Friday, November 30, 2012

Quelle insane libertà del venerdì mattina...

Venerdì mattina. La mia sveglia non suona, ma suona quello del mio vicino di stanza. Le 9.30. Neanche troppo tardi. Una bella dormita mi ci voleva proprio. Fuori fanno 6 gradi (a stare larghi!). Potrei vestirmi ed andare in ufficio. Oppure...

...oppure no.
Posso invece accendere il computer e sparare ritornelli punk.
Scendere in cucina (restando in pigiama e senza passare dal cesso) e mettermi a pulire la casa. Beh, oddio, "pulire"! "Togliere lo schifo" si addice meglio: le parole sono importanti.
Posso chiamare mia nonna al telefono. Scrivere e-mail d'amore ad amici lontani.
Preparare il pranzo per quando tornano i miei coinquilini. Fare la spesa e organizzare un bel cenone.
Posso leggere un romanzo rosa. Guardarmi un film porno degli anni settanta.
Preparare una torta alla marijuana. Portare il cane a fare una lunga passeggiata.
Mettermi a disegnare.
Sfogliare un fumetto.
Cantare sotto la doccia.
Prendermi cura del mio corpo.
Camminare per le stradine del centro e osservare gli addobbi natalizi (a Cork il Natale inizia il 25 novembre. Stanno sempre troppo avanti, questi Irlandesi!).
Potrei anche lavorare, da casa, via internet! Però questo sarebbe troppo. Forse illegale.

L'euforia del venerdì mattina evviva!

Wednesday, November 28, 2012

Già, anch'io pensavo parlassero di zingari, ed invece...


“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perchè tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perchè poco attraenti e selvatici ma perchè si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali”


Dall’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912.

Già, giusto cent'anni fa.

Monday, November 26, 2012

"Coming out", we need to know: a letter by God


Dear friend,
dear new affiliated:

Welcome into the world,
welcome into the life!

Life is great,
life is beautiful,
life is a present
and I am the sender of this great beautiful present.

Please let us know if you like ladies or guys at your earliest convenience: we need to know it.

Best regards,

God.

Saturday, November 24, 2012

Somaro evviva: una rivoluzione culturale con caratteristiche punk.

Amo questa canzone (più le parole che le melodia) perché a mio avviso rende meravigliosamente ciò che penso degli esami e di come questi influenzino la vita dei singoli.
Una canzone ribelle, una rivoluzione culturale con caratteristiche punk.
E' dei Punkreas e si intitola "Sotto esame".
Enjoy!


"Esaminati da una vita che inizia
con una insolita perizia
per vedere se sei uomo o donna sano
fisicamente idoneo, praticamente umano.
Medie, superiori, lunghi anni all'università
per studiare il tuo quoziente intellettivo
e stipulare una sorta di classifica
che renda il più possibile al settore produttivo.

Che posizione hai?
Qual è il tuo numero?
Sei in discesa o sei in salita?
La graduatoria non è altro che
una sparatoria alle tue spalle.
Non puoi dichiarare di aver vinto la partita
rimandato a vita io sarò.
Perderai il tuo tempo per cercare un risultato
sempre rimandato io sarò."

http://www.youtube.com/watch?v=hqwf1x3H3aQ



Negandosi alla vita: in ricordo di un poeta

Se a maggio occorre coraggio,
a novembre negarsi paura non fa
(il 22, le paperelle).
E' successo di morire
e
sicuro
succederà.
Noi siam bravi a far finta di niente
a dimenticare siam bravi di più.
Un poeta è nemico al potere
un poeta rompe i coglioni
quando muore un poeta
in tanto fanno festa
piangono parole in molti di più.



A Remo Pagnanelli, poeta maceratese (1955-1987)

Friday, November 23, 2012

Incredibilmente e solo per stavolta... d'accordo con gli ultras della Lazio!

Thursday, November 22, 2012

Commuovente...


Tuesday, November 20, 2012

Scatole cinesi: la Cina vista dall'Italia, seconda puntata

Calligrafia sugli specchi, il gelato fritto flambé alla cinese, Cesare Romiti, l'eccellenza italiana (??), 100 punti vendita in tre anni, "Florentia village", il lusso e la classe media cinese, il colosso Huawei, brevetti e altro ancora... Lo zampino di China Files su Rai.tv "Scatole cinesi: la Cina vista dall'Italia"

http://www.rai.tv/dl/replaytv/replaytv.html#day=2012-11-18&ch=3&v=158075&vd=2012-11-18&vc=3


(Unica precisazione: vero che anche in Cina si mangiano il gelato, ma a me vengono in mente i bambini che mangiano il ghaicciolo in strada o gli studenti che leccano quella merdosa crema del McDonald's nel dopo scuola... Insomma, non proprio la gelateria italiana ecco...)

