Macedonia
È così se ne è andata. Era scritto. Ho perso la fidanzata e questo mi rasserena. Ma ho perso anche un’amica. Una grande. La migliore. Il primo cellulare a cui chiamare. Il volto con cui sfogarti. La spalla su cui piangere. Le tette su cui rotolarti. Le braccia che ti portano a casa quando hai bevuto troppo. Il silenzio quando non c’è niente da dire. Il sorriso quando ne hai bisogno. L’unica che c’è quando gli altri sono tutti troppo impegnati per te. Mi mancherai Patatina. E so che io ti mancherò molto di più.
Sto perdendo la testa per una mongola. Non parliamo del sorriso coreano della mia compagna di banco. Parliamo della mongola. Segue il corso di “sistema politico cinese” e “storia delle relazioni internazionali”. Sta sempre da sola. Non veste occidentale. Siede tra le prime file e prende appunti in cinese. Tra le gambe un tomo di economia finanziaria. In cinese. Penso abbia trovato in me un compagno con cui scambiare idee sul tema della lezione. “Mi presti una penna per favore?” funziona sempre. Ignoro il suo nome. Mi parla del suo paese, a noi occidentali così sconosciuto. Delle praterie, dell’influenza russa, del cibo mongolo. “Pensi la Cina sia un paese socialista?”. “Credi globalizzazione sia sinonimo di occidentalizzazione?”. “Cos’hai da dire sulla lezione di oggi?”. Peccato solo cento metri ci dividano dal nostro dormitorio, ogni volta mi pianta in ascensore, al settimo piano. Ogni volta spero che mi chieda di andare in camera sua ed ogni volta non succede. Forse non lo sa dire in cinese. Altamente improbabile, anzi palesemente impossibile. Ma mi piace sperarlo.
Pechino apre le porte alla primavera, io mi apro al mio ultimo semestre da studente in Cina (forse l’ultimo per sempre, chi lo sa?!). Lascio a casa il giubbetto, libri sottobraccio direzione aule di lezione, centinaia di giovani in gran parte con gli occhi a mandorla, altri biondi altri neri. Osservo volti espressioni atteggiamenti indumenti diversi gli uni dagli altri, mi interrogo sui come e sui perché, identità tradizione scienza moda, le orecchie tese a cercare di seguire professori cinesi che parlano dialetti diversi e parlano di eunuchi, matrimoni misti, opinionisti taiwanesi, basi americane. Il cervello che scoppia di materiale, carne sul fuoco, pensieri che si rincorrono senza meta né sosta, provo a scrivere qualcosa ma gli occhi non mi ascoltano. Amo tutto questo.
In India ho perso cinque chili. Dopo dieci giorni di pollo alle mandorle e birra cinese sono di nuovo incinta al sesto mese. Non credo interessi a questi cinque cinesi rumorosi piovuti in camera mia per parlare del dormitorio femminile e di musica vietnamita. Piovono anche opportunità di lavori e lavoretti, piovono soldi nel portafoglio che non ho, se cerco qualcosa non la trovo mai, è sempre lei a trovare me.
Leonid mi aspetta per una partita a scacchi. Mi parla di un grande scacchista italiano, Greco, e del risultato delle elezioni russe “Non sono truccate, il 70% dei russi è andato alle urne, grande prova di democrazia. Non cambierà nulla, porteranno avanti il lavoro di Putin, abbiamo bisogno di tempo per avere standard di vita come voi in occidente… due o tre generazioni almeno”.
Consiglio due film che visto:
Avete letto tempo fa, nei giornali italiani, di un lavoratore migrante cinese che stava portando in treno il cadavere del compagno di lavoro a casa, a migliaia di chilometri dalle ricche coste della Repubblica Popolare, per riportarlo alla famiglia e dargli sepoltura nel luogo di origine? C’hanno fatto un film (o forse il film è anteriore e il lavoratore ha solo emulato il film), si chiama “Luo Ye Gui Gen”, qualcosa come “quando le foglie muoiono tornano alle radici”, commuovente anche per un cinico come me, mostra molti importanti aspetti di questa (maledettamente impossibile da capire) società cinese contemporanea.
