Viaggio in Colombia (I): benvenuti in Canada!
Fine maggio 2019, terminata la didattica a scuola con un progetto sportivo in Catalogna, per me è iniziato un periodo di importanti eventi ed esperienze fugaci, delle quali penso di aver preso qualcosa: il matrimonio di mia sorella, l'Esame di Stato dei miei alunni di quinto, il Festival Danzamare a Porto Potenza Picena (MC). E poi qua e là uscite in montagna, passeggiate in campagna, sagre di paese, l'affetto di amici, familiari, coinquilini, gatti e galline. Tempo per me.
Ah, le Marche!
Ah, le Marche!
Il tutto è durato un mese e mezzo. Da ieri sono in ferie, da ieri sono veramente in vacanza. Quest'anno la destinazione del viaggio è la Colombia. Un paese nuovo, per me tutto da scoprire, una meta tra Caraibi e Amazzonia, con la visita di una cara amica maceratese che lì vive da qualche tempo. Nessun dovere, nessuna pretesa, solo il piacere del relax, l'emozione dell'avventura, la gioia di sentirsi liberi e in strada.
Parto con il mio solito zaino spelacchiato da liceale e un bagaglio di regali e derrate alimentari per la mia amica, da lasciarle poi in casa. Arrivato a Fiumicino, scopro subito che il mio volo per Bogotà con scalo a Toronto ha già più di un'ora di ritardo. Rischio di perdere la coincidenza per la Colombia. Non chiedetemi perché da Roma a Bogotà abbia deciso di passare per il Canada... probabilmente quando ho comprato il biglietto on-line, settimane fa, ero di fretta e distratto, e ho fatto caso solo alla tariffa migliore. Il tipico errore da viaggiatore frettoloso, che pago perdendo effettivamente la coincidenza per la Colombia e finendo in una città, Toronto, che non conosco e non avevo in programma di visitare.
Ah, il Canada!
Avrei un amico trentino a Toronto da poter visitare, ma la stanchezza delle dieci ore di volo, il ritardo, il fuso orario e il fatto che l'hotel indicato dalla compagnia di volo sia a due passi dall'aeroporto mi fa desistere dall'andare a vedere Toronto. Mi sparo invece una bella doccia, consumo un eccellente hamburger americano con patatine nel ristorante convenzionato e sprofondo a letto che non sono neanche le otto di sera. Il giorno dopo mi alzo di buon ora, leggo qualcosa e guardo la TV canadese, che annuncia un'ondata di calore proveniente dal Golfo del Messico nonostante fuori piova e facciano poco più di 20 gradi. Faccio pranzo sempre a base di hamburger americano con patatine e vado a piedi all'aeroporto, in attesa del mio volo per Bogotà.
Considerazione: negli aeroporti i controlli sono sempre più blandi, ora fanno passare anche bottigliette d'acqua e accendini. Sembrano così lontani i tempi del post 11 settembre. La guerra al terrorismo di bushiana memoria sembra proprio terminata, per le meno negli aeroporti.
Considerazione canadese: oltre ai due anni di vita passati in Irlanda, queste 24 ore canadesi mi riportano alla memoria uno scambio culturale fatto con i compagni di liceo nel lontano 1999 tra San Francisco e Chicago. Grandi strade, grandi spazi, grandi le automobili, enorme il cielo azzurro, gli adulti che si vestono da adolescenti con cappellino da baseball e larga felpa sportiva, un numero esagerato di persone con obesità, gli scuolabus come quelli nei Simpson, la pay TV, la pubblicità a tonnellate, il fatto che tutto sia sempre spettacolo o spettacolarizzabile... Quell'inglese urlato, simil gioioso, turbo slangato, fottutamente fastidioso. Quell'avere una multi etnicità fatta di bianchi, neri, gialli e verdi che si vestono, comportano e comunicano esattamente alla stessa maniera. Mi fece strano quando avevo 17 anni e mi fa strano ancora oggi, tanti anni e tanti viaggi dopo. Dalle mie parti la connotazione etnica o la provenienza geografica sono ancora fortemente legate allo status sociale ed economico, per lo meno nella percezione comune delle persone. Vedere una ricca anziana di colore nel maceratese è ancora semplicemente impensabile, puramente inconcepibile, sarebbe un po' come vedere un ambulante bianco in spiaggia, un chirurgo con gli occhi a mandorla o un asino che vola. A tal proposito consiglio il film "Green Book" (2018) di Peter Farrelly.
Ah, l'America!