Los más grandes artistas latinoamericanos llegan a Beijing



Beijing
Desde el 21 de noviembre hasta el 7 de diciembre
Museo de la ciudad imperial -北京皇城艺术馆
9 Suzhou Hutong, Dongcheng, Beijing, China 北京市东城区菖蒲河沿9号
9:30 a.m a 4:30 p.m
Entrada gratis

http://www.china-files.com/es/link/23561/los-mas-grandes-artistas-latinoamericanos-llegan-a-beijing

Il quinto dice non ammazzare, l'undicesimo non sputare.

Oggi LaStampa ospita un intervento della sinologa italiana Ilaria Maria Sala dal titolo "Non sputate, non vi pulite le scarpe con le lenzuola e non dite parolacce". Non è difficile indovinare di cosa si tratti: cinesi all'estero. Turisti, per la precisione. Ovvero i cinesi "coi soldi".

http://www.lastampa.it/2012/11/20/esteri/non-sputate-non-vi-pulite-le-scarpe-con-le-lenzuola-e-non-dite-parolacce-qxHjBwz538gawRLhEdGNnK/pagina.html

Secondo un sondaggio "condotto da Living Social (un gruppo americano di e.commerce che si occupa di facilitare il turismo)", i cinesi sarebbero secondi nella lista dei peggiori turisti al mondo. Li battono solo gli americani. Per questo il governo cinese corre ai ripari con la solita propaganda di Stato / messaggio promozionale: cari compatrioti, per non rovinare l'immagine della grande Cina all'estero, siete pregati di "non sputare, non pulirsi le scarpe con le lenzuola, osservare l’igiene, non andare in escandescenza in pubblico urlando parolacce, non costringere gli stranieri a posare per le proprie foto, fare la fila e non buttare per terra spazzatura".

A parte che mi piacerebbe sapere chi sono quelli di Living Social, ma a me fa soprattutto ridere quello sulle parolacce. I cinesi non dicono più parolacce di un italiano o di un inglese, tanto più che in linea di massima non hanno dio e quindi le bestemmie non esistono. Ma se anche un cinese dicesse una parolaccia, chi vuoi che lo capisca a Londra, Parigi, Mosca, Roma o New York?! Al massimo un altro cinese!
E quanto ai turisti cinesi a Hong Kong, fino a prova contraria anche Hong Kong è Cina e allora come si fa a parlare di rovinare l'immagine della Cina all'estero?!

Quanto al manuale "per il comportamento corretto dei cinesi all’estero" distribuito dal Ministero del Turismo ai cittadini cinesi, io lo vedo come un atto di umiliazione dello Stato nei confronti del singolo essere umano. "Ci vorranno almeno alcune generazioni prima che i cinesi imparino a comportarsi bene, e migliorare l’immagine dei turisti nel mondo"? Ma andate a cagare! Lo Stato vada ad insegnare l'educazione e le norme di comportamento a chi fa le guerre e brucia vivi bambini! Fascisti!

Per salvare il poeta Qu Yuan

Un successo, direi, l'ultimo film di Andrea Segre ("Io sono Li", 2011). Al cinema hanno dovuto cambiarci di sala, perché quella prefissata era troppo piccola per ospitarci tutti. Applausi a scena aperta sul finale.

Drammatico senz'altro. Ma se vogliamo racchiuderlo in una parola credo sia "poetico" il termine più consono. Qu Yuan, il grande poeta cinese del terzo secolo avanti Cristo, ritorna più volte nel film. Tra gli attori principali, il pescatore slavo trapiantato a Chioggia è chiamato "poeta" dagli amici al bar perché sa mettere le parole in rima. E poi c'è Zhao Tao, che interpreta Shun Li, una donna immigrata in Italia.
Li è preda delle locali mafie cinesi, che la fanno lavorare senza sosta con la promessa di farla ricongiungere col figlio di otto anni, lasciato in custodia al padre in Cina. Una piccola osteria gestita da cinesi e frequentata da pescatori fa da contesto.
Il film è stato girato in veneto e in mandarino.

Zhao Tao, superba eroina del regista Jia Zhangke. Al pari di quello che Gong Li è stata (e sarà ancora?) per Zhang Yimou. "Unknown Pleasures", "Still life", "24 City", tanto per capire di cosa stiamo parlando. Una regina del set. Troppo superiore agli altri attori, due spanne sopra almeno. Debole la recitazione di Giuseppe Battiston: ha fatto di meglio altrove.

Poetico è il finale, come poetico è il legame tra Bepi, il pescatore sloveno, e Shun Li, la barista che viene da Fuzhou. Poetica è l'acqua alta e lo sono le candele fatte scivolare lungo i canali per salvare la vita a Qu Yuan, così come vuole la tradizione. C'è qualcosa di poetico anche nel vedere una giovane donna praticare il taijiquan, una delle arti marziali cinesi, sul lungomare veneto.

