Tuesday, July 31, 2012

Di quel viaggio in America Centrale (IV): il mal di mare e come evitare di vomitare nel Mar dei Caraibi...



Giungere alle isole del mais (Corn Islands o Islas de Maiz che dir si voglia) dall'isola di Ometepe e' da rincoglioniti. Senza dubbio alcuno. Tuttavia, l'amore per i viaggi di dieci ore in bus tra una mucca e un berbero insano di mente hanno quel fascino che nessun iPod puo' sostituire. E quindi e' sorta spontanea la domanda: "Perche' no?!". Sapevo che non avrei dovuto fare un altro viaggio con V.

Fuggiti da Altagracia all'alba eccoci a San Jose del Sur, altro porto dell'isola. Due ore di traghetto e dieci minuti di anarco-taxi ci portano dritti a Rivas. Il tempo di divorare due avocado e siamo su un bus che in appena altre due ore ci porta a Managua. Da li' altre sette ore per Rama.
A Rama non credere mai. Te lo dico col cuore in mano. Ci aspettavamo una citta' del Nicaragua orientale, non distante dal Mar dei Caraibi. Abbiamo invece trovato l'ennesimo villaggio circondato da giungle. Almeno hanno un paio di centri internet e un supermercato che vende birra fredda a prezzi da farti diventare alcolista di professione.
Tre dollari ci e' costata la topaia dove abbiamo passato la notte. Le catapecchie senza acqua corrente sono le mie preferite. Niente acqua, ma almeno un pallone da calcio col quale fare due tiri con le pozzanghere. Sono esperienze che nessun iPod regala.

Alle cinque del giorno dopo una nave cargo lascia il porto fluviale di Rama destinazione Islas de Maiz, a quindici ore di distanza (sperduta nel Mar dei Caraibi, un centinaio di chilometri da Rama). La mia prima volta su una nave cargo. "Nave"... Leggi "barca". Leggi "peschereccio" (questa e' dedicata agli ultras della Rata). Insomma un catorcio del 1928 con cinque marinai, dieci passeggeri e qualche tonnellata di merce a bordo. "Quando parte la nave?", viene da chiedersi. "Quando abbiamo finito di caricarla" risponde saggiamente il marinaio. Ovvero nessuno lo sa. Ma partiamo.

A me il mare non fa paura. Anzi, affascina. Ma io sono abituato al Mar Adriatico, al massimo al Mediterraneo. Qua invece siamo nel Mar dei Caraibi, parte dell'Oceano Atlantico. Ed e' inverno. Inutile dirvi che mi sono cagato sotto per quasi tutto il viaggio. Non ho vomitato anche l'ultimo rene solo perche' fortuna ha voluto che non mangiavamo ne' bevevamo da ore.
Il mal di mare e' orribile. Affrontare le onde dell'oceano per quindici ore con un peschereccio stile Spalato-Ancona e', ancora una volta, un'esperienza da raccontare ai nipotini (nel caso in cui si sopravviva all'esperienza stessa). Funziona che la "nave" e' troppo piccola, e quando affronta le onde del mare prima sale sale e poi scende scende, con un botto non indifferente, qualche ettolitro di mare che sale a bordo e un movimento del bacino da montagne russe moltiplicato per mille. Il tutto dormendo su una pila di casse di carote e manghi. Lo sguardo indifferente dei marinai e' l'unica cosa che ancora hai a bordo. Se loro non hanno paura non devi averne neanche tu. Le bambine a bordo vomitano, le mamme ti fissano terrorizzate, i marinai fanno la differenza.
I marinai fanno la differenza.
Non lo trovi nell'iPod.
Ora capisco quando a scuola ti dicono che Cristoforo Colombo bacio' terra una volta messo piede in quella che chiamarono America.

Le isole del mais sono due, una grande e una piccola. La piccola e' piu' turistica, ma non ha strade ne' auto ne' servizi ne' tutto il resto. Un paradiso, ci dicono. In effetti non ci sono andati troppo lontano...
Avete presente la Giamaica? Esatto, solo grande come il parcheggio del vostro condominio.

Di questo parleremo un'altra volta. Spero l'immagine in alto aiuti con la geografia del posto.

  

Sunday, July 29, 2012

Islas del Maiz, Nicaragua. Ovvero quanto a trash l'isola dei famosi ce fa 'na sega...








