Diario di viaggio (VI): Primi giorni a Betlemme.
L'arrivo alla frontiera Re Hussein, tra Giordania e Israele, e', come dicevo, una sorta di chaos umano mai visto, una sorta di Apocalisse. Centinaia di persone ad una serie disorganizzata (per fare un complimento) ed interminabile di check in, controlli, domande, mazzette. E giovani ragazze israeliane in divisa e ragazzini col mitra in mano. Non bisognerebbe far giocare i bambini con le armi. La gente che passa la frontiera e' in gran parte composta da arabi, molti dei quali palestinesi. Il resto sono turisti e viaggiatori. Questi ultimi sono aiutati dalle ragazze in divisa a saltare le fila. Mezz'ora dopo siamo fuori dalla dogana, in territorio israeliano. O meglio, palestinese. Un signore palestinese che fa di professione il medico ci da' subito il benvenuto in questa terra martoriata dove i palestinesi vivono in stato di apartheid. Ci dice di Roma "bellissima citta'... ma troppi zingari!". Chiara gli chiede come si vive in Palestina e perche' non se ne va di qui. "Non posso. E' una questione di principio", risponde. Un altro tipo, che avevamo notato litigare animosamente con una guardia della dogana, ci spiega che questa e' terra palestinese, non israeliana. "Gli israeliani ci hanno occupato militarmente. Ma dio e' grande". Ci invita a Ramallah, a casa sua, per farci vedere come sono costretti a vivere i palestinesi. Ma la nostra prima destinazione e' Gerico. Caldo asfissiante, militari e check points, il nostro bus ci scarica alla stazione dei bus di Gerico. Vorremmo andare a fare il bagno nel Mar Morto ma non ci sono bus e un gentile taxista ci consiglia l'autostop. La stazione dei bus e' piena di ragazzini palestinesi tornati da qualche vacanza. La gente e' estremamente cordiale con noi che siamo gli unici tre viaggiatori nella stazione. Nessuno cerca di venderci cazzatelle o incularci in qualche modo, come tipicamente capita ai turisti in posti del genere. Prendiamo un bus per Betlemme, cittadina di 30.000 abitanti nel centro della West Bank (Cisgiordania), pochi chilometri a sud di Gerusalemme. Il bus e' quasi vuoto, ma al primo check point salgono degli uomini armati (soldati dell'Autorita' Palestinese) a chiedere i documenti. Due tizi fan finta di dormire e salgono altri uomini armati, atmosfera tesa, i soldati ci fanno segno di voltarci e non osservarli. "Ora saltiamo in aria" penso, invece la situazione si risolve, i soldati scendono e il bus riparte. Un signore vicino a noi ci da' il benvenuto in italiano, dice di aver studiato a Pisa negli anni novanta e di avere una farmacia a Hebron, a sud di Betlemme. Scendiamo a Betlemme, un signore alla stazione dei bus mi lascia usare internet nel suo negozio, gratis. Ci aiutano a cambiare soldi, capire dove siamo e cercare il posto verso il quale siamo diretti, ovvero la sede di Holy Land Trust, l'organizzazione che abbiam contattato per fare volontariato a Betlemme. La sede e' chiusa. Il ristoratore accanto alla sede ci fa usare gratis il telefono. La sede aprira' soltanto due giorni dopo.
E' un via vai di auto della polizia, sirene, camion dell'esercito, soldati ogni cinquanta metri con mitra e giubbotto anti proiettile. Ma ci spiegano che e' solo per una conferenza di quattro giorni nel centro di Betlemme, si riuniscono i leader di Fatah, uno dei principali partiti politici dell'OLP. Ne han dato notizia anche i giornali italiani. Il centro e' pieno di soldati e giornalisti, posti di blocco e atmosfera tutt'altro che rilassata. Bambini e gente comune continua a salutarci con una serie infinita di "Welcome!". Un signore ci aiuta a trovare un ostello economico, un palazzo che un suo amico sta trasformando in hotel per turisti. Salendo verso il centro, un altro palestinese con una bambina ci accompagnano al suddetto ostello. Il proprietario e' un simpaticissimo palestinese che vive negli Emirati Arabi Uniti. Ci da' un'ampia stanza con tre letti, ventilatore, bagno e cucina per 20 shekel a testa per notte (3,50 euro circa). Un affare insomma. Ci lascia anche le chiavi e il permesso di prendere frutta dal giardino (uva, fichi e melograni soprattutto). Ci invita anche alla festa del cugino. C'e' sempre una festa da queste parti, musica, danze e fuochi d'artificio fino a tarda sera. La vita non costa poco, perche' si usa la moneta israeliana e tutti i prodotti sono soggetti a forte tassazione, in quanto importati dall'estero. Frutta, acqua e felafel (kebab vegetariani) hanno prezzi accettabili. Decidiamo di tenere la stanza per una settimana almeno.