Un film che si nutre di luoghi comuni, quegli stessi luoghi comuni che spesso hanno un fondo di verità. E anche qualcosa di più. Che tanto piacciono alla gente e che si sostituiscono alla realtà, la creano, la modellano. Chi ha bisogno di verità al giorno d'oggi? Meglio pensare che Marco Polo abbia insegnato ai cinesi a cucinare il pesce, o che le donne cinesi vengano in Italia per trovare marito e scappare coi soldi. Molto più facile, molto meno impegnativo. "Usala la testa, ogni tanto", consigliava il pescatore sloveno al bullo di quartiere. Anche no: giù di botte.

Per fortuna che resta il sacrifico morale di Qu Yuan. Per fortuna resta la sua poesia. E un grande direttore della fotografia, specie per la scena finale. 

Storia della fotografia in Cina

Abbiamo il piacere di invitarla alla presentazione a Roma del libro "Storia della fotografia in Cina. Le opere di artisti cinesi e occidentali" di Marco Meccarelli e Antonella Flamminii con un saggio di Yee Wah Foo

-   Martedi 4 dicembre ore 19 presso libreria Koob, via Luigi Poletti 2, Roma - quartiere Flaminio, di fronte all´entrata del Museo MaXXi Tel.  06.45425109   info@koob.it  www.koob.it

Interverranno gli autori e verrà proiettato un video di presentazione realizzato da Yee Wah Foo

Gli autori parleranno della loro ricerca anche Lunedì 3 dicembre alle ore 13.00 presso l´aula 1 Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Storia dell'arte e Spettacolo Corso di Storia dell'arte contemporanea (prof.ssa Antonella Sbrilli).

Email: fotografiacinese@libero.it

Per consultare alcune pagine del libro:
http://www.novalogos.it/drive/File/Libro%20Meccarelli-Flamminii.pdf

Monday, November 19, 2012

Congratulations Israel!


Friday, November 16, 2012

Diario di un prof: 吃苦的

Considerando il mio contratto di lavoro e i costi dei voli sotto Natale, realizzo che uno lavora per tre mesi solo per pagarsi le sbronze nel weekend e il biglietto di ritorno a casa. Ora capisco cosa intendono i migranti cinesi quando dicono che la loro vita è 吃苦的...

Thursday, November 15, 2012

Tua moglie ti tradisce? Non arrivi a fine mese? Tuo figlio si vergogna di te? Nessun problema, picchia che ti passa!


Wednesday, November 14, 2012

Quando la legge uccide: in memoria di Savita Halappavanar



Savita Halappavanar aveva 31 anni. E' morta ieri nell'ospedale universitario di Galway, nell'Irlanda occidentale. E' morta perché non le hanno prestato il dovuto soccorso. E' morta perché i medici hanno preferito sacrificare la sua vita e quella del feto che aveva in grembo piuttosto che praticarle l'aborto che l'avrebbe salvata. "Questo è un paese cattolico", le hanno detto prima che morisse.

Peccato che Savita non fosse né irlandese né cattolica.

L'aborto è illegale in Irlanda. Le giovani irlandesi (come potrebbe benissimo essere una delle mie studentesse) che non vogliono avere una gravidanza devono andare in Inghilterra o a Belfast, nell'Irlanda del nord, per abortire. Evidentemente qui il diritto alla vita vale solo per il feto, non per le donne, non per le madri.

"E' la legge", è stata la difesa del consulente medico. Bene. Allora la legge ammazza. La legge è assassina. La legge andrebbe chiusa in carcere, torturata, umiliata, giustiziata, come fanno con i criminali comuni. La legge ha ucciso Salita Halappavanar, una giovane indiana indù, la cui unica colpa è stata di avere complicazioni durante la gravidanza.

Solo due mesi fa un comitato di medici irlandesi ha detto che l'aborto non è necessario per salvare la vita di una donna, che la medicina garantisce una gravidanza sicura per le donne.
Come ha scritto giustamente Jill Filipovic su un articolo del Guardian, "sono sicura che Savita non sarebbe stata d'accordo". Ne sono convinto anche io.



Photo credit:
http://www.guardian.co.uk/world/2012/nov/14/ireland-abortion-law-woman-death?intcmp=239  

La critica letteraria oggi in Italia (un grazie alla prof.ssa M. Ganeri)

"Il tradimento dei critici è allora prima di tutto la paralisi della critica provocata dalla critica stessa posseduta dalle formae mentis della chiusura. Un piccolo pessimismo funzionale e repressivo che ha prodotto quasi un restringimento addizionale del pensiero e delle possibilità dell'azione: una miscela nefasta di malinconia, pigrizia, cinismo e divieti introiettati, che hanno contrastato la generazione, producendo un vuoto culturale e spirituale spaventoso."