Thursday, July 26, 2012

Di quel viaggio in America Centrale (III): l'urlo di Munch in chiave post-moderna e centroamericana...



La cosa che più mi affascina qui in Nicaragua sono le case. O meglio, gli appartamenti della gente: sono enormi, li vedi dalla strada tramite finestrone ed ingressi sempre aperti. Al loro interno soffitti altissimi e spazi larghi, riempiti da pochi mobili, una televisione e qualche divano, dove le famiglie si godono al fresco ombra e relax.

Oltre alle fresche birrette si bevono (e beviamo) quelle che chiamano "frescos" (probabilmente abbreviazione per "refrescos"), ovvero piccoli sacchetti di plastica riempiti con succhi di anguria, limone o alta frutta e ghiaccio.
Tra i vari tipi di frutta che trovo nei mercati ce ne è uno di cui ignoro il nome. Sembrano piccole ciliegie, ma di colore giallo. Sanno di maotai (la grappa acida cinese): una delle scoperte più sorprerndenti fatte finora.
Il trasporto urbano consiste in bus di corta o lunga percorrenza (non esiste rete ferroviaria), molto simili agli scuola-bus che vedete nei film americani.

A Granada siamo andati per una sola ragione: raggiungere l'isola di Ometepe. E' un'isola molto grande, vulcanica e a forma di "8". Resta nella parte occidentale del Lago Nicaragua. Quattro ore di traghetto ci permettono di arrivare ad Altagracia, nel nord-est dell'isola. In traghetto le guardie ci sequestrano un litro di rhum: è vietato bere a bordo, "la gente poi si butta in acqua" ci dicono.

Il giorno dopo siamo in tour con altri turisti ticos (così i nicaraguensi chiamano gli abitanti del Costa Rica) e tre ragazze basche. La nostra guida è un ragazzotto del luogo, un "nica". Il giro comprende una visita ai graffiti su pietra pre-colombiani, una passeggiata alla riserva naturale del Charco Verde ai piedi di uno dei due vulcani e spiaggia. Bel giretto, considerando che non lo abbiamo pagato. Una mancia e una pacca sulle spalle hanno pensato al resto.

Il giorno dopo? Fuga! Direzione terra ferma. E Mar dei Caraibi!

 

Di quel viaggio in America Centrale (II): vulcani, fagioli e Flor de Cañas.



A Leon becco in ostello V., compagno di liceo, di sbronze e di viaggi. Insieme ci siam fatti mezza Europa in interrail nel 2000, l'Italia centrale in autostop nel 2003, la Svezia nel 2004 ed il Sud-est asiatico nel 2005. V. oltretutto viene da tre mesi di viaggio abbestia tra Caraibi e America centrale. Insomma, sono in buone mani.

Passata la sbronza di rito in piazza a Leon, decidiamo di raggiungere la cima del vulcano Telica. Il Nicaragua è il paese dei vulcani. Un vulcano è una montagna con la testa mozzata. Ve ne sono di inattivi. Quelli attivi invece hanno la lava visibile a decine di metri di profondità dal cratere. Non avevo mai visto la lava e perciò siamo arrivati in cima al Telica con due ragazzi irlandesi e una simpatica guida nicaraguense.
Il paesaggio dalla cima del vulcano semplicemente mozzafiato: una sorta di Jurassic Park.

Da Leon abbiamo poi mosso piede verso Granada, a sud di Managua. Altra città dallo stile coloniale. Turistica (dicono). Io di turisti in giro per il Nicaragua ne ho visti pochi, solo qualche "uomo bianco" negli ostelli. Ma bisogna ricordare che, nonostante i 35 gradi fissi, qui è inverno e quindi bassa stagione. Granada non offre molto da vedere, specie se di notte: un marciapiede vicino al centro e qualche birra sono di ottima compagnia mentre con V. discutiamo di vita e di donne finché sbronza non ci separi.

