26 aprile: Pechino cazzo, Pechino
All’idea di gettarmi nel vuoto non temo tanto lo schianto a
terra, mi terrorizza più che altro il fatto di rimbalzare sulle pareti del
grattacielo, come un manichino riempito di paglia. Quelle orribili immagini di
palazzi in fiamme e gente che si butta, disperata, nel vuoto. Come quel giorno
dell’11 settembre. Il settembre bianconero dell’Ascoli Calcio. E i cori della
Maceratese urlati a squarciagola tra gli hutong di Pechino. Sì, cazzo, Pechino.
Parola di qualità e qualità della vita. Tra gli hutong. Una Yanjing nella mano
destra e una Zhongnanhai in quella sinistra. Sempre a sinistra. Evviva il 25 di
aprile! Evviva la liberazione! Se il lavoro in una società capitalista è pura
prostituzione allora il rifiuto del lavoro in una società capitalista è pura masturbazione.
Puro egocentrismo. Puro narcisismo. La convinzione di poter fare a meno degli
altri. Per gli hutong di Pechino. Cantando, si diceva, cori della Maceratese a
squarciagola. Il terzo pacchetto di sigarette all’interno delle stesse
ventiquattro ore sembra però un’esagerazione. Labbra come attore protagonista.
Tutto un fatto di labbra: labbra-bottiglia, labbra-sigaretta, labbra-labbra.
Labbra. Lebbra.
Questo eterno conflitto tra la psicologia femminile e la
paura di te stesso.
Estaba muy claro, no!?
Pechino cazzo, Pechino.
p.s. Se in Cina si parla solo di matrimonio e prole, in
occidente la promiscuità è l’ultimo baluardo dell’amore romantico. Che culo.
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