Saturday, April 27, 2013

24 aprile: Canton (seconda parte)

Questa volta sono venuto a Canton per incontrare un docente cinese della Normale e due nostre studentesse irlandesi che lì stanno completando un periodo di studio e tirocinio. Arrivo alla stazione orientale di Canton praticamente sfinito, dopo diciassette (pensavo fossero undici, erano invece diciassette) ore di treno seduto. Caviglie gonfie e stordimento di testa dovuto alle mancate ore di sonno. Ma la brutta notizia è un’'altra: non ho più batteria nel cellulare e neanche nel portatile, quindi non so come contattare né le persone in università né l’amico tedesco da cui dovrei passare le mie due notti. A Canton fa un caldo afoso bestia, io faccio schifo dalla punta delle scarpe alla pelata in testa, ma non posso fare altro che caricarmi i venticinque chili di bagaglio e raggiungere l’università, nella speranza di trovare l’ufficio del docente. Sono impresentabile, ma mi va di culo, trovo l’ufficio e anche il docente, che per fortuna mi liquida subito con un invito a cena per il tardo pomeriggio. E andiamo! Trovo un centro internet, dove riesco di nascosto a ricaricare il portatile, mentre il cellulare sembra proprio morto del tutto. Tramite Skype e qualche giro tra le e-mail cestinate trovo i numeri di telefono di F. (il tipo tedesco) e delle studentesse. Alla grandissima: non ho che da caricarmi i venticinque chili di valigia e andare a casa di F. Trenta minuti di metropolitana e altri trenta a piedi, nel campus di un'’altra università, la Sun Yat-sen di Canton. Anche qui, uno dei campus più belli mai visti, enorme e immerso nel verde della vegetazione tropicale, antichi edifici nascosti in una densa foresta, statue del grande statista cinese che dà il nome all’università, laghetti e religioso silenzio. Il tempo di posare la valigia a casa di F., un lungo abbraccio, una birretta fresca e via di nuovo per l’'appuntamento nell’'altra università. Le studentesse mi accolgono solari, facciamo una lunga passeggiata, mi raccontano di questa loro prima esperienza in Cina, del tutto positiva nonostante le varie difficoltà che ben conosco: mi ritrovo in pieno nei loro commenti e sensazioni, quando lo studente per la prima volta in Cina ero io. Poi tutti a cena, nel ristorante dei docenti.
Terminato il lauto pasto e le discussioni che avevo da fare, saluto tutti e me ne vado finalmente a fare due passi per Canton. Caso ha voluto che l'’università fosse proprio a cinquecento metri dall’appartamento dove vivevo io quasi sette anni fa. Un quartiere parecchio cambiato, nuovi palazzi, strade allargate, e i sempre presenti “lavori in corso”. Una grigia e afosa metropoli di tredici milioni di persone, con un sistema metropolitano efficientissimo, così come a Shanghai. Mi do appuntamento con F. e andiamo in locale a sentire un concerto jazz e farci due chiacchiere. Il locale è vuoto, i drink costano come in Irlanda, ma la musica non è male e io sono talmente stanco che stacco il cervello e mi godo la serata. Ce ne andiamo poi in una specie di ristorantino lì vicino.
Mi ritrovo a bere birra Carlsberg, mangiare una pizza pomodoro e mozzarella e fumare shisha… C’è qualcosa che non va, tutto decisamente “poco cinese”, ma come dicevo prima di cinese a Canton c’è molto poco… Il giorno dopo ci svegliamo con tutta calma e andiamo a farci un bel giro per la città… Passeggiata lungo il Fiume di perla, poi direzione ex-concessione, cibo da strada e spaghetti alla birra nelle bettole lungo la strada, pochi stranieri in giro, macerie qua e là e negozi tra quello che resta degli edifici di colonialista memoria. Infine due passi al parco, uno come tanti dei classici parchi cinesi, anziani a giocare a carte e fare ginnastica, gli innamorati per mano, il battello nel laghetto. Andiamo poi a farci l’ennesimo piatto di spaghetti alla Lanzhou in un ristorantino vicino l’università. Ci approccia una giovane ragazza cinese dello Hunan, tipa simpatica, ma anche molto sola direi. Si scambia il numero di cellulare con F., penso che i due si incontreranno di nuovo, magari per uno scambio linguistico cinese-inglese, o magari non solo per quello. Figo inondarsi di romanticismo nelle bettole di Canton, tra un brindisi di birra gelata Zhujiang e due chiacchiere con la tipa di turno. Riprendiamo la metropolitana e via verso un’altra aerea di bar e club. Tutto un po’ troppo fighetto per i miei gusti (e disdicevole per le mie tasche), così compriamo altre birrette nei supermercati e ci fermiamo a parlare, ormai ubriachi, di donne e pene d’amore sul lungofiume. Clima molto rilassato, caldo asfissiante, anziani a petto nudo, giovani in bicicletta, armonia sociale e quel torridume tipico delle metropoli tropicali, da Singapore a Canton passando per Bangkok e Hong Kong.
Mattina seguente, riprendo i miei venticinque chili di roba che non mi pare di star usando, saluto e ringrazio F. e prendo la metropolitana in direzione aeroporto. Osservo questi “cinesi” di Canton, ascolto la loro lingua che col mandarino c’azzecca come il lituano con l’andaluso. Gente sicuramente solare, vestiti di pantaloncini corti e ciabatte, le donne appaiono molto sexy semplicemente perché mezze nude e non perché più attraenti delle donne del nord-est. Se mi parlate di cinesi di certo non mi vengono in mente i cantonesi, io li associo più ai vietnamiti, per lingua, usi, costumi e questa ossessione per il cibo. Apprezzo i loro colori, la loro estenuante lotta contro il caldo umido, la loro unica capacità di aprire ed esportare ristoranti in tutto il mondo, la loro tendenza al business e al commercio. Ma di cinese, ripeto, mi pare abbiano proprio poco.
La vita è bella perché varia. Idem la Cina.

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