nel campo sessuale rientra pienamente nel mestiere. Così, armati di macchina fotografica e 10 euro per il biglietto siamo andati a dare un’occhiata.

Mi aspettavo una fiera molto più grande, con molti più stand, più partecipanti e più spettacolo. Invece l’evento non è stato molto pubblicizzato (non è strano) e a parte i commercianti, alcune modelle e una folla di fotografi, non c’era molta gente in giro. Fiera di giocattoli sessuali significa una marea di plastica: dildo, vibratori, bambole di gomma, vagine di gomma, profilattici, palline per l’ano, fruste, catene, maschere, corde, anelli, falli e tutte quelle minchiate che a me, sinceramente, non hanno mai attirato.

La tipa che era con me sembrava molto occupata a parlare e trattare con i vari commercianti nei vari stand, io l’ho aiutata con una ditta americana che non aveva interpreti. Troppo divertente fare da traduttore istantaneo cinese-inglese in tema di cazzi di gomma e fruste in pelle umana.

La parte più interessante è stata decisamente una piccola esibizione sulla storia della cultura sessuale mondiale. Oggettistica e immagini da ogni parte del mondo, a illustrarci come i nostri antenati si divertivano con loro corpo. Con tanto di selle con falli di legno, sedie per il piacere sessuale e cinture di castità.

A vedere tutta quella plastica però mi è venuto un grande dubbio. Si parla tanto di come la tecnologia e in particolare i nuovi social network (Facebook, Twitter, e-mails, ecc…) e strumenti di comunicazione all’ultimo grido (iPhone, iPad, Skype, cellulari ultimo grido, ecc…) influenzino e cambino le società e i rapporti umani e sociali. Bene, io mi chiedo invece quanto tutti questi falli di gomma, vibratori e vagine di plastica stiano influenzando e cambiando le nostre abitudini sessuali che sono innanzitutto sociali. Il rischio, mi sembra, è che un domani il sesso diventi qualcosa che non preveda la presenza di un’altra persona. Sesso fai da te, da solo, sotto le lenzuola, in compagnia di un pezzo di plastica.

Lei dice che queste sono preoccupazioni da conservatore ben pensante, perché il sesso non va inteso come rapporto umano e sociale, ma solo come puro piacere. Passare da catto-fascista mi mancava proprio. Forse ha ragione, sono troppo chiuso di mente, all’antica. O forse è lei a non aver mai valutato le implicazioni sociali future di uno sviluppo incontrollato dell’uso degli oggetti sessuali.

Ai posteri l’ardua sentenza.

Ah, ed ecco un’altra cosa che la Cina mi ha ricordato: le persone più interessanti si incontrano di notte. Lo cantava anche Guccini, “non ho rapporti con i proletari / soltanto a tarda notte lungo viali”.

 

 

Wednesday, April 17, 2013

11 aprile: l'Università di Shanghai

Ieri invece sono andato all'Università di Shanghai a incontrare i nostri studenti irlandesi. Che poi sono “i miei”, visto che li ho avuti tutti e tutte per due moduli durante lo scorso anno accademico. Che gioia! I miei studenti in un’università cinese, a fare le stesse esperienze che ho avuto la fortuna di fare qualche anno prima di loro!

La 上海大学, da non confondere con la più nota 复旦大学, fu fondata nel 1922, non lontana dal centro della città, in zona Yanchang. Lì oggi resta uno dei due campus, il più piccolo e meno frequentato. Il nuovo campus si trova infatti a Baoshan, nella periferia nord della megalopoli cinese. Vi giuro, uno dei campus più belli che abbia mai visto. Enorme, verde e ben fornito. Strade larghe, palazzoni imponenti, servizi divisi in aree secondo logica e non buttate alla rinfusa come spesso accade con le università più antiche. Intendiamoci: adoro le vecchie architetture dell'Università di Pechino o il fascino socialista dell'Università del Popolo, ma questo nuovo campus che puzza di modernità sembra di primo acchito estremamente funzionale. Al centro di esso una grande biblioteca sovrasta tutto il resto, mentre di fronte ad essa un ampio prato ed un gentile laghetto colorano l'università. Se un campus non è dotato di un prato dove far bivaccare i propri studenti allora non è degno di questo nome. Sul lato est vi sono gli edifici per le lezioni e gli uffici, a ovest i dormitori, i negozietti e gli impianti sportivi. Statue di grandi pensatori e uomini di scienze si alternano agli alberi nei vari giardini.

