Sembra incredibile, ma ogni computer portatile nasconde dei segreti, delle cose messe da parte, via nel dimenticatoio. Dei ricordi. I vostri.
Disteso sul letto, intento a rivedere dei materiali per le lezioni di domani, apro per sbaglio una cartella. La classica cartella che vedi (ma non guardi) ogni giorno decine di volte. Dentro 160 files. 160 lettere scritte una decina di anni fa, in lingue diverse, a persone diverse, con destinazione diversa.
Questo blog è stato aperto nell’ottobre del 2006. Prima non è che non scrivessi. Anzi. Scrivevo di più. La malattia dello scrivere l’ho presa in tenera età. A 12 anni cominciai a scrivere un racconto horror, terminato il giorno del mio 14esimo compleanno. Andato perduto. Poi ho scritto diversi racconti, poesie, prose, pagine di diario. Lettere soprattutto. A mano, al computer, alla macchina da scrivere. 160 di queste lettere sono conservate in questo portatile. Ma non me lo ricordavo.
Ovviamente ho fatto l’errore di aprire i files e cominciare a leggere quelle lettere. Sfoghi da ventenne, manifesti rivoluzionari, delusioni d’amore, incazzature con i genitori, voglia di evasione, confessioni, deliri. Un’autobiografia in forma epistolare. La più vecchia è del 2002, l’ultima del 2006. Lettere alle amanti, lettere a mia sorella, lettere ai detenuti, lettere ai professori, lettere alle amiche sparse per mezza Europa, Cina, Giappone.
Bene, ora posso dire addio alle ore di sonno che mi dividono dal colloquio di domani mattina. Pazienza.
Non sto qui a smocciolare sensazioni, paranoie e deliri vissuti 5-10 anni fa, ma c’è una cosa che più di tutte mi molesta e tormenta. E non è Eros. Ho come la sensazione di essermi (o esserci. Non so perché ma sento di dover parlare al plurale) persi qualcosa. Forse la gioventù, andata per sempre? No, è qualcos’altro. La gioventù è andata e ce la siamo goduta anche troppo. Mi sento come se ci fosse qualcosa che abbiamo (plurale, di nuovo) lasciato in sospeso, interrotto, non portato a termine. Non vedo continuità tra quello che è stato vissuto con passione e convinzione e la situazione attuale delle cose. E, ripeto, parlo al plurale. Come se ci fossimo scordati di portare a termine qualcosa, tradito una promessa per la vita. È il tradimento del Carnevale. Una brutta sensazione.
Ne scrivevo l’altro giorno ad un mio amico che ora vive in India, ma prima lavorava con me a Pechino. Non mi manca la Cina, sono felice e sereno della scelta fatta. Ma è come se mancasse qualcosa al fatto di aver abbandonato la Cina. Mi sento come fregato. Ci hanno fregato. Come se ci fosse qualcosa che si poteva e doveva fare, era stato deciso, invece nulla: sul treno in corsa ci siamo scordati di chiedere dove è che era diretto. Il treno.
Leggere queste lettere non ha fatto altro che ampliare questa amara sensazione. L’incapacità di rimettere insieme quei pezzi e la certezza che manca qualcosa. Il passato è felice, il passato è infelice: guardarlo fa sempre male. Anche se è un atto dovuto.
Qualche post fa, un ragazzo mi ha chiesto di salutare Bukowski. Già, Bukowski. Ti dimentichi in fretta di Foscolo, Leopardi, Pascoli o Baudelaire quando cominci a leggere Bukowski. Non è facile neanche apprezzare Fante, Hesse, Hemingway, Elliot, Pound o Dos Passos se prima ti sei fatto di Bukowski. Non mi è piaciuto neanche quell’altro, come si chiama, quello de “Il pasto nudo”, Burroghs o come si scrive.
Sarà un ricordo che ci seppellirà. Promiscuo. E lascivo.
“Nei miti, ogni volta che sorge un problema cercano di risolverlo subito con un sacrificio umano. La metropolitana è in ritardo: sacrifichiamo la figlia del re”