Sinologia come forma di neo-colonialismo?
Durante una conferenza a Harvard di qualche giorno fa, il report cinese
Wang Wen ha detto la sua su come studiosi, osservatori e media occidentali
trattano di Cina:
美国观察:在哈佛主讲中国后的震惊
Una docente statunitense ha scritto in un forum accademico:
Wang […] reports that when discussing Chinese media and reporting with
Westerners, his audience invariably fails to understand the 30-year improvement
in media freedom in China, especially during the age of micro-blogging. He also
criticizes Harvard-both the Fairbanks Center and the Department of
Government-for not inviting mainland scholars to give talks. And finally, Wang
argues that even more alarming is that the way of interpreting China, or the
entire China discourse, is being fed to Chinese students by Western professors,
as he discovered over a dinner conversation with a few Chinese students. While
not directing criticism toward anyone in particular, and commentino favorably
on the knowledge of the "foreign" China experts, Wang laments the
abandonment of the discourse on China to "foreigners," that is,
"European and American scholars."
Ora, tralasciando il fatto che la traduzione in inglese dall’originale
cinese non è proprio fedelissima, io credo che quanto detto da Wang merita
attenzione e dovrebbe sviluppare un dibattito a livello politico e accademico.
È vero che moltissimi studenti, ricercatori e professori cinesi stanno
trovando posto nelle università occidentali, ed è anche vero che l’influenza
delle istituzioni cinesi nel mondo accademico occidentale sta aumentando (vedi
il caso degli Istituti Confucio), al pari dei loro investimenti.
Ma è anche vero (e lo dico perché lo vivo sulla mia pelle) che sempre
più stranieri stanno insegnando nelle università e nei centri di ricerca
cinesi, è vero che la gran parte del dibattito degli ultimi venti anni sulla
Cina (in lingua non cinese) è in mano ai media, alle istituzioni, agli studiosi
e alle lobby occidentali. Cioè siamo “noi” ad analizzare e decidere “cosa sono
e perché” i cinesi. I cinesi stessi in questo dibattito globale (in lingua non
cinese, ripeto) hanno poca voce in capitolo.
Io ci vedo del neo-colonialismo. Fare propria l’economia e la politica
di un paese (ormai troppo forte per essere governato a livello militare, politico
o economico) studiandolo a fondo, descrivendolo, rappresentandolo, discutendolo
a non finire. Persino agli stessi cinesi: vedi il caso di docenti americani o
europei che insegnano scienze sociali cinesi ai cinesi stessi, o i dibattiti in
TV o nelle università occidentali sulla Cina che non prevedono quasi invitati
cinesi.
Sì, è un problema e andrebbe discusso. Ma così rischiamo di perdere l’egemonia
culturale e politica che spetta, tradizionalmente, all’uomo bianco.
Alla base di tutto c’è ovviamente il difficile rapporto tra la politica
di un paese e l’educazione che sceglie di dare ai suoi giovani. L’università e
la comunità accademica dovrebbero esulare da questi (sporchi) giochi di potere,
di politica, di nazionalismo e campanilismo. Ma è chiaro che così non è.
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