Estasi mistica è la parola che più si addice al mio stato d'animo quando ho messo piede nel campus. Incontrare i miei studenti ha fatto il resto. Abbiamo avuto una prima riunione con altri docenti per ascoltare le loro impressioni e venire incontro alle loro necessità. Da una parte sembrava un quiz televisivo titolato “Inventa la scusa migliore per giustificare le assenze a lezione”, dall'altra parte mi sono ritrovato e identificato perfettamente con le difficoltà e le perplessità di uno studente occidentale che per la prima volta si ritrova in Cina a studiare in una università.

Durante un altro incontro, una docente cinese ha secondo me colto il fulcro delle differenze tra il sistema educativo cinese e quello “occidentale”. Usando le sue parole, troppo 以老师为主 il primo, troppo 以学生为主 il secondo. Capita ogni tanto, di rado, di incontrare docenti di mezza età che sono davvero brillanti e oggi penso di averne conosciuta una.

Finiti gli incontri e le formalità, sono andato con alcuni studenti a farmi qualche birra e schifezze varie nei ristoranti appena fuori dal campus. La cosa mi ha, ancora una volta, riempito il cuore di gioia: confrontarmi con loro in un'atmosfera del tutto informale e rilassata, parlando un po' di tutto, dalle lezioni noiose al timore per gli esami, dalle serate goliardiche a come sono le cinesi a letto. Graditissima anche la pisciata in compagnia sulla riva del fiume dietro i ristorantini.

Detto questo, ho scoperto oggi come si rende in cinese il detto italiano “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”, ovvero 害人之心不可有,防人之心不可无.

中国人啊!不谈钱就谈吃

Alla prossima,

 

Tuesday, April 16, 2013

10 aprile: 社会主义好,做研究好

La ragazza che mi sta ospitando oramai è entrata nella “mia” ricerca in pieno. Siamo una squadra, praticamente. Il suo letto è diventato il nostro ufficio. Con tanto di posacenere, tre computer portatili, quattro cellulari, libri aperti e caramelle alla noce di cocco. È appassionata a quello che faccio. Ha messo da parte il suo lavoro, si dedica a me e a questo progetto tirato fuori da un cilindro assieme ad un coniglio bianco strafatto di lsd. No, seriamente. La ricerca ti sfianca, ti snerva, ti riduce in mutande... ma è una figata. Specie se non hai altre scocciature tra le palle. Specie se riesci a calibrare spazio e tempo secondo le tue necessità. Cercare persone da intervistare tra un salto in biblioteca, una passeggiata al parco, una telefonata importante, una birra fresca per schiarirti le idee. Pianificare i viaggi di fare, le persone da contattare, il tuo ordine delle cose da seguire. Meglio se non hai scadenze o altre pressioni. In libertà, insomma. E questa tipa che ci sta dentro più di me. A volte se ne esce con consigli e idee che sono per me di grande aiuto, proprio della serie “come ho fatto a non pensarci prima!?”. Chiavi che aprono porte che portano a porte chiuse da sfondare per trovare altre porte oltre ad esse.

Si chiama ricerca, e fatta in libertà mi piace e stimola un casino.

Per ora, la cosa più interessante (leggi “shockante”) che ho sentito durante le interviste è che quando chiedi a una prostituta “sei mai stata stuprata?” lei per rispondere ci pensa qualche secondo con lo sguardo perso e poi fa “beh, immagino di sì”. Come chiedere a Paolo Villaggio se si è mai fatto una canna e lui “beh, forse, sì, da giovane, non ricordo”…

Ne deduco che la percezione di stupro cambi fortemente da paese a paese, e per molte donne a questo mondo lo stupro è solo un’altra fastidiosa formalità del vivere quotidiano. Ok, non una grande scoperta, ma a sentirselo dire in faccia è tutta un’altra storia…

 

 

Monday, April 15, 2013

8 aprile: note dalla ricerca

Continua l’entusiasmo e la gioia immensa per questo ritorno in Cina. Continuano anche i raggi di sole e i 18 gradi fissi. La preside della mia facoltà in Irlanda e un altro dirigente del dipartimento sono anche loro a Shanghai, per incontrare i nostri studenti e fissare degli accordi con l’Università di Shanghai. Mi coinvolgono nelle varie attività, cosa che mi dà accesso a nuovi contatti in una città che conosco quasi per niente. Al tempo stesso ho rivisto alcuni amici italiani, ex compagni di studio a Roma e a Pechino, fedeli compagni di sbronze ora ben inseriti professionalmente nel panorama shanghaiese. Il pranzo a base di carne ai ferri, patate, pane, birra e vino a volontà è stato un toccasana che riassumo in sei lettere: GRAZIE!

Godo ogni volta che metto piede in strada, tra le bettole colme di migranti, i rumori dei cantieri e del traffico, la folla in metropolitana, gli eccessi del consumismo, la mia allergia ai centri commerciali, i turisti del centro, i campus universitari. Godo. Un po’ come la mia prima volta in Cina, esattamente nove anni fa. Come diceva un grande sinologo, “la Cina sì, ma a piccole dosi”. Fa decisamente bene al corpo e allo spirito tornare in questo immenso e variegato continente, di tanto in tanto. L’Irlanda mi sembra un ricordo lontano, la mia casa è qui.