C. Benedetti, "Il tradimento dei critici"

Tuesday, November 13, 2012

New Left and Chinese Socialism 3.0


"It is only in this global context that we can truly appreciate the significance of Chinese socialism 3.0. The Chinese people do not believe in the “end of history” and remain tireless in exploring the socialist path. At the same time, they will not rest on their laurels or stick to the beaten path. Having reached a new stage of development, they will “upgrade” socialism with Chinese characteristics while experimenting with a wide range of new policies.28 Since food and clothing are no longer the major concern of the vast majority of Chinese people, Chinese socialism 3.0 must substantially increase investment in public goods and services, and further improve the welfare level of the whole of society."

Wang Shaoguang

Source: European Council on Foreign Relations

1982-2012: Chumbawamba arrivederci!


Prima che coi Nirvana o i Ramones io cominciai a pogare coi Chumbawamba.
Grazie per gli ultimi 30 anni di rock e anarchia ragazzi!

“Tubthumping became known to some purely as a drinking song. Which is fair enough, because, if nothing else, it didn’t belong to an elite group of musicians—it belonged to people. People at football matches, people singing along to the radio as they drove, people at parties drinking too much whiskey and tripping over the kitchen chairs. People like me. And because it helped beggar the notion that Chumbawamba were boring zealots on a mission from Planet Anarchy.”
— Boff Whalley, founding member of Chumbawamba

Source:

Che belli i miei nuovi coinquilini...


Tre il numero perfetto. A est come a ovest.

Oggi ho scoperto che in coreano "tre" si dice "sam". In cinese è "san", in giapponese sempre "san". In tibetano "g.sum". 
Non dico che sia strano. Oltretutto queste lingue appartengono a famiglie linguistiche diverse. 

Ma se paragoniamo queste quattro con alcune lingue indoeuropee (quelle latine e quelle germaniche) notiamo che curiosamente anche qui il numero "tre" è quello che ha traduzioni più affini:

- "three" in inglese;
- "drei" in tedesco;
- "trois" in francese;
- "tres" in spagnolo;
- "tres" in portoghese;
- "trei" in romeno.

Gli altri numeri, compresi "uno" e "due" non sembrano avere tali somiglianze fonetiche.

Interessante.

Non sono un linguista e quindi potrei star dicendo una grandissima balla. Beh, non sarebbe la prima volta ;)

Sunday, November 11, 2012

Was Maoist China a Stalinist-capitalist country?

"But it is important to remember that “land to the peasants” and the expropriation of the pre-capitalist landholders are the bourgeois revolution, as they have been since the French Revolution of 1789. The regime for this reason was genuinely popular and many overseas Chinese who were not Communists returned to help rebuild the country. Some “progressive capitalists” were retained to continue running their factories. After the chaos of the previous 30 years, this stabilization was a breath of fresh air. The People's Liberation Army also intervened in the Korean War to help Kim il-sung fight the United States and the United Nations forces. But it is also important not to lose sight of the fact that the Korean War was part of a war between the two Cold War blocs, and that what Kim implemented in North Korea after 1953 was another Stalinist “bourgeois revolution with red flags” based on land to the peasants. (North Korea went on to become the first proletarian hereditary monarchy, now in its third incarnation.)"

from Loren Goldner's "bare-bones history" of Maoism.

Source:
http://libcom.org/history/notes-towards-critique-maoism

A voi la guerra piace... (II)


Otto Dix, "Stormtroops Advancing Under Gas" (1924)

A voi la guerra piace...


Ernst Friedrich, "Krieg dem kriege" (1924)

Source:
http://www.kristermyrlonn.com/indexpg2.html

La linea dell'orizzonte. E quella della poesia. Irlandese.


"always searching around
limply, like searching in dreams
for some necessity"

Mary D. O'Neill (1898-1957)

Lettera ad una professoressa: lettura consigliata ai giovani accademici italiani che lavorano all'estero

La seguente lettera è stata scritta da un mio caro amico, Claudio Sopranzetti, ad una sua ex professoressa che insegna a Roma. La lettera è rivolta a lei, ma aperta alla visione di tutti. 
Credo che valga la pena spenderci due minuti del nostro preziosissimo tempo.
Buona lettura.


Ciao a tutti, oggi per qualche motivo mi sono messo a scrivere ad una mia professoressa a Roma e mi sono fatto un po prendere la mano. Volevo condividere sta lettera con tutti voi perche' in un modo o nell'altro ne fate tutti parte cosi come tanti altri che non sono riuscita a taggare perche' facebook mi sbroccava. Fatela girare a chiunque pensate che possa voler leggerla. Abbiamo bisogno di cominciare a dire queste cose, altrimenti il nostro silenzio ci uccidera'.


