Viaggio in Colombia (IV): lungo la Transversal del Caribe.
Bene, cosa sappiamo della Colombia? Molto poco, credo. Che il nome deriva da Colombo, esploratore genovese, che pare qui non vi abbia mai messo piede. Colombia famosa per la produzione e l'esportazione di cocaina e per il celebre narcotrafficante Pablo Escobar. Gli appassionati di calcio ricorderanno Higuita, Valderrama o Asprilla. Gli amanti della musica pop sapranno anche che Shakira e' colombiana. Direi che possiamo fermarci qui. Molto da scoprire dunque.
Lunedi' mattina, prima di lasciare Barranquilla, passo in farmacia, al supermercato e in un negozio di telefonia mobile per acquistare repellenti, creme solari, una scheda sim colombiana e altro potenzialmente utile per affrontare l'on the road caribeño. Qui va di moda chiedere il passaporto per tutto, anche per comprare creme solari. Raggiungo poi a piedi una piccola stazione di autobus nel nord della citta'. Orientarsi non e' difficile, perche' la struttura urbanistica e' una specie di reticolato e le vie si chiamano per numero, un po' come negli Stati Uniti.
Prendo un pulmino per Santa Marta, una citta' turistica a due ore e mezza da Barranquilla, direzione est. Appena arrivato, noto subito il clima diverso: tantissimi i turisti stranieri, notevole l'industria del turismo locale. Non vedevo backpacker dall'ultimo viaggio in Tailandia del 2015. Qui ne vedi ovunque, fuori dai centri commerciali, nei taxi, nelle moto-taxi, nelle jeep, a piedi nel centro storico, sul lungomare, in chiesa o a fare shopping. Un tuffo nel passato. Di citta' cosi' "esotiche" inondate da occidentali in sandali e zaino in spalla ne ho viste a bizzeffe. Il mare non e' granche' neanche a Santa Marta, tantomeno la spiaggia. Santa Marta e' pero' un buon punto di partenza per andare (organizzati) alla scoperta di spiagge caraibiche, escursioni in montagna, visite a comunita' indigene nei paraggi. Dopo aver dato un occhio al centro storico coloniale, entro in tre o quattro agenzie per informazioni su una escursione a Ciudad Perdida (letteralmente "citta' persa, scomparsa"), un sito archeologico sul modello Machu Picchu, luogo sacro agli indigeni Tairona che abitavano queste zone da prima dell'arrivo degli Spagnoli. Il luogo si trova nella folta vegetazione tropicale (qui dicono tropicale, anche se in linea d'aria mi pare si sia piu' vicini all'Equatore) e vi si arriva solo con viaggio organizzato e quattro giorni di marcia forzata. Il programma e' molto appetibile, peccato il prezzo: 315 euro. Sono una bella cifra anche per un umile docente italiano. Decido allora di provare a raggiungere da solo il sito e li' cercare una guida privata.
Passo la notte nella stazione dei pullman, attraversando al tramonto zone perifiche che la suggestione vorrebbe "pericolose". A me e' andata bene e ho camminato per un paio d'ore senza assistere a scene particolarmente terrificanti. Anzi, ogni volta che chiedo aiuto per orientarmi la gente continua a dimostrarsi cortese e disponibile. Alla stazione ho socializzato con dei giovani migranti (credo argentini, dall'accento) che vivono in strada da un po'. Alle cinque di mattina la citta' si sveglia e io, ancora assonnato, mi piazzo in un bar della stazione a consumare un pasto fritto e fissare il via vai di gente di ogni eta', studenti, mamme con bambini, tassisti, impiegati, muratori, artigiani, motociclisti, autisti. C'e' un gran casino gia' all'alba. Chi non ha un lavoro contrattualizzato inizia evidentemente a lavorare appena sorge il sole. Chiedo indicazioni per un bus che mi porti verso il Parco naturale nazionale di Tairona. Mi ritrovo a fare una bella passeggiata nello smog mattutino in una delle principali strade statali che tagliano la citta'. Trovo il bus, che parte quando si riempie e che per me 3 euro mi lascia all'ingresso del parco. Nel tragitto, un sedicente medico botanico ultra cattolico, ci ha illustrato i poteri benefici di una cremina di sua produzione, a base di aloe. Cura i tumori e sbianca le macchie dei vestiti.
Appena arrivato all'ingresso del parco, mi immergo nel fiume e compro pane, acqua e sigarette, con l'intenzione di restare nel parco per due o tre giorni, facendo tappa nelle varie spiagge e sperando di perdermi nella natura selvaggia e dormire sotto le stelle. I miei sogni sono pero' subito interrotti da una ragazza che veste come i commessi da McDonald's: l'ingresso e il pernottamento costano molto di piu' di quanto non credessi e il tragitto e' fisso, senza possibilita' di andarsene per fatti propri. Si entra, si arriva alla meta, si dorme, si torna indietro, si esce. Poco sexy, per i miei gusti. Inoltre la presenza massiccia di turisti occidentali e di infiocchettamenti vari stile Grande muraglia nel tratto Badaling di Pechino, mi portano a cambiare programma: davanti a me ho la Transversal del Caribe, detta anche Ruta Nacional 90, la lunga bretella che iniziando da Panama costeggia la Colombia caribeña e arriva fino in Venezuela. Il richiamo della strada e' troppo forte, saluto la ragazza del McDonald's e inizio a camminare senza meta lungo la Transversal. Il cielo per fortuna e' coperto, ma il caldo si fa sentire ugualmente. So che tra una quindicina di chilometri dovrei incontrare il fiume Guachaca e da li' essere vicino all'ingresso di Ciudad Perdida.
Per la strada sfrecciano camion di grossa portata, pullman e jeep di turisti, moto-taxi e qualche avventuroso in bicicletta. La moto e' il veicolo piu' usato dai locali e non solo. A destra e sinistra terreni privati e fattorie di banani, palme e vegetazione tropicale che non saprei meglio definire. Paesaggi simili a quanto gia' visto a Taiwan, Filippine, Tailandia o Panama. In una tienda (negozio-bar) la mia attenzione e' colta dal baccano di un cucciolo di cane che cerca di azzannare un pappagallo verde, come quelli nei film dei pirati. Un bel benvenuto nella foresta tropicale. Qualche ora dopo, incontro e mi immergo nel fiume Guachaca. A colpirmi e' ancora lo stile di vita (apparentemente cosi' semplice) dei locali e la loro totale indifferenza e abitudine ai turisti, che qui sono sicuramente una risorsa economica importante. Madri giovanissime, bambini in gran quantita', donne anziane di taglia abbondante, uomini al lavoro nei campi o come autisti di moto-taxi. Inizio a socializzare nella speranza di trovare una guida privata per andare a Ciudad Perdida tagliando il costo imposto dalle agenzie di oltre 300 euro per quattro giorni di camminata. Le persone che interrogo rispondo in maniera collaborativa e gentile come sempre, ma ben presto mi rendo conto che qui le poche guide lavorano proprio per quelle agenzie e non si azzarderebbero mai a tagliar via il padrone per servire direttamente il cliente interessato. Sconsolato, proseguo per la strada, fissando il paesaggio di terreni di palme recintati con filo spinato e oltre, ad intuizione, l'oceano.
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