Unico tasto dolente, forse, la ricerca. Mannaggia a me e al giorno in cui decisi di fare ricerca su donne migranti e prostitute in Cina. E’ tutto più difficile di quanto mi aspettassi, ma al tempo stesso mi tornano in mente con perfetta minuzia di particolari le mille difficoltà avute e affrontate durante gli anni del dottorato a Pechino. Per fortuna, a differenza di allora, al momento non ho né ansia da prestazione né quella pressione a cui gli esami e le scadenze ti costringono. In altre parole, per questa volta vada come vada la ricerca sarà un successo: collezionerò comunque materiale e racconti da utilizzare per future lezioni o conferenze. E, nella migliore delle ipotesi, scriverò un articolo e riuscirò a pubblicarlo da qualche parte.

Per chi non lo sapesse, mi sto occupando di amore e matrimonio tra le lavoratrici del sesso ancora single, nel contesto culturale e sociale di una Cina ancora fortemente confuciana e patriarcale. Insomma, provo a incontrare le prostitute più indipendenti ed emancipate e chiedere loro cosa pensano e come vivono il dogma morale del matrimonio e della maternità.

Non è facile, come potete ben capire. La ragazza cinese che mi sta ospitando, prostituta di professione anche di lei, mi sta aiutando tantissimo. Passiamo intere giornate a parlare di Cina e occidente, tradizione e modernità, sviluppo e conservatorismo, problematiche sociali e prezzo dei beni di consumo. Se avessi dei fondi per la ricerca le proporrei di farmi da assistente, o meglio ancora da collaboratrice, visto tutto l’impegno, lo sforzo e (in un certo senso) la preparazione che ha per questo tipo di indagine sociale.

Per ora ho solo due interviste programmate via internet con due prostitute e un incontro con un frequentatore di bordelli, una figura chiave. Vedremo che sviluppi si avranno nei giorni a seguire. A fine aprile devo anche fare un salto a Canton (8 ore di treno) e uno a Pechino. Non vedo l’ora.

A presto,

il vostro ricercatore di fiducia e venditore di tappeti preferito.

Sunday, April 14, 2013

5 aprile: Di questi tre giorni a Shanghai


Il gatto fa miao, il gatto fa miao, evviva evviva evviva il Presidente Mao!

Pensavo ieri che... alla fine questi venti mesi fuori dalla Cina sono passati abbastanza in fretta. Mi è sembrato infatti di non averla mai lasciata. Specie appena arrivato all'aeroporto di Pudong. Un miliardo di cinesi attorno a me e quella strana sensazione (orribile, probabilmente) di sentirmi completamente a casa. Ci metto poco a riprendere il “ritmo cinese”: tutti di corsa, tutti in file disordinate, tutti al telefono, tutti gridando, tutti e tanti insieme, come negli autoscontri al luna park. Non ci metto molto a sbrigare le pratiche doganali, prendere soldi al primo ATM, comprare una scheda telefonica e una stecca di sigarette. Non ci metto molto perché, viste tutte le indicazioni e il personale di servizio, per perderti devi essere un analfabeta. E poi non ci metto molto perché, modestamente, sono per metà cinese anche io.

La metropolitana impiega circa un'ora e mezza per arrivare in zona Zhongshan Gongyuan, dove vive la tipa che mi ospita. Pudong, a confronto dell'aeroporto di Pechino, è una base militare sovietica circondata da risaie. Io, modestamente, sono pechinese e me ne vanto. E non sono mai stato imparziale, mai, manco per scherzo. L'imparzialità non è di umana competenza, l'imparzialità spetta al massimo a Dio: viva Pechino, abbasso Shanghai!

Shanghai che vi dirò non è poi così male. Voglio dire... sono arrivato che c'era il sole e 18 gradi. Mentre 24 ore prima ero a 2 gradi sotto la pioggia della grigia Dublino. L'inquinamento shanghaiese è cortese e non disturba. Rispetto a Pechino, qui si respira aria fresca. A occhio e croce la vita costa un po' più qui che nella capitale. Mangiare in un ristorante decente o in una bettola per migranti costa qualche spicciolo di più di quello che ricordo a Pechino. Anche la metropolitana e i taxi. Ma chissenefrega, ora ho uno stipendio da docente e non una borsa da studente, posso comprarmi un quartiere di Shanghai con uno schiocco di dita. O quasi. In realtà qua il costo della vita è aumentato assai. E, cosa che più desta la mia preoccupazione ma non la mia sorpresa, i cinesi (ebbene sì) si sono imborghesiti. E tanto. Ricordo quando nel 2004 alcuni studenti americani a Pechino mi facevano “dovremmo insegnare a questi cinesi come vestirsi e come comportarsi civilmente” e io, giovane punk anti-imperialista con la merda nel cervello, giù a insultarli. Beh, a distanza di quasi dieci anni i cinesi sembrano aver seguito il consiglio degli yankees. Moda, stile di vita, marche e senso estetico sono per nulla sorprendentemente identiche a quelle del “mondo occidentale”, specie tra gli under 30 e specie in una metropoli come Shanghai. Ma questo lo discutiamo da anni e lo sapevamo già. La fine era vicina ed ora lo è sempre di più. Ma passiamo ad altro.