Salve Professoressa,
 Sono a Boston in questo momento ma saro' di ritorno in Italia a fine novembre. Mi spiace sentirla cosi scoraggiata con l'universita' italiana ma purtroppo ultimamente sto condividendo la sua sensazione. Ma andiamo per ordine.

Volevo scriverle per darle alcune buone notizie. Sto finendo la mia tesi e allo stesso tempo facendo domanda di post-doc e di posizioni accademiche. Questa ricerca sta dando risultati molto al di sopra delle mie aspettative. Ho vinto un post-doc a Singapore su citta' asitiche e sono tra i finalisti sia per il post-doc a oxford all souls che a cambridge saint john college. La settimana prossima saro' a San Francisco per il convegno della associazione antropologica americana e avro' interviste per tre posizioni come professore a Carleton College, Georgetown University e Princeton!!!! Oltre a questo mi sara' consegnato il premio per migliore saggio di antropologia urbana del 2012!!!!

Tutto per il verso giusto, queste notizie sembrerebbero dire. E invece non posso mettere a tacere il sentimento di rabbia nei confronti del sistema italiano. Come e' possibile che nel mio paese di origine, in cui vorrei tornare e che francamente non vanta lo stesso prestigio accademico degli Stati Uniti, rimango senza alcuna minima possibilita' di entrare in universita' mentre qui mi invitano per interviste nelle migliori universita' e offrono post-doc da sogno, ben retribuiti e con larghe possibilita' di crescita. Ultimamente e' come se ogni successo mi rendesse piu rabbioso e forse piu' motivato a cercare una via di ritorno in Italia. Sono veramente esausto di fare tutto con la massima dedizione e buoni risultati e non vedere nessun effetto in quella direzione ma allo stesso tempo sempre piu convinto che non 'e una vita in america quello che voglio. A questo oramai mi sento condannato da un paese che non solo non sfrutta e sviluppa i propri talenti ma persino disdegna quelli formati con fondi, risorse, e dedizione da altri paesi. E' frustrante e francamente triste.

Questi sentimenti aumentano quando leggo le parole di un accademico come lei, che ha posto dedizione, tempo, e, perche' no, amore nella universita' e si trova incastrata in una macchina burocratica, volta a valutare e quantificare tutto ma senza costruire nulla. Un sistema che sembra uscito da un racconto di Brecht, un essere schizzofrenico che conta i numeri di colpi di accetta mentre fa a pezzi il ramo su cui siede, congratulandosi con se stesso dell'efficenza che sta ottenendo. 

Mi spiace di buttar sopra altra frustrazione a quella che gia' traspare dalle sue parole, ma questo vivo.  Rimane, pero', una speranza. Gli ultimi tre mesi passati in Italia me l'hanno fatta rinascere e coltivare come un fiore debole in mezzo all'inverno. Si sta alzando una nuova onda, un'onda locale, ancora troppo piccola per essere visibile a livello del mare ma che sta spostando molti di noi. Un'onda di ritorni, di giovani che rispondono ai chiari e inequivocabili messaggi che ci dicono di andarcene e non tornare indietro con una testarda dedizione, con una voglia di non accettare il sistema Italia come e' ma di mallearlo e dargli forma con le nostre mani, che questo necessiti pugni o che necessiti accurate carezze. Questa e' la nostra sfida, e non piu' quella della vostra generazione. Una sfida i cui risultati non possiamo imputare alla politica, alla generazione precedente, al debito pubblico, o agli sprechi. La vera enorme sfida di noi 30enni oggi in Italia, una sfida che, se fallimentare, saremo stati noi a perdere e, se di successo, saremo stati noi a vincere. E' il nostro tempo e non voglio viverlo a distanza, non voglio dover sentire tra 20 anni che il sistema Italia mi e ci ha tolto persino la possibilita' di giocarmela. Responsabilita', serieta', e un po di ciecita' sognante, di questo abbiamo bisogno oggi. 

Tutto questo per farla un po' partecipe delle mie riflessioni ora, magari la via sara' un po tortuosa ma tornero' e torneremo e non pensi che quello che lei e persone come lei hanno fatto per tutti noi e per la nostra generazione e' stato o sara' dimenticato, cosi come non sara' dimenticato l'operato di chi questo sistema l'ha creato e ne ha tratto profitto. Sotto il deserto del reale dell' Italia di oggi stanno crescendo delle piantine so che non e' facile vederle, ma provi a crederci e abbia un po di fiducia nella nostra generazione. 


