Quante volte ho sognato la Cina libera. La Cina vasta e imponente in primis come storia e cultura, la Cina a muso duro contro l’arroganza imperialista statunitense, la Cina enorme e diversissima, la Cina delle minoranze etniche, la Cina dell’Himalaya e del Deserto del Gobi, la Cina dell’Oceano Pacifico e della Tartaria. Pensate che figata una Cina libera. Democratica, rispettosa di lavoro, ambiente, pensiero e religione. La Cina non di regime ma ugualmente socialista. Pensate che figata. Un miliardo e trecento milioni di persone libere, coscienti, informate, uguali. Piu’ di una persona su sei al mondo. Che figata. Ogni tanto me lo sogno la notte. E anche di giorno. Sogno un miliardo e trecento milioni di persone libere. Evidentemente a qualcuno fa comodo il contrario o semplicemente una Cina libera non puo’ esistere perche’ si sgretolerebbe anche solo a provarci.
Poi pero’ ci sono Macao (in cinese AoMen) e Hong Kong (in cinese XiangGang) rispettivamente ex colonia portoghese ed inglese ed ora Repubblica Popolare Cinese dal 1999 e 1997. Sono zone speciali, cioe’ zone dove i cinesi della ‘motherland’ non possono entrare se non con un permesso (una specie di visto). Zone che hanno una propria amministrazione politica e soprattutto economica che dovrebbe tendere a uniformarsi a quella cinese in una cinquantina d’anni. Quello che si spera in occidente e’ che avvenga il contrario. I cinesi pensano che Hong Kong e Macao siano come la motherland ma non sanno che non possono neanche metterci piede. Il partito comunista cinese lo chiama “un paese due sistemi”, stessa formula che si usa per Taiwan, tesa ad indicare (o meglio giustificare) che sono territori della Repubblica Popolare Cinese ma che hanno leggi, economie e stili di vita che nella motherland non ci sono, sono vietati o fanno male alla salute.
Detto questo io a Macao e Hong Kong ci sono stato. Facendo lo stagista a Canton (meno di due ore di macchina da entrambe) non potevo perdere l’occasione di farmi un weekend in quelle che mi disegnavano come “la Cina libera” e “perfetta combinazione di cultura occidentale ed estremo orientale”. Ed e’ stata emozione grossa.
A Macao sono stato due giornate. Andato solo. Si arriva alla frontiera di ZhuHai, mezz’ora di formalita’ e come esci dall’ufficio della polizia sei a Macao. Bellissima Macao. Piccolissima (come Ancona credo). Stile portoghese, chiese, istituti e fondazioni europee, cimiteri. Moderna. Stranieri pochi. Soprattutto cinesi, ma cinesi diversi da quelli della motherland, piu’ vicini ai nostri stili, qualcuno potrebbe dire piu’ “civili” ed “educati”. Scritte in inglese, portoghese e cinese tradizionale (non semplificato, diverso dai caratteri del cinese mandarino che studio io per intenderci). La gente parla cantonese e un po’ di inglese e mandarino; i piu’ anziani parlano anche portoghese. Ti chiedi come faccia tanta gente a vivere in un posto cosi’ piccolo e trovi l’unica risposta nel porto e nei commerci che Macao ha col mondo. Due le cose che mi hanno estasiato di Macao: le piazze e le panchine. La Cina dove ho studiato e vissuto io non ha panchine per la strada se non nei parchi e la gente non si siede per terra, la sera si chiude in casa. Le citta’ sono squadrate, formate da enormi stradoni orizzontali e verticali, le piazze sono poche e fungono piu’ da incroci che da luoghi di ritrovo. Passeggiare da solo di notte zaino in spalla e trovarmi all’improvviso in una piazza circolare con una chiesa sullo sfondo, gente di ogni eta’ in giro, cani, giovani seduti in strada con una chitarra e della birra mi ha riempito il cuore di gioia. Mi sembrava di stare a Bologna in Piazza Grande a sedere e bere coi punkabbestia. Talmente felice che ho fatto scorta di birra e sono andato romanticamente ad appisolarmi sotto un ponte sul molo risvegliandomi all’alba con un puntuale mal di testa incluso nel prezzo.
