Oggi Ph.D.: cronaca di una discussione di tesi di dottorato
Sembra incredibile anche a me, ma sono un dottorato. Da un'ora e mezza circa.
Ore 8.00 di mattina, io e la mia inseparabile collega bengalese Arifa entriamo in una sala riunione, al secondo piano del nostro dipartimento di sociologia, Università del popolo, Pechino.
Diamo una sistemata alle sedie, una spolverata alla tavola rotonda, sistemiamo le bottigliette d'acqua e la frutta, proviamo il proiettore e appendiamo al muro il classico cartellone rosso in caratteri bianchi “Seduta di discussione tesi dottorato”. Esco a fumare un mezzo pacchetto di sigarette. Le mie solite Honghe morbide.
Alle 8.15 arriva Guangqiang, il nostro collega di dottorato che farà da segretario. Qualche minuto dopo arriva il nostro supervisor e gli altri docenti. Cinque in tutto, due uomini e tre donne. Presidente della seduta è LCL, nota sociologa della Chinese Academy of Social Sciences.
Sono abbastanza rilassato. Non è la prima volta che discuto una tesi o che do una lettura di fronte ad un pubblico di docenti. Certo esporre una tesi di dottorato in cinese non rende le cose più semplici.
La prima a sedersi ed esporre è Arifa. Duecento pagine di ricerca sulla stratificazione sociale in Bangladesh. Conosco la sua tesi e dopo due minuti mi alieno: viaggio col pensiero, osservo questi accademici seduti di fronte a noi, riporto alla mente le mie precedenti discussioni, e tutto il percorso degli ultimi tre anni. Ci siamo, è questo il momento. Se hai imparato qualcosa è venuto il momento di dimostrarlo.
Due immagini in particolare ben definite in testa: 1) giorni prima della mia tesi di laurea triennale mio padre mi chiese se ero pronto alla discussione e aggiunse “Guarda che li devi convincere di quello che dici” 2) la celebre frase di Totò “Uomini o caporali”. Già. Uomini o caporali. O anche, uomini o macchinette del caffé. Dimostrare a questi illustri luminari del pensiero sociologico cinese contemporaneo che il mio piccolo l'ho fatto e qualcosa da raccontare ce l'ho anch'io.
Torno in me. Arifa ha appena terminato la sua presentazione. I professori presentano domande e critiche. Ho apprezzato le domande: il legame fra religione e classe sociale nel Bangladesh odierno e come gli strati più bassi si confrontano con la gerarchia sociale costitutita.
Prima di rispondere Arifa ha diritto a venti minuti per pensare alle risposte. Nel frattempo, mi accomodo io e comincio ad esporre.
“Distinti professori, io non ho preparato alcun powerpoint...”
“Perché sei italiano?” mi interrompe subito la presidentessa.
(Cazzo c'entra?) “Ehm... no, perché non so usare powerpoint”. Che non è vero, ma almeno è servito a farli sorridere e rompere il ghiaccio.
E comincio la mia arringa. Da italiano, uso molto il linguaggio del corpo. E me ne vanto. Venti minuti no stop ad elencare i principali punti della mia tesi, gesticolando ampliamente e muovendomi senza sosta sulla sedia.
Devo averli ipnotizzati.
Momento di pausa.
“Bene. Io avrei finito. Aspetto le vostre domande”.
Di domande ne sono arrivate a dozzine. Ma anche di complimenti. Specie il personale accademico femminile ha speso minuti di lode alla mia tesi, che ha per tema la migrazione di giovani donne in Cina come forma di emancipazione femminile. Una prospettiva femminsta sulle migranti e sulla condizioni femminile delle migranti in Cina. Hanno gradito, direi. Una docente ha detto di aver letto la mia tesi con gusto, tutta d'un fiato. Una tesi romantica, ha aggiunto, “che solo un italiano avrebbe potuto scrivere”.
Cosa avreste risposto al posto mio? Io non ho risposto nulla, ero concentrato sulle domande. Sorriso imbarazzato e testa bassa a prendere appunti.
Finite le lodi mi hanno investito di domande. Tre o quattro a testa. Non sapevo più dove scrivere. Da quanto ho finito di esporre la tesi a quando ho alzato il culo dalla sedia per lasciare posto ad Arifa e riflettere sulle risposte da dare saran passati altri venti minuti almeno.
Beh, devo dire di aver apprezzato anche le domande che hanno posto a me. Molte e varie, ma comunque relative al rapporto tra libertà individuale e emancipazione femminile, tra liberazione della donna nel marxismo e teorie riformulate in chiave post-moderna. Insomma, tutto già in pentola. Al mio turno, il dibattito è andato avanti per un'altra buona mezzoretta, appassionato, interessante, intellettuale e, per quanto mi riguarda, yeah!
Al termine, il nostro supervisor ci ha chiesto di uscire. I docenti hanno deciso la valutazione. Cinque minuti dopo eravamo già dentro e la presidentessa ha letto la sentenza. Non una condanna a morte, ma il titolo di dottorato.
Inutile negarlo, alla lettura del mio nome ho sentito un brivido dalla testa giù giù fino alle gambe. Applauso, strette di mano e foto ricordo.
Uscito dal dipartimento, mi sono sentito più leggero di una cinquantina di chili. Il sole, il vento, le mie Honghe morbide e questo campus nel quale ho vissuto negli ultimi quattro anni.
Anche stavolta, ce l'ho fatta. Grazie.
Daniele Massaccesi Ph.D. punk
Pechino, 13 maggio 2011
7 Comments:
Ho grande stima di te!
Complimenti Daniè!
Un abbraccio da tutti "li san ginesini"
Diego
GRANDE daniele, pardon, DOTTORE, come sono felicefelice.
Del resto da Macerata ben altri uomini son venuti et quindi, perchè meravigliarmi??
laura
congratulazioni Braus!..e in culo alla crisi
te spettimo a braccia aperte
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