Per quanto riguarda presentare a roma come al solito sarebbe un mio piacere e sarei anche disposto a condurre un mini-seminario con gli studenti avanzati invece che presentare il mio lavoro, magari una cosa di due-tre incontri per un mese piu di dibattito e discussione su temi a me cari che possano interessare anche loro, magari di antropologia urbana. Ovviamente sarei felice di farlo a termine semi-gratuiti. Mi manca l'insegnamento in questo anno di scrittura. 

La abbraccio dopo questa lunga mail e spero di vederla presto.

Friday, November 09, 2012

Sinologia come forma di neo-colonialismo?


Durante una conferenza a Harvard di qualche giorno fa, il report cinese Wang Wen ha detto la sua su come studiosi, osservatori e media occidentali trattano di Cina:

美国观察:在哈佛主讲中国后的震惊

Una docente statunitense ha scritto in un forum accademico:

Wang […] reports that when discussing Chinese media and reporting with Westerners, his audience invariably fails to understand the 30-year improvement in media freedom in China, especially during the age of micro-blogging. He also criticizes Harvard-both the Fairbanks Center and the Department of Government-for not inviting mainland scholars to give talks. And finally, Wang argues that even more alarming is that the way of interpreting China, or the entire China discourse, is being fed to Chinese students by Western professors, as he discovered over a dinner conversation with a few Chinese students. While not directing criticism toward anyone in particular, and commentino favorably on the knowledge of the "foreign" China experts, Wang laments the abandonment of the discourse on China to "foreigners," that is, "European and American scholars."

Ora, tralasciando il fatto che la traduzione in inglese dall’originale cinese non è proprio fedelissima, io credo che quanto detto da Wang merita attenzione e dovrebbe sviluppare un dibattito a livello politico e accademico.
È vero che moltissimi studenti, ricercatori e professori cinesi stanno trovando posto nelle università occidentali, ed è anche vero che l’influenza delle istituzioni cinesi nel mondo accademico occidentale sta aumentando (vedi il caso degli Istituti Confucio), al pari dei loro investimenti.

Ma è anche vero (e lo dico perché lo vivo sulla mia pelle) che sempre più stranieri stanno insegnando nelle università e nei centri di ricerca cinesi, è vero che la gran parte del dibattito degli ultimi venti anni sulla Cina (in lingua non cinese) è in mano ai media, alle istituzioni, agli studiosi e alle lobby occidentali. Cioè siamo “noi” ad analizzare e decidere “cosa sono e perché” i cinesi. I cinesi stessi in questo dibattito globale (in lingua non cinese, ripeto) hanno poca voce in capitolo.

Io ci vedo del neo-colonialismo. Fare propria l’economia e la politica di un paese (ormai troppo forte per essere governato a livello militare, politico o economico) studiandolo a fondo, descrivendolo, rappresentandolo, discutendolo a non finire. Persino agli stessi cinesi: vedi il caso di docenti americani o europei che insegnano scienze sociali cinesi ai cinesi stessi, o i dibattiti in TV o nelle università occidentali sulla Cina che non prevedono quasi invitati cinesi.

Sì, è un problema e andrebbe discusso. Ma così rischiamo di perdere l’egemonia culturale e politica che spetta, tradizionalmente, all’uomo bianco.

Alla base di tutto c’è ovviamente il difficile rapporto tra la politica di un paese e l’educazione che sceglie di dare ai suoi giovani. L’università e la comunità accademica dovrebbero esulare da questi (sporchi) giochi di potere, di politica, di nazionalismo e campanilismo. Ma è chiaro che così non è. 

Diario di un prof: la segretaria

Ho ancora la cornetta del telefono in stato di eccitazione. Da qualche minuto ho terminato una chiamata con la segretaria di una compagnia tal dei tali. Mammamia.

Per lavoro mi capita spesso di contattare funzionari, dirigenti o alti responsabili di aziende o organizzazioni. Dentro e fuori i circoli accademici. Sono gentili, rispondono quasi subito e di solito il messaggio recita "Molte grazie bla bla bla... La farò contattare al più presto dalla mia segretaria".

Così e stato anche oggi. Aspettavo in ufficio la chiamata. Arriva la chiamata. La chiamata sarà durata al massimo 90 secondi. In 90 secondi la signorina al telefono mi ha snocciolato informazioni e date da riempire un taccuino di caccia.

Voce giovane e sicura. E' partita con garbo per poi mollarmi tutta l'enorme quantità di informazioni che mi attendeva nella sua agenda. Velocità di esposizione in crescendo, si è fermata solo un paio di volte per farmi una domanda a risposta multipla. Domanda secca, risposta secca, e via a riprendere la sua mitraglia di parole.

"E questo è tutto. Ha delle domande?"
"Ecco io..."
"Molto bene. Le auguro una buona giornata"
E ha riagganciato.

Mammamia. Credo di essermi innamorato.

Riguardo gli appunti che ho preso. C'è del lavoro per tutto il weekend almeno. Che donna!

