Sinologiche conferenze (V): quell’eterno conflitto tra studiosi occidentali e cinesi.
Avverto da tanto tempo una poco simpatica situazione che si ripropone puntualmente ogni qualvolta ci sia una conferenza sulla Cina con studiosi cinesi e occidentali.
Il problema è semplice: il tema della conferenza ha, come detto, a che vedere con la Cina (la sua società, i suoi costumi, la sua cultura, il suo sistema politico, ecc…) e quindi i cinesi presenti sono in qualche modo anch’essi oggetto di discussione. O meglio, tali si sentono la maggior parte delle volte.
Si sentono cioè spesso coinvolti emotivamente, tendono a prenderla sul personale, avvertono una critica al sistema politico cinese o dei dati pochi incoraggianti sul gap tra ricchi e poveri nel loro paese come uno sberleffo al popolo cinese in generale, e dunque anche a loro.
Fossimo al bar o allo stadio sarebbe di per se comprensibile. Ma non ti aspetti una reazione del genere da accademici pluri diplomati e non proprio in tenerissima età a una conferenza internazionale a cui partecipano studiosi da ogni parte del mondo.
Se poi ci aggiungi il proverbiale “bullismo” etnocentrico occidentale e l’eredità culturale cinese dei “100 anni di umiliazione imperialista” (1840 ca. – 1949), e ci aggiungi inoltre la vera e propria maleducata arroganza di molti studiosi occidentali allora capisci che la frittata, anche stavolta, è fatta.
Tutto questo provoca nervosismo e tensione, finisce per ostacolare la comunicazione, lo scambio di idee e la collaborazione in un campo che non dovrebbe avere risentimenti nazionalisti o sfottò da stadio.
Già, "non dovrebbe".
“Art is already dead […] Your museum is nothing but a graveyard”
Gao Xingjian
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