Ascoltavo oggi la lezione di un docente inglese che si occupa di cinema
documentario, quando il cervello mi è andato completamente in pappa. Mi sono
poi accorto di aver sbavato il maglione...
Il garbuglio trova origine nel rapporto tra il vero e la sua
rappresentazione. Ovvero il fittizio. “Ogni documentario è finzione” ha detto
non so quale regista. Il problema è la rappresentazione del vero. Non si può
rappresentare il vero. Ogni narrazione (fotografica, cinematografica,
giornalistica, fumettistica, ecc….) è sempre falsa, o, nella migliore delle
ipotesi, verosimile.
A me sembra labile il confine tra il “documentary” e il “mockumentary”
(il falso documentario). John Grierson, contemporaneo di Dziga Vertov, definiva
il documentario un “creativity treatment of actuality”. Finzione, dunque.
Guardatevi (si trova anche su Youtube) “The Dark Side of the Moon”
(2002), di William Karel. E anche “Nanook of the North” (1922), di Robert
Flaherty.
Pensate a un film storico. O a un film “basato su una storia vera”. Che
minchia è una storia vera? Lo sbarco in Normandia è una storia vera? Beh, fino
a prova contraria sì. Ma fino a prova contraria la storia la scrivono i
vincitori, quindi il concetto di “storia vera” è viziato, mai vero in assoluto.
Se andiamo in Tibet alcuni tibetani vi diranno che il Tibet è stato invaso
dall’esercito cinese, mentre alcuni cinesi vi diranno che il Tibet è stato
liberato dai comunisti cinesi.
Al di là delle ovvie considerazioni e le banali pretese di relativismo,
il problema resta rappresentare il vero. Se poi volete proprio dar via di
matto, provate a complicare (rovesciando) la domanda e chiedervi: falsificare
la realtà è semplice (basta rappresentarla), ma come faccio a realizzare la
falsità? Cioè rappresentare realmente la falsità, la menzogna, il non-vero?
E poi, muovendoci verso ottiche più vicine al mercato: chi dice che il
vero vende più del falso? Cioè perché apprezzare di più un documentario fedele
a una supposta storia vera che un documentario romanzato e drammatico?
O anche, chi dice che un prodotto falso (pensiamo a un capo di
abbigliamento, una borsetta o un film pirata) sia meglio del vero,
dell’originale. Potrebbe anche succedere il contrario. Il consumatore insegue
la moda, il trend del momento, non più alti “valori” di verità o qualità.
Si dice che le masse preferiscono una comoda bugia a una scomoda
verità. O che la verità non vuole essere ascoltata. E così via (basta anche
solo aprire feisbuc per sbizzarrirsi).
Trovo quindi molto interessante questo confuso palleggio tra la verità
e la sua rappresentazione, tra il vero e il fittizio, al quale il docente
inglese ci ha di fatto portato.
Scriveva Dostoevskij: “La verità è sempre inverosimile, lo sapete voi
questo? Per rendere la verità più verosimile bisogna assolutamente mescolarvi
della menzogna”.
Smettiamola di lamentarci con giornalisti o coi registi se le loro
rappresentazioni non riproducono il vero. Il vero non è rappresentabile. Il vero
non esiste. Ce lo dicevano i sofisti già parecchi secoli fa.