Cazzo, magari ad avercela io una segretaria così! Non dovrei far nulla. Non ho ben capito perché statisticamente le segretarie sono in gran parte donne. Di sicuro non deve esser facile. Io non sarei mai in grado: non puoi fare il segretario se ti presenti a lavoro con la barba sfatta ed evidenti postumi di una sbornia esagerata un giorno ogni tre. La segretaria deve essere seria e impeccabile a lavoro. Bella presenza, abile nei rapporti sociali, sorriso falso, zelo e arrivismo, sveglia, attenta, capace e rapace. Uno squalo d'ufficio.

Dicono che dietro ad ogni grande uomo c'è una grande donna.
Secondo me c'è solo una grande segretaria.

Thursday, November 08, 2012

La pitturata stagione dei conigli bianchi

La stagione delle mele. E quella delle pere.
La stagione dei giullari d'ufficio con famiglia a carico.
La stagione della decadenza dei costumi da bagno.
La stagione del primo della classe non è acqua.
La stagione del pendolo e di suo fratello Romina.
La stagione della pisciata senza compagnia.
La stagione di gruppi di orribili cubi di cemento che chiamano. Città.
La stagione consumata consumando.
La stagione senza mezze stagioni.
La stagione defilata in prima fila.
La stagione delle zucche fatte esplodere con cariche di birra fredda.
La stagione del "feed your head".
Feed you head.


"Camerati! At-tenti!"
(tu-tum)
"Camerata Pino Rauti!"
"Presente!!"

Roma, Basilica di San Marco, 5 novembre 2012. Funerali di Giuseppe Umberto Rauti, ex-segretario nazionale del Movimento Sociale Italiano.

Wednesday, November 07, 2012

Diario di un prof: quote rosa e sinologia.


Durante una conferenza di sinologia a Parigi lo scorso settembre, uno degli organizzatori si è congratulato con i presenti perché era felice di vedere la grande partecipazione di pubblico accademico femminile. Secondo lui, la sinologia è tradizionalmente in mano agli uomini.

Bah…

Quando ero studente di cinese a Roma nella mia facoltà c’erano quasi solo donne. Diciamo 70% di donne, 29% di gay e 1% di “sesso dubbio, genere indefinito”. Io rientravo in quell’1%. In classe eravamo massimo tre maschietti. Quando andai in Cina per la prima volta nel 2004 io ero l’unico maschio in un gruppo di diciannove studenti.
Ora che faccio il docente, la situazione non è molto cambiata: la preside di facoltà è donna, la segretaria pure, quasi tutte le docenti e le lettrici sono donne, ho solo due colleghi maschi di cui uno non è un accademico e l’altro insegna in università ma ufficialmente lavora per un’altra istituzione. Quando a me scadrà il contratto, ufficialmente non ci sarà personale accademico maschio nella facoltà di Studi orientali.

Non dico che sia male, anzi. Viva le donne, viva le donne al potere! Però poi quando fai domanda per un posto da docente o per presentare un saggio a una conferenza e nel modulo da compilare vedi “l’università accoglie particolarmente domande da parte di donne e appartenenti alle minoranze etniche” un po’ mi girano le scatole. Vi siete guardati attorno, capite che i maschi sono la netta minoranza, la razza in via di estinzione?! Cosa cavolo vuoi fare il solidale col gentil sesso se a essere stimolati per la domanda di lavoro dovremmo essere noi uomini?

Bah… 

Diario di un prof: il documentario, il vero e la sua rappresentazione.


Ascoltavo oggi la lezione di un docente inglese che si occupa di cinema documentario, quando il cervello mi è andato completamente in pappa. Mi sono poi accorto di aver sbavato il maglione...

Il garbuglio trova origine nel rapporto tra il vero e la sua rappresentazione. Ovvero il fittizio. “Ogni documentario è finzione” ha detto non so quale regista. Il problema è la rappresentazione del vero. Non si può rappresentare il vero. Ogni narrazione (fotografica, cinematografica, giornalistica, fumettistica, ecc….) è sempre falsa, o, nella migliore delle ipotesi, verosimile.
A me sembra labile il confine tra il “documentary” e il “mockumentary” (il falso documentario). John Grierson, contemporaneo di Dziga Vertov, definiva il documentario un “creativity treatment of actuality”. Finzione, dunque. 
Guardatevi (si trova anche su Youtube) “The Dark Side of the Moon” (2002), di William Karel. E anche “Nanook of the North” (1922), di Robert Flaherty.