Il cibo in Nicaragua? Scarso, direi. Lo dico da italiano. Italiano che ha vissuto diversi anni in Cina. A quanto pare qui si mangia solo (colazione, pranzo, cena e spuntino di mezzanotte) pollo fritto, riso, fagioli, focaccia di mais, formaggio e frutta. Il "piatto forte" si chiama "gallo pinto", ma a differenza del nome non contiene pollo: è semplicemente riso con fagioli neri. La frutta non bisogna neanche comprarla, basta raccoglierla in giro, sotto gli alberi di banano, mango, avocado, ananas e via dicendo. Il pasto viene condito con abbondante tabasco (peperoncino e aceto), perché altrimenti non ha sapore. Due le birre locali: la Toña e la Victoria. Una bottiglia da 33cl costa meno di un dollaro. E poi, grazie a Dio e a Sandino, c'è il rhum. La migliore delle marche è la Flor de Caña, 35%Vol. Una bottiglia da un litro costa sui dieci dollari.

Fossi stato medico sarei coi Medici Senza Frontiere. Fossi stato giornalista sarei già nei Reporter Senza Frontiere. Purtroppo sono solo un ubriacone e bazzico coi Borracheros Sin Fronteras.      

Di quel viaggio in America Centrale (I): viva Sandino, viva il Nicaragua!



Ebbene sì, lo dico da una trentina d'anni e finalmente l'ho fatto: il viaggio in America Latina!
Un "viaggetto" per la precisione: solo tre settimane, poi il dovere chiama. Meglio di niente.
Raggiungere Managua (capitale del Nicaragua) dall'Italia è un'impresa in termini di soldi e di tempo. Che poi sono la stessa cosa. Pullman mattiniero da Macerata a Roma, bus per Fiumicino, una notte da passare ad Amsterdam (non mi facevo una canna dal 1943), la traversata oceanica fino a Panama city e poi l'ultimo sforzo: l'atterraggio in Nicaragua.
Macerata-Managua 48 ore. Poteva andare peggio: cent'anni fa sarebbero stati due mesi solo di nave. La tecnologia e il progresso fanno miracoli. Decisamente.

Mi avevano detto tante cose dell'America Latina. Molte altre ne avevo lette. A volte è meglio partire senza sapere niente. E' l'unico modo per godersi appieno un viaggio. Al massimo si rischia di morire. Ma so che gente come Giuseppe Tucci avrebbero gradito.
Per paura dei narcos, della criminalità, degli stupratori seriali, della CIA e dello Stato della Chiesa ho deciso di passare la notte (in paranoia) all'aeroporto di Managua. All'alba ho preso il primo bus per Leon, un paio di ore a nord della capitale nicaraguense.

Prime impressioni dal Nicaragua? Un posto tranquillo, con gente rilassata, dove tutto procede a ritmo rilento. Per quello che ci hanno insegnato nei paesi occidentali il primo aggettivo da attribuire a questa terra è "povero". Io preferisco "semplice". Altri lo definiscono "terzo mondo" o "paese in via di sviluppo". A me sembra che la gente viva con grande dignità, vedo pochi accattoni o senza fissa dimora in giro, non vedo bambini per la strada o anziani vestiti di cenci. Poco asfalto per le strade, case alte quattro metri massimo, zero palazzoni, molto traffico e poco chaos. Appena esci dai centri urbani ("urbani" qui è un eufemismo) il paesaggio mi ricorda molto il Kenya o il Sud-est asiatico. Mi avevano raccontato di criminali che ti rubano anche i reni e di tremendi draghi dagli occhi color piombo che ti divorano in un sol boccone sputando a terra solo le scarpe. Fortunatamente non ne ho incontrati.

Managua ha oltre due milioni di abitanti ma a vederla sembra un enorme villaggio, una baraccopoli senza fine. Colpa anche del terremoto del 1972 (ventimila morti, mica cazzi). Leon è invece una sorta di villaggio minore, dove evidente è l'eredità culturale di stampo coloniale a livello architettonico e urbanistico. Chiese del 1600 e piccole piazze colorano la città, assieme ai ritratti sui muri di rivoluzionari sudamericani (il Che in primis) e raffigurazioni di Cristo. Socialismo e cristianesimo sono le due anime politiche del Nicaragua, paese in cui i sandinisti (i rivoluzionari marxisti ispirati da Augusto Cesar Sandino) sono al potere dal 1979, nonostante i tentativi dei Contras e del governo americano di sovvertire l'ordinamento di questo Stato centroamericano.

A Stalingrado non si passa. In Nicaragua, evidentemente, neanche.    



Isla de Ometepe, Nicaragua



















Volcano Telica, Nicaragua











Leon, Nicaragua