Ad ogni modo, qui non mi sentirei mai a casa. Vuoi per il cibo spazzatura, vuoi per questa cozzaglia di grattacieli alternati a spazi infiniti, vuoi perché detesto sentirmi chiamare "Sir!" dal cameriere di origine pachistana così come dall'autista di origine cinese, non rimarrei a vivere qui neanche per tutto il Rosso Piceno del mondo o per la promessa di chissà quale soddisfazione professionale. Questione di scelte personali, certo.
Del Canada non so nulla, ma così come non vivrei in queste metropoli alienanti, altrettanto interesse e curiosità avrei nell'andare all'avventura nelle vaste aree selvagge di questo enorme paese (secondo per estensione nel mondo dopo la Russia). Per chi non l'avesse ancora visto consiglio vivamente il film "Into the Wild" (2007) di Sean Penn.
Ciao Toronto, che in cinese si dice 多伦多 e che ospita una delle comunità italiane più grandi al mondo.
Colombia, butta la pasta!
Ah, il Canada!
Avrei un amico trentino a Toronto da poter visitare, ma la stanchezza delle dieci ore di volo, il ritardo, il fuso orario e il fatto che l'hotel indicato dalla compagnia di volo sia a due passi dall'aeroporto mi fa desistere dall'andare a vedere Toronto. Mi sparo invece una bella doccia, consumo un eccellente hamburger americano con patatine nel ristorante convenzionato e sprofondo a letto che non sono neanche le otto di sera. Il giorno dopo mi alzo di buon ora, leggo qualcosa e guardo la TV canadese, che annuncia un'ondata di calore proveniente dal Golfo del Messico nonostante fuori piova e facciano poco più di 20 gradi. Faccio pranzo sempre a base di hamburger americano con patatine e vado a piedi all'aeroporto, in attesa del mio volo per Bogotà.
Considerazione: negli aeroporti i controlli sono sempre più blandi, ora fanno passare anche bottigliette d'acqua e accendini. Sembrano così lontani i tempi del post 11 settembre. La guerra al terrorismo di bushiana memoria sembra proprio terminata, per le meno negli aeroporti.
Considerazione canadese: oltre ai due anni di vita passati in Irlanda, queste 24 ore canadesi mi riportano alla memoria uno scambio culturale fatto con i compagni di liceo nel lontano 1999 tra San Francisco e Chicago. Grandi strade, grandi spazi, grandi le automobili, enorme il cielo azzurro, gli adulti che si vestono da adolescenti con cappellino da baseball e larga felpa sportiva, un numero esagerato di persone con obesità, gli scuolabus come quelli nei Simpson, la pay TV, la pubblicità a tonnellate, il fatto che tutto sia sempre spettacolo o spettacolarizzabile... Quell'inglese urlato, simil gioioso, turbo slangato, fottutamente fastidioso. Quell'avere una multi etnicità fatta di bianchi, neri, gialli e verdi che si vestono, comportano e comunicano esattamente alla stessa maniera. Mi fece strano quando avevo 17 anni e mi fa strano ancora oggi, tanti anni e tanti viaggi dopo. Dalle mie parti la connotazione etnica o la provenienza geografica sono ancora fortemente legate allo status sociale ed economico, per lo meno nella percezione comune delle persone. Vedere una ricca anziana di colore nel maceratese è ancora semplicemente impensabile, puramente inconcepibile, sarebbe un po' come vedere un ambulante bianco in spiaggia, un chirurgo con gli occhi a mandorla o un asino che vola. A tal proposito consiglio il film "Green Book" (2018) di Peter Farrelly.
Ah, l'America!
Ad ogni modo, qui non mi sentirei mai a casa. Vuoi per il cibo spazzatura, vuoi per questa cozzaglia di grattacieli alternati a spazi infiniti, vuoi perché detesto sentirmi chiamare "Sir!" dal cameriere di origine pachistana così come dall'autista di origine cinese, non rimarrei a vivere qui neanche per tutto il Rosso Piceno del mondo o per la promessa di chissà quale soddisfazione professionale. Questione di scelte personali, certo.
Del Canada non so nulla, ma così come non vivrei in queste metropoli alienanti, altrettanto interesse e curiosità avrei nell'andare all'avventura nelle vaste aree selvagge di questo enorme paese (secondo per estensione nel mondo dopo la Russia). Per chi non l'avesse ancora visto consiglio vivamente il film "Into the Wild" (2007) di Sean Penn.
Ciao Toronto, che in cinese si dice 多伦多 e che ospita una delle comunità italiane più grandi al mondo.
Colombia, butta la pasta!
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