Saturday, August 10, 2019

Viaggio in Colombia (XI): sulle Ande colombiane.


A Túquerres (3100 m s.l.m.) la mattina alle nove fa davvero un freddo pazzesco e non impieghiamo molto a comprarci cuffie, guanti, il tipico poncho andino e altro occorrente per trascorrere un paio di giorni di trekking in montagna. La nostra meta e' una laguna (grande lago) in cima ad un vulcano a due ore di cammino da qui. Purtroppo anche stavolta troviamo l'imprevisto: strada chiusa al turismo da un anno almeno, causa eccessivo impatto ambientale dato dai turisti in un territorio gestito dagli indigeni. Non ci diamo per vinti, saliamo per un po', incontriamo il punto sbarrato, proviamo a dialogare con la guardia donna e... niente da fare. C'e' nebbia, foschia e un freddo che non ricordavo da tempo. Decidiamo allora di farci portare dal tassista (tipo abbastanza losco, che ci confessa di aver ucciso, per difesa, un rapinatore diversi anni fa) piu' a valle. Ci lascia una zona collinare fuori citta', li' dove duecento anni fa un'antica capitale venne sepolta da un tremendo terremoto. Ora ci sono pascoli di vacche, boscaioli, laghetti color rosso sangue e coppiette di innamorati. Ne approfittiamo per riposare un po' sui prati al sole, per tornare a piedi e in autostop verso Túquerres. A caricarci una giovane famiglia contadina, su macchina scassatissima e bambino al volante (!). La stanchezza della passata notte in bianco ci spinge sul lettone del nostro ostello, tra anziane andine e migranti venezuelani. Alla TV danno Forrest Gump in spagnolo. Sempre un piacere.
In serata rapido giro dei peggiori bar e poi tutti a nanna che domani si riparte.  

Al mattino presto, dopo il solito beberone marroncino zuccherato che chiamano caffe', prendiamo un pulmino per Pasto e da li' un taxi e un altro pulmino per la Laguna De La Concha, 40 km piu' a est. Il porto e' davvero un gioiellino lagunare, una piccola Amsterdam andina. Casette colorate, canali e abbondanza d'acqua, cosi' come di ostelli e ristorantini. Ci facciamo consigliare per mangiare del buon pesce (trota arrosto, patate, tuberi e formaggio locale) e per trovare l'ostello piu' economico. In citta' sembriano esserci solo noi. Noi e una decina di giornalisti colombiani che, apparentemente, stanno girando un documentario. Prendiamo una barca in affitto e facciamo un giro nel lago, con breve sosta all'isoletta de La Corota. In serata arriviamo (andata e ritorno in autostop) al villaggio vicino, per mangiare qualcosa e bere un locale liquore alle erbe.

Il mattino dopo di nuovo in marcia. In jeep fino a Sibundoy, 60 km piu' a est. In auto conosciamo un tipo poco raccomandabile, che non ci impiega molto a dirci di aver ucciso diverse persone in vita sua, prima perche' uomo in divisa, poi come sicario. Uccidere qualcuno, qui, pare costi solo 1.500 euro. Nella jeep anche una turista tedesca, una delle poche straniere viste sinora in giro. Arrivati a Sibundoy cerchiamo subito un ostello, per poi andare alla ricerca di cascatelle e piscine naturali, delle quali questa zona sembra essere piena. Giriamo in taxi e, soprattutto, in autostop. Ormai vi abbiamo fatto l'abitudine, complice anche la cortesia dei colombiani, che anche alle Ande non sono da meno. Un volta ci tira su un camion e l'autista ci dice di attaccarci sul retro, un po' come i netturbini nei camion dalle nostre parti. Attimi di panico nel realizzare che il portellone posteriore era del tutto instabile. Morire di autostop sulle Ande non era riuscito neanche ad Ernesto "Che" Guevara.

Troviamo una piscina artificiale, molto turistica e piena di famigliole, poco sexy per i nostri gusti. Procediamo per campi, alla ricerca di un laghetto naturale. Il tempo di salvare una mucca caduta in un canale e troviamo la piscina. L'indigeno del posto ci dice pero' che e' chiusa, anche stavolta a causa di eccessivo impatto ambientale. Partiamo allora alla volta di un laghetto piu' distante, sito in terreno sacro agli indigeni. Lo troviamo e ci fermiamo a riposare un po', non senza scavalcare l'ennesimo campo protetto da filo spinato. Se mi chiedete di definire la Colombia in tre espressioni, segnalerei proprio questo: 1) la salsa a spaccarti i timpani 2) la cortesia della gente 3) il filo spinato a delimitare ogni fattoria, allevamento o proprieta' privata, come mai avevo visto prima, anche nelle zone piu' remote e selvagge.

In serata rientriamo a Sibundoy per cenare e riposarci. Non appena tramonta il sole, un black out generale nega la luce a tutta la citta', costringendoci a letto alle otto di sera, non prima di una rapida doccia gelata.

Il giorno dopo decidiamo di non trattenerci oltre sulle Ande colombiane e tirare dritto per dritto alla frontiera con l'Ecuador via Mocoa e La Hormiga, 300 km piu' a sud. Il viaggio che abbiamo in mente di fare fino a Leticia (Amazzonia colombiana) e' ancora lunghissimo.      

0 Comments:

Post a Comment

<< Home