Friday, November 09, 2012

Sinologia come forma di neo-colonialismo?


Durante una conferenza a Harvard di qualche giorno fa, il report cinese Wang Wen ha detto la sua su come studiosi, osservatori e media occidentali trattano di Cina:

美国观察:在哈佛主讲中国后的震惊

Una docente statunitense ha scritto in un forum accademico:

Wang […] reports that when discussing Chinese media and reporting with Westerners, his audience invariably fails to understand the 30-year improvement in media freedom in China, especially during the age of micro-blogging. He also criticizes Harvard-both the Fairbanks Center and the Department of Government-for not inviting mainland scholars to give talks. And finally, Wang argues that even more alarming is that the way of interpreting China, or the entire China discourse, is being fed to Chinese students by Western professors, as he discovered over a dinner conversation with a few Chinese students. While not directing criticism toward anyone in particular, and commentino favorably on the knowledge of the "foreign" China experts, Wang laments the abandonment of the discourse on China to "foreigners," that is, "European and American scholars."

Ora, tralasciando il fatto che la traduzione in inglese dall’originale cinese non è proprio fedelissima, io credo che quanto detto da Wang merita attenzione e dovrebbe sviluppare un dibattito a livello politico e accademico.
È vero che moltissimi studenti, ricercatori e professori cinesi stanno trovando posto nelle università occidentali, ed è anche vero che l’influenza delle istituzioni cinesi nel mondo accademico occidentale sta aumentando (vedi il caso degli Istituti Confucio), al pari dei loro investimenti.

Ma è anche vero (e lo dico perché lo vivo sulla mia pelle) che sempre più stranieri stanno insegnando nelle università e nei centri di ricerca cinesi, è vero che la gran parte del dibattito degli ultimi venti anni sulla Cina (in lingua non cinese) è in mano ai media, alle istituzioni, agli studiosi e alle lobby occidentali. Cioè siamo “noi” ad analizzare e decidere “cosa sono e perché” i cinesi. I cinesi stessi in questo dibattito globale (in lingua non cinese, ripeto) hanno poca voce in capitolo.

Io ci vedo del neo-colonialismo. Fare propria l’economia e la politica di un paese (ormai troppo forte per essere governato a livello militare, politico o economico) studiandolo a fondo, descrivendolo, rappresentandolo, discutendolo a non finire. Persino agli stessi cinesi: vedi il caso di docenti americani o europei che insegnano scienze sociali cinesi ai cinesi stessi, o i dibattiti in TV o nelle università occidentali sulla Cina che non prevedono quasi invitati cinesi.

Sì, è un problema e andrebbe discusso. Ma così rischiamo di perdere l’egemonia culturale e politica che spetta, tradizionalmente, all’uomo bianco.

Alla base di tutto c’è ovviamente il difficile rapporto tra la politica di un paese e l’educazione che sceglie di dare ai suoi giovani. L’università e la comunità accademica dovrebbero esulare da questi (sporchi) giochi di potere, di politica, di nazionalismo e campanilismo. Ma è chiaro che così non è. 

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