Friday, August 05, 2016

Balkans on the road, 15 anni dopo (VI): La famiglia di Fier. E quella di Tirana.



Bene, ora apriamo il capitolo "ospitalita'". A Fier sono ospite degli zii di S., una ragazza di origine albanese che vive a Macerata; quando le ho detto che andavo in viaggio in Albania non ci ha messo tanto a darmi l'indirizzo dei parenti.

Gli zii hanno un ristorante sulla strada tra Fier e Berat. Lo zio ha lavorato diversi anni come muratore nelle Marche, per poi tornare in Albania ad aprire una piccola attivita' e coltivare la terra. Io sono nipote di contadini e lo dico con vanto. Lo zio mi porta a vedere i suoi campi: viti, ulivi, serre, alberi da frutto. Come non sentirsi a casa?! Pranziamo assieme (il primo vero pasto albanese), poi una doccia e riposino fino al tramonto. In serata al fresco fuori il ristorante dove sono di passaggio varie persone, molte delle quali con esperienza di migrazione nei paesi europei. Un po' in italiano, un po' in inglese scambio due chiacchiere con i vari passanti e il momento per condividere la piccola bottiglia di liquore che ho portato come presente allo zio di S.: il mistra' Varnelli, anice secco orgoglio della terra maceratese. Sembra ouzo greco al loro palato ed in effetti il sapore non e' molto diverso. Avrei dovuto portarne un barile, ma a piedi da Saranda non sarebbe stato facile.
Il giorno dopo lo zio mi offre anche un passaggio fino a Tirana, visto che con i fratelli sta andando in uno degli ospdeali della capitale a visitare un parente. Neanche il tempo di offrirgli la colazione e siamo subito a Durazzo, due passi da Tirana. Ospitalita' a palate, grazie amici albanesi!

Tirana mi appare pulita ed ordinata, anche qui mi sembra che nessuno faccia caso a me. Nessuna scocciatura, nessun "assalto al turista". Poco traffico, ma molta gente in strada, colori, saluti, umanita'. Visito la piazza principale, il museo di storia, la moschea centrale, la piramide e il museo di arte contemporanea. I biglietti dei musei albanesi costano una cifra irrisoria, uno o due euro a volta. Il centro di Tirana sembra un po' la parte anni '60 di Pechino e quel poco che ho visto di Mosca e Pyongyang: Welcome back Soviet Union! Strade larghe, palazzoni in stile sovietico, ordine. Nel tardo pomeriggio incontro F., giovane albanese amico di amici maceratesi che lavorano a Milano. Che dire... bisognerebbe avere piu' persone del genere in questo mondo. Avendo vissuto per dieci anni nello Stivale e' un perfetto mediatore culturale, carico di energia e pieno di idee e progetti che va piano piano sviluppando in un paese che (e soprattutto su questo mi trova pienamente d'accordo) ha tutte le potenzialita' per andare lontano. Al bar incontro anche R., amico di F. e fine filologo, che mi apre mondi sconosciuti sull'origine della lingua albanese e sui legami tra queste terre e gli altri paesi bagnati dal Mediterraneo. "La tecnologia e' la morte del tempo". Sapevate voi che "Puglia" significa in origine "baciarsi"? Beh, io no.
Poi tutti a casa per una bella spaghettata e infine a nanna sul divano piu' comodo della storia. Il giorno dopo F. mi accompagna con la ragazza ad acquistare un biglietto del bus per Pristina, capitale del Kosovo. Baci e abbracci, bello avere tante famiglie sparse per il mondo, in bocca al lupo per tutti i vari progetti!

Non vedo cinesi da una decina di giorni e mi sto preoccupando. Dove li avete messi?!? "Abbiamo guardato ad est per troppo tempo, ora guardiamo ad ovest", si e' giustificato il gestore di un bar col quale ho scambiato quattro chiacchiere. Oltre alla raki gradisco le birre albanesi, la birra Korca, la birra Elbar, la birra Tirana, la birra Peja soprattutto. L'italiano in Albania lo imparano, oltre per le varie esperienze di migrazione, per il calcio e la canzone. Io invece in dieci giorni di Albania confesso, non senza un certo imbarazzo, di non aver imparato praticamente nulla. So solo che "cin cin" si dice qualcosa come "zua", che letteralmente significa "gioia". "Grazie" e' una parola tra "lacedomini" e "finanzieri". "Io" e "po" significano "si'" e "no" o viceversa. "Shitet" e' scritto ovunque e deduco significhi "vendesi", mentre "baskhia" immagino sia "citta'". La "thana" e' un frutto particolare, piccolo e rosso, simile alla ciliegia ma dal gusto dolce e aspro assieme. 

In bus per Pristina mi addormento e mi sveglio un paio d'ore dopo, il paesaggio di montagne brulle. Ci fermiamo non piu' di 20 minuti in dogana, il tempo di un timbro kosovaro sul passaporto. Il gendarme che mi ritira il documento ha uno strano tatuaggio al braccio: l'aquila bicefala con sopra tre lettere, UCK. Fine anni novanta, l'Esercito per la liberazione del Kosovo faceva sapere di se' anche nelle cronache italiane. Avevo disegnato quello stemma anche nel mio diario del liceo. Il passato (del tutto personale) che ritorna. L'importanza del viaggio.

L'autista del bus sembra avere una sola canzone nel cd, questa:
https://www.youtube.com/watch?v=tjRobxs6z24

Alle', alle', alle'.

1 Comments:

At 1:06 AM, Anonymous Dmasiv said...

Troppo bello il video anche se vorrei capire cosa vuole rappresentare l altro nero, dalle smorfie simpatiche, con la riga bianca in testa

 

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