I primi due giorni passano a passeggio per la citta'. La cosa piu' impressionante, soldati a parte, e' la concentrazione di circoli culturali e centri artistici che la citta' offre. Molte le chiese (cattoliche, ortodosse, cristiane greche e armene), le moschee e i musei. Con Chiara e Fabio ci perdiamo nelle viuzze del centro tra mercati e centri culturali vari. Parliamo con la gente nei negozi, nelle bancarelle, nelle case, nei centri. Son tutti disposti ad offrirti una sedia ed un caffe' (che sa di Jagermeister, ma analcolico). Non siamo noi a cercare loro, ma loro a cercare noi: vogliono illustrarci la situazione nella quale vivono, parlarci di Palestina, ci danno solidarieta' e se ne aspettano altra in cambio. Non paghiamo nulla, ci viene offerto tutto. Forse, come dice Chiara, siamo per loro una delle ultime forme di resistenza all'occupazione israeliana. Parliamo con un sacerdote dell'istituto salesiano: mappa sotto mano ci parla degli ultimi quarant'anni in Palestina, che ha vissuto in prima persona. Poi il centro artistico, retto da neo laureati palestinesi, con corsi di arabo e circo itinerante. Poi l'Associazione delle Donne Arabe. Poi la famosa Chiesa della Nativita', dove in una grotta sotterranea nacque due mila anni fa un rivoluzionario di nome Gesu', uno che parlava di amore per il prossimo e che prendeva a calci per il culo i commercianti fuori dai templi: non poteva che finire male, lo crocifissero tra due ladroni ad appena 33 anni. E' meta di pellegrinaggio per gente di fede e nazionalita' diversa, in primis italiani. Ho conosciuto degli scout di Caserta, in route in Terra Santa. Poco piu' giu' c'e' la "grotta del latte"; seconda la leggenda, una vergine mamma di Gesu' avrebbe li' allattato il figlio e la grotta sarebbe diventata tutta bianca al cadere di una goccia di latte. D'altronde tutta Betlemme e' composta da case basse e bianche, vivacissima di attivita' commerciali e artigianali. Ne' palazzoni ne' grattacieli insomma. Solo piccoli negozi, chiese e centri culturali. Arabi e cristiani vivono insieme, tutti palestinesi. Poche donne indossano il velo, nessuna il velo integrale. Fabio si fa portare in casa da dei bambini e fa amicizia con la famiglia di Amer: diventiamo ospiti fissi di questi gentilissimi signori palestinesi, cinque adulti e una quindicina di bambini. Qui le famiglie hanno almeno quattro figli. La disoccupazione al 20% ma non c'e' traccia di miseria, per due ragioni: la grande solidarieta' tra i palestinesi e gli aiuti che ricevono dall'estero. E' pieno di targhette che glorificano la donazione fatta dai governi italiano, belga, norvegese, danese. E poi da associazioni religiose, soprattutto cattoliche, soprattutto italiane. E poi da quelle degli artigiani della provincia di Verona e da Giovanni Rana, quello dei tortellini. Ogni palestinese ha almeno un fratello o un cugino ucciso dall'esercito israeliano o in carcere. Amer e' un ragazzo di 26 anni, ha studiato 3 anni in Egitto, ora si sta per laureare in economia e commercio all'Universita' di Betlemme. Suo fratello ha 41 anni, 7 li ha passati nelle carceri israeliani per aver tirato pietre durante gli attacchi dei soldati israeliani. Le sorelle, nipoti e cugine ci trattano da re a casa loro: han cucinato per noi riso e carne di gallina, ci offrono sempre te' alla menta o alla salvia, caffe', sigarette e narghile'. E' un piacere giocare con i bambini, disegniamo insieme e insegno loro qualche parola di cinese. Ci sentiamo a casa e spendiamo diverse ore del nostro tempo qui con loro. Ci parlano della Palestina, dell'occupazione, ci mostrano i luoghi, ci insegnano l'arabo. Non e' facile ne' comune trovare un'ospitalita' del genere. Ho promesso a Reena, nipote di Amer, di accompagnarla a scuola e fare lezione di cinese il 20 agosto, all'inizio del nuovo anno scolastico. Ci sara' da ridere.
3 Comments:
Perche non:)
imparato molto
necessita di verificare:)
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