Thursday, July 25, 2019

Viaggio in Colombia (V): camminate caraibiche e antropologia dell'infradito.


Cammina, cammina, al tramonto supero il fiume Don Diego e giungo in un piccolo villaggio lungo la Statale. E' ormani buio, l'illuminazione e' frutto dei camion che passano e della luce elettrica delle uniche due tiendas (una specie di piccolo alimentari che funge anche da bar) aperte. Stanco della trentina di chilometri percorsi a piedi, getto lo zaino in uno spiazzale in cemento sotto una grata. Mi siedo per vedere la reazione delle poche persone in giro, tanto per capire se sto facendo qualcosa di maleducato, offensivo o comunque inopportuno. Niente, nessuno fa caso a me. Accendo qualche sigaretta e osservo la "vita serale" in questo minuscolo angolo del mondo. Due cose colpiscono la mia attenzione. La presenza di un gruppo di ragazzine tra i 14 e i 18 anni vestite in maniera succinta che, con le sorelline al seguito, si pavoneggiano lungo la strada e parlano, neanche tanto velatamente, di sesso. Ogni tanto passa un ragazzo in moto e ne carica una. La sessualita' non credo sia un tabu' qui. Oltre a loro, noto gironzolare da soli o in gruppo quelli che sembrano membri di una locale comunita' indigena. Vestono in maniera diversa dai colombiani locali e hanno anche una fisionomia diversa: tutti bassi, capelli lunghi neri, carnagione molto scura, tunica bianca e sacca, alcuni hanno un copricapo bianco e degli stivali, gli altri vanno scalzi. Difficile stabilirne eta' o sesso. Sono molto silenziosi, non si fanno notare dagli altri, tranne alcuni che girano a cavallo. 
Alle sette e' gia' buio, alle nove la gente si ritira in casa. Butto il sacco a pelo in una zona totalmente in ombra. Piu' tardi anche un indigeno verra' a dormire non distante da me e ci alzeremo assieme al sorgere del sole. Trovo questa cosa strana: perche' questo ragazzo di eta' indefinibile non sta con la sua comunita' e non dorme con la famiglia? Verso le cinque, poco prima dell'alba ci alziamo insieme, lo saluto e lui ricambia. Si piazza lungo la Statale, in attesa di non so cosa. Io riprendo la strada.

E da Radio Malinowski e' tutto. Passo e chiudo.

Passo un intero altro giorno a camminare lungo la Transversal del Caribe, senza una meta precisa, semplicemente adelante!, superando piccoli villaggi di agricoltori e piccoli negozi, qualche ristorante e l'immancabile sala da biliardo, che qui ha la stessa rilevanza sociale di quello che in Cina e' il karaoke: una delle poche forme di relax e divertimento. Quando leggo in alto su un'insegna "Bar e conigliette" e abbasso lo sguardo a vedere ragazzine farmi l'occhiolino, capisco che anche qui praticano il mestiere piu' antico del mondo.

La foresta copre tutto, il paessaggio e' mangiato dalla fitta vegetazione, non ci sono punti di riferimento, solo qualche casolare nelle fattorie qua e la'. Tutto cosi' diverso dalla collina e dalla montagna marchigiana, dove l'antropizzazione e' maggiore e i colori piu' variegati. Caldo e' caldo, ma non piu' che a Macerata, e comunque le piante riescono a far ombra anche sulla strada.
Il vero problema e' l'acqua. Qui non piove da quattro mesi - mi dicono -  e in effetti molti ruscelli sono completamente secchi, poca l'acqua anche nei fiumi. Nelle case non vedo acqua corrente, solo contenitori e taniche. Di fatti, la gente si lava nel fiume, gli uomini in pantaloni corti, le donne in canottiera. Nel fiume lavano anche i vestiti, i piatti, si fanno la barba e abbeverano il bestiame.

I cani gironzolano spelacchiati e malnutriti, senza mai abbaiare o essere un pericolo per gli uomini. Ne vedi di vecchi che non si reggono piu' in piedi e carogne ai bordi della strada. Fanno un 
gran puzzo che va ad aggiungersi a quello fastidiosissimo della monnezza lasciata ovunque, specie appena fuori paese. I cani non mordono, perche' se ti mordesse un cane qui ti prenderebbe la scabbia, la rabbia, il tetano, la congiuntivite, la malaria, l'aviaria, la SARS, l'URSS, la mucca pazza e il morbo di Crohn. 

In serata arrivo nella cittadina di Mingueo. Dall'entrata del Parco di Tairona a qui ho percorso 63 chilometri - dice Google Maps - in due giorni. Non male. Le ferite ai piedi, due magliette da buttare, un odore importante e il mal di schiena. Direi che puo' bastare. Consumo un piatto a base di chorizo (una specie di salsiccia ai ferri), patate lesse, tuberi e lime, una birra gelata e diversi mango che ho raccolto lungo il cammino. Qui la carne ai ferri, con aggiunta di tabasco, lime e salse varie, il riso, il mais, le arepa (frittelle con formaggio) e la frutta tropicale sono alla base dell'alimentazione. Tutto buonissimo, forse solo un po' troppo limitato e ridondante. 

Per strada vengo subito affiancato da un auto che mi offre un passaggio per pochi spiccioli, idem poco dopo con un'altra auto. A bordo aria condizionata a tutto e salsa caribe. O almeno credo. Voglio dire, per me tango e reggaeton sono uguali, oramai chiamo "salsa" qualunque tipo di musica in qualche modo riconducibile alla musica latino americana. Una quindicina di chilometri dopo mi lasciano nella tranquilla cittadina di Dibulla, localita' decisamente meno turistica di altre viste finora, consigliata da un'amica spagnola che qui ha viaggiato lo scorso anno. E' ormai buio e mi faccio portare fino in spiaggia. Sono le sette e mezzo di sera circa, il mare fa spavento solo a sentirlo, la spiaggia e' comodissima e vuota, il vento caldo ma violento. Le palme, le stelle, il sacco a pelo, la musica caraibica in sottofondo.
Ci siamo tutti. Buonanotte!

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