Sapete niente del tribunale di Tokyo? È quello dove hanno giudicato e condannato i criminali di guerra giapponesi. La Norimberga dell’Asia orientale. Un pezzo importantissimo di storia, assente nei libri di testo delle scuole superiori italiane. Avrei da ipotizzare il perché, ma me lo tengo per me. Il film è in gran parte in inglese e giapponese. Seva, Pasha e Jonik li ho sgamati più volte nei retroscena come comparse. Siamo sempre più famosi. Titolo del film? Difficilissimo: “Il tribunale di Tokyo”, del 2006.
Sto perdendo la testa per una mongola. Non parliamo del sorriso coreano della mia compagna di banco. Parliamo della mongola. Segue il corso di “sistema politico cinese” e “storia delle relazioni internazionali”. Sta sempre da sola. Non veste occidentale. Siede tra le prime file e prende appunti in cinese. Tra le gambe un tomo di economia finanziaria. In cinese. Penso abbia trovato in me un compagno con cui scambiare idee sul tema della lezione. “Mi presti una penna per favore?” funziona sempre. Ignoro il suo nome. Mi parla del suo paese, a noi occidentali così sconosciuto. Delle praterie, dell’influenza russa, del cibo mongolo. “Pensi la Cina sia un paese socialista?”. “Credi globalizzazione sia sinonimo di occidentalizzazione?”. “Cos’hai da dire sulla lezione di oggi?”. Peccato solo cento metri ci dividano dal nostro dormitorio, ogni volta mi pianta in ascensore, al settimo piano. Ogni volta spero che mi chieda di andare in camera sua ed ogni volta non succede. Forse non lo sa dire in cinese. Altamente improbabile, anzi palesemente impossibile. Ma mi piace sperarlo.
Pechino apre le porte alla primavera, io mi apro al mio ultimo semestre da studente in Cina (forse l’ultimo per sempre, chi lo sa?!). Lascio a casa il giubbetto, libri sottobraccio direzione aule di lezione, centinaia di giovani in gran parte con gli occhi a mandorla, altri biondi altri neri. Osservo volti espressioni atteggiamenti indumenti diversi gli uni dagli altri, mi interrogo sui come e sui perché, identità tradizione scienza moda, le orecchie tese a cercare di seguire professori cinesi che parlano dialetti diversi e parlano di eunuchi, matrimoni misti, opinionisti taiwanesi, basi americane. Il cervello che scoppia di materiale, carne sul fuoco, pensieri che si rincorrono senza meta né sosta, provo a scrivere qualcosa ma gli occhi non mi ascoltano. Amo tutto questo.
In India ho perso cinque chili. Dopo dieci giorni di pollo alle mandorle e birra cinese sono di nuovo incinta al sesto mese. Non credo interessi a questi cinque cinesi rumorosi piovuti in camera mia per parlare del dormitorio femminile e di musica vietnamita. Piovono anche opportunità di lavori e lavoretti, piovono soldi nel portafoglio che non ho, se cerco qualcosa non la trovo mai, è sempre lei a trovare me.
Leonid mi aspetta per una partita a scacchi. Mi parla di un grande scacchista italiano, Greco, e del risultato delle elezioni russe “Non sono truccate, il 70% dei russi è andato alle urne, grande prova di democrazia. Non cambierà nulla, porteranno avanti il lavoro di Putin, abbiamo bisogno di tempo per avere standard di vita come voi in occidente… due o tre generazioni almeno”.
Consiglio due film che visto:
Avete letto tempo fa, nei giornali italiani, di un lavoratore migrante cinese che stava portando in treno il cadavere del compagno di lavoro a casa, a migliaia di chilometri dalle ricche coste della Repubblica Popolare, per riportarlo alla famiglia e dargli sepoltura nel luogo di origine? C’hanno fatto un film (o forse il film è anteriore e il lavoratore ha solo emulato il film), si chiama “Luo Ye Gui Gen”, qualcosa come “quando le foglie muoiono tornano alle radici”, commuovente anche per un cinico come me, mostra molti importanti aspetti di questa (maledettamente impossibile da capire) società cinese contemporanea.
Sapete niente del tribunale di Tokyo? È quello dove hanno giudicato e condannato i criminali di guerra giapponesi. La Norimberga dell’Asia orientale. Un pezzo importantissimo di storia, assente nei libri di testo delle scuole superiori italiane. Avrei da ipotizzare il perché, ma me lo tengo per me. Il film è in gran parte in inglese e giapponese. Seva, Pasha e Jonik li ho sgamati più volte nei retroscena come comparse. Siamo sempre più famosi. Titolo del film? Difficilissimo: “Il tribunale di Tokyo”, del 2006.
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