Wednesday, November 07, 2012

Diario di un prof: il documentario, il vero e la sua rappresentazione.


Ascoltavo oggi la lezione di un docente inglese che si occupa di cinema documentario, quando il cervello mi è andato completamente in pappa. Mi sono poi accorto di aver sbavato il maglione...

Il garbuglio trova origine nel rapporto tra il vero e la sua rappresentazione. Ovvero il fittizio. “Ogni documentario è finzione” ha detto non so quale regista. Il problema è la rappresentazione del vero. Non si può rappresentare il vero. Ogni narrazione (fotografica, cinematografica, giornalistica, fumettistica, ecc….) è sempre falsa, o, nella migliore delle ipotesi, verosimile.
A me sembra labile il confine tra il “documentary” e il “mockumentary” (il falso documentario). John Grierson, contemporaneo di Dziga Vertov, definiva il documentario un “creativity treatment of actuality”. Finzione, dunque. 
Guardatevi (si trova anche su Youtube) “The Dark Side of the Moon” (2002), di William Karel. E anche “Nanook of the North” (1922), di Robert Flaherty.

Pensate a un film storico. O a un film “basato su una storia vera”. Che minchia è una storia vera? Lo sbarco in Normandia è una storia vera? Beh, fino a prova contraria sì. Ma fino a prova contraria la storia la scrivono i vincitori, quindi il concetto di “storia vera” è viziato, mai vero in assoluto. Se andiamo in Tibet alcuni tibetani vi diranno che il Tibet è stato invaso dall’esercito cinese, mentre alcuni cinesi vi diranno che il Tibet è stato liberato dai comunisti cinesi.

Al di là delle ovvie considerazioni e le banali pretese di relativismo, il problema resta rappresentare il vero. Se poi volete proprio dar via di matto, provate a complicare (rovesciando) la domanda e chiedervi: falsificare la realtà è semplice (basta rappresentarla), ma come faccio a realizzare la falsità? Cioè rappresentare realmente la falsità, la menzogna, il non-vero?

E poi, muovendoci verso ottiche più vicine al mercato: chi dice che il vero vende più del falso? Cioè perché apprezzare di più un documentario fedele a una supposta storia vera che un documentario romanzato e drammatico?
O anche, chi dice che un prodotto falso (pensiamo a un capo di abbigliamento, una borsetta o un film pirata) sia meglio del vero, dell’originale. Potrebbe anche succedere il contrario. Il consumatore insegue la moda, il trend del momento, non più alti “valori” di verità o qualità.
Si dice che le masse preferiscono una comoda bugia a una scomoda verità. O che la verità non vuole essere ascoltata. E così via (basta anche solo aprire feisbuc per sbizzarrirsi).

Trovo quindi molto interessante questo confuso palleggio tra la verità e la sua rappresentazione, tra il vero e il fittizio, al quale il docente inglese ci ha di fatto portato.

Scriveva Dostoevskij: “La verità è sempre inverosimile, lo sapete voi questo? Per rendere la verità più verosimile bisogna assolutamente mescolarvi della menzogna”.
Smettiamola di lamentarci con giornalisti o coi registi se le loro rappresentazioni non riproducono il vero. Il vero non è rappresentabile. Il vero non esiste. Ce lo dicevano i sofisti già parecchi secoli fa.

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