Per me che vengo dall'Irlanda, dove la gente ti sorride e ti dice “hi lads”, “sorry”, “thanks”, “how are you doing?” e via dicendo almeno cinquanta volte al giorno e gratuitamente, l'arrivo a Shanghai genera naturalmente un notevole shock culturale. Qui la gente non ti guarda in faccia, ti monta sopra, ti pesta in testa e sentire qualcuno dire “grazie” o “scusi” è merce molto rara. Ma a me non fa più effetto, non ci faccio caso, non mi aspetto un “prego” da un cinese. Come dicevo, io sono cinese per metà. Fiumi di persone che affollano le carrozze e le banchine della metropolitana, esercito di formiche dal simpatico caschetto nero, l'iPhone in mano e l'MP3 all'orecchio. Ecco alcune cose che sì conoscevo ma che non sempre ricordo della Cina:

 la fila per ogni cosa: la fila per pisciare, la fila per entrare nel bus, la fila per uscire, la fila per comprare un panino da McDonalds, la fila per comprare un biglietto del treno, la fila per chiedere informazioni ad uno sbirro del traffico, la fila per fare la fila, la fila per chiedere dove si deve fare la fila per fare la fila. La fila, insomma.

 La pubblicità ovunque, te la infilano pure su per il buco del … naso. Le illuminazioni pubblicitarie fanno risplendere la città di giorno e di notte, con un velo di tristezza che oscura tutto il resto. È praticamente impossibile avere la vista ad altezza d'uomo e non fissare qualcosa di diverso da una cazzo di pubblicità.

 La tecnologia che sta divorando ed alienando praticamente ogni strato sociale e generazionale del caro popolo cinese. In metropolitana nessuno parla ma tutti stanno a guardarsi film nei tablet o giocare a Tetris al cellulare. Che perfetto esempio di alienazione! Non so se a Milano sia lo stesso, io continuo a pensare che gli orientali hanno davvero qualche problema con questi apparecchi elettronici del cazzo.

 La disarmante disparità sociale. E il darwinismo sociale.

 Il piacere di entrare in un bettola sudicia di grasso di maiale e sfondarsi di birra fredda, ravioli, spaghetti al brodo, aglio lesso, uova alle alghe, fagiolini con peperoncino. Fumare mezzo pacchetto scambiando due chiacchiere col muratore immigrato chissà da dove ed uscire pagando sì e no 2 euro in tutto. Piacere che sempre meno paesi nel mondo riescono a darti.

 Sentire per la strada milioni di persone che fondamentalmente parlano solo di due cose: di soldi o di mangiare. O di entrambi allo stesso tempo.

 Le persone in divisa. Quelle divise di quattro taglie più grandi. Con i guanti bianchi o lo sguardo da pesce lesso. Fenomenali.

 Le sigarette cinesi. Considerando che in Irlanda un pacchetto costa 9 euro e qui 50 centesimi, io penso che non fumare sarebbe un atto contro la morale e il pubblico pudore.

 Gli sputi con risucchio di catarro. Oh questi sì che mancavano. Nei civili paesi occidentali questo è un rumore che ci è negato. Maledetti.

Beh, è la Cina signori: mica cazzi.

Questo è sì un post pieno di banalità e luoghi comuni, il classico post da turista italiano per la prima volta in Cina, indegno per un blog di sinologia. Ma che posso dirvi, mi mancava talmente la Cina che queste sono le cose che più sto apprezzando in questi giorni: le diversità culturali e comportamentali che per me ancora contraddistinguono (con grande dignità) il popolo cinese. In culo alla modernità, in culo ai vostri iPhone del cazzo!

Ah, e mi dimenticavo della censura! Oltre a Facebook e a Youtube è bloccato anche Blogspot, quindi scriverò molto di rado. Ma con più intensità. O almeno così spero.

Monday, April 01, 2013

Quando party?!? (terza serata)











Quando party?!? (seconda serata)










Quando party?!? (prima serata)