Pensate a un film storico. O a un film “basato su una storia vera”. Che minchia è una storia vera? Lo sbarco in Normandia è una storia vera? Beh, fino a prova contraria sì. Ma fino a prova contraria la storia la scrivono i vincitori, quindi il concetto di “storia vera” è viziato, mai vero in assoluto. Se andiamo in Tibet alcuni tibetani vi diranno che il Tibet è stato invaso dall’esercito cinese, mentre alcuni cinesi vi diranno che il Tibet è stato liberato dai comunisti cinesi.

Al di là delle ovvie considerazioni e le banali pretese di relativismo, il problema resta rappresentare il vero. Se poi volete proprio dar via di matto, provate a complicare (rovesciando) la domanda e chiedervi: falsificare la realtà è semplice (basta rappresentarla), ma come faccio a realizzare la falsità? Cioè rappresentare realmente la falsità, la menzogna, il non-vero?

E poi, muovendoci verso ottiche più vicine al mercato: chi dice che il vero vende più del falso? Cioè perché apprezzare di più un documentario fedele a una supposta storia vera che un documentario romanzato e drammatico?
O anche, chi dice che un prodotto falso (pensiamo a un capo di abbigliamento, una borsetta o un film pirata) sia meglio del vero, dell’originale. Potrebbe anche succedere il contrario. Il consumatore insegue la moda, il trend del momento, non più alti “valori” di verità o qualità.
Si dice che le masse preferiscono una comoda bugia a una scomoda verità. O che la verità non vuole essere ascoltata. E così via (basta anche solo aprire feisbuc per sbizzarrirsi).

Trovo quindi molto interessante questo confuso palleggio tra la verità e la sua rappresentazione, tra il vero e il fittizio, al quale il docente inglese ci ha di fatto portato.

Scriveva Dostoevskij: “La verità è sempre inverosimile, lo sapete voi questo? Per rendere la verità più verosimile bisogna assolutamente mescolarvi della menzogna”.
Smettiamola di lamentarci con giornalisti o coi registi se le loro rappresentazioni non riproducono il vero. Il vero non è rappresentabile. Il vero non esiste. Ce lo dicevano i sofisti già parecchi secoli fa.

Tuesday, November 06, 2012

Uno stato d'animo molto ricorrente...

“Se sono come tutti gli altri, se non ho sentimenti o pensieri che mi rendano differente, se mi adatto e accetto i costumi, l’abbigliamento, le idee, lo schema comportamentale di gruppo, allora sono salvato; salvato dalla terribile esperienza della solitudine. I sistemi dittatoriali utilizzano la minaccia e il terrore per indurre questo conformismo, i paesi democratici utilizzano la suggestione e la propaganda”

Erich Fromm

Sunday, November 04, 2012

Smetto da morto.

Perderti mi farebbe troppo male.
Evitiamo quindi di unirci. A priori. Semplicemente.

Beh, a dirla tutta, amo la casa dove vivo da un paio di mesi a questa parte. Molteplici sono le ragioni e provo qui a stilarne un elenco. Amo la casa dove vivo perché...

In frigo c'è sempre birra. Spesso vino negli scaffali. E se ti va di culo nel weekend fai colazione con whiskey irlandese.

Sono il meno giovane in campo. Il potere in casa non è solo operaio ma anche e soprattutto femminile. Avere la casa gestita da giovani ragazze irlandesi è quanto di meglio possa regalarti la vita.

Abbiamo ospiti. Spesso e volentieri. A quattro zampe, a due e anche un sacco di ragni. La casa è grande e una coperta avanza sempre.

Si improvvisano spesso feste tra le quattro mura di casa. Basta poco: dieci persone, alcool nelle vene, due accordi punk. Uno specchio rotto a noi porta fortuna.

Capita raramente di mangiare solo. Più spesso succede invece di dividere il rancio coi coinquilini o con i loro (nostri) ospiti.

Il padrone di casa fa capolino una volta al mese. Solo per prendere l'affitto. E per chiederci se abbiamo bisogno di qualcosa o se si è rotto qualcosa. Noi abbiamo rotto tutto ma al padrone non lo possiamo dire.

Ci sono tante biciclette in casa. Non sappiamo dove metterle. Nello sgabuzzino non c'è più posto, in giardino piove e allora o le usiamo com sedie o come opera d'arte sopra il tavolino in cucina.

Quando torni scazzato dal lavoro (e succede spesso) avere un paio di persone in casa con cui sfogarti aiuta moltissimo. Due bicchieri di vino fanno il resto.

Ma soprattutto amo la casa dove abito perché non esiste concezione del tempo: gli orari di lavoro, alimentazione, festa o sesso non seguono il calendario giuliano né quello maya. Semplicemente si fa quando se ne ha voglia. Trotsky teorizzava la rivoluzione permanente. Qui abbiamo invece il party always on.

Evviva.



Saturday, November 03, 2012

Quale migliore immagine dell'Irlanda?!


Thursday, November 01, 2012

Halloween: una festa da paura!