Hong Kong invece e’ l’ombelico del mondo. Straordinaria. Incantevole. Probabilmente unica. Un po’ come Instanbul. Beh, non proprio come Instanbul. Innanzitutto l’immagine che avete dell’Hong Kong a grattacieli su grattacieli e il mare davanti e’ solo una parte minuscola della citta’. Hong Kong e’ enorme, 1100 km quadrati, 260 isole. La piu’ famosa e’ l’isola di Hong Kong, di fronte c’e’ la penisola di JiuLong (in cinese, in cantonese non mi ricordo come si scrive, Koowlon mi sembra) e oltre ci sono i Nuovi Territori che portano alla frontiera di ShenZhen e la motherland. 6 milioni e novecento mila persone. Persone. Non cinesi. A Hong Kong trovi gente da ogni parte del mondo. La parte commerciale (quella coi grattacieli) e’ piena di indiani, pakistani, inglesi, nigeriani, senegalesi, arabi. Sembra la Los Angeles che vediamo nei film. Solo banche, gioiellerie, hotel di lusso. E poi casino’ ed ostelli. Piu’ nascosti ci sono i bordelli. Piu’ pulita, multietnica e frenetica della motherland. Piu’ libera. I giornali ci vanno pesante, trovi scritte sui muri, donne che fumano, giovani coi capelli colorati e le borchie addosso, donne col velo, mendicanti quasi nulla, ragazzine che giocano a basket coi coetanei che vestono come i rapper neri di New York. Tutti che stanno bene e tutti che hanno da fare. Musei ed acquari. La gente rispetta la fila, non sputa per terra, butta la cicca nel cestino dell’immondizia, durante una conversazione ringrazia e saluta come fanno nei paesi anglo-sassoni e un po’ meno anche da noi. Le strade sono diverse dalla Cina. Anche i segnali. E’ come se la citta’ fosse meno uniforme e avesse piu’ personalita’. Monaci e preti passeggiano per le strade. E per le strade trovi associazioni che lavorano per i diritti umani. E che denunciano le malefatte del partito comunista cinese. Distribuiscono materiale per il quale si puo’ essere arrestati in Cina. Hong Kong costa il doppio della Cina ma vale la pena. Per la strada tanti giovani, concerti occasionali, navi, barche, vele. Anche pesci immagino. La domenica il free market, centinaia di donne che fanno una sorta di pic-nic nelle piazze e nelle strade. Nessun uomo. Solo donne sedute a chiacchierare mangiare vendere merce. Anche di fisionomia non sembrano cinesi han, li diresti piuttosto malesi o tailandesi, piu’ scuri in viso e piu’ bassi. A Hong Kong parlano cantonese e un ottimo inglese, quasi tutti parlano anche il cinese mandarino. Interessantissimo il museo d’arte specie nella sezione arte contemporanea. Superiore il museo di storia, il piu’ bel museo che abbia mai visto, descrive la storia di Hong Kong dal neolitico ad oggi, le svolte principali, i rapporti con la Cina e, soprattutto, la storia dal Trattato di Nanchino (1842) quando divenne colonia inglese all’occupazione giapponese (1940) fino al passaggio alla Cina nel 1997. Documentari, video, foto, brochure, quadri, trattati, oggetti, statue di cera, utensili, ricostruzioni e altro ancora. Veramente superbo. Non bastano 4 ore per visitarlo tutto, anche se si va di fretta. Hong Kong e’ una bolgia anche di notte, mercatini, gente in giro, giovani, spiagge, ristorantini di pesce, Disneyland, loschi affari, businessman, mafiosi, pedofili, di tutto e di piu’… a me e’ bastato prendere una stanza di 3 metri quadrati per 10 euro a notte in un ostello improbabilissimo in un grattacielo di ostelli pieno di neri e indiani. Bella storia Hong Kong.
Ultima considerazione: la via piu’ veloce comoda e costosa per andare da Hong Kong in Cina e’ il treno che arriva a Canton (un’ora e mezza, 19 euro in seconda classe); i cinesi che montano a Hong Kong sono gli stessi che scendono a Canton visto che il treno non fa fermate intermedie… mi chiedevo perche’ se quando salgono sono tutti cortesi, sorridenti e parlano in perfetto inglese quando scendono a Canton cambiano improvvisamente atteggiamento, urlano, gridano, spingono, sputano, non guardano in faccia a nessuno, cercano solo di pestarsi in testa l’uno con l’altro. Ci penso da due giorni e non ho ancora trovato una soluzione…
Ore 0.44. Ho appena finito di scrivere questo post e ho appena saputo che a Pechino fa due gradi sotto zero. Io sono in mutande, finestra aperta e zanzare che banchettano come ogni sera. Sto ascoltando i Nirvana e rispondo agli sms. Ho quattro documentari della BBC sulla Cina contemporanea, tre cartoline da scrivere, i denti da lavare e una strana pietra viola sul tavolo. Domani andiamo avanti col lavoro di creazione del nuovo sito del Consolato d’Italia a Canton. Sara’ una bella notte. Evviva la Cina libera!