Thursday, August 06, 2015

Malacca paura nessuna: Kuala Sepetang, orgasmo antropologico.



Come dicevo, H. e' innanzitutto un archietto e un attivista per la cura del patrimonio culturale locale. Mi porta in giro in auto mostrandomi tutte le piu' interessanti costruzioni ed edifici (principalmente le shop-house cinesi) degli anni '20 e '30, per poi fare assieme un tour nella campagna fuori Ipoh, tra case tradizionali malesi e cio' che resta delle miniere di stagno, di cui anche sui padre era tra i principali imprenditori del posto. Il tour e' davvero piacevole, e tra un pasto in un villaggio e la visita ad una chiesa cristiana, colgo l'occasione per provare una cosa mai fatta prima: la barba dal barbiere! Per 1,50 euro un giovane barbiere di origine tamil mi da' una sforbiciata alle basette, mi fa la barba a pelle col rasoio, mi da' una tagliata ai peli nel naso, un massaggio al collo, passa una crema liquida sui capelli e mi da' anche una pettinata. Wow! Quando avro' uno stipendio dignitoso passero' dal barbiere di tanto in tanto.
H. mi porta anche a visitare il castello di Kellie, un imprenditore scozzese morto nel 1926, per poi invitarmi a cena in un piccolo villaggio di sino-malesiani a mangiare dei costosissimi gamberi di fiume. 

L'ultimo giorno lo seguo per affari nella citta' di Taiping, per poi raggiungere il vero orgasmo antropologico nella cittadina costiera di Kuala Sepetang. Qui fu creata la prima linea ferroviaria della Penisola. Per me, meta del tutto inaspettata: vivace porticciolo di mare con una comunita' cinese di tutto rispetto e un progetto coordinato da universita' malesiane e taiwanesi per la restaurazione di antiche casette tramite la partecipazione di studenti locali e internazionali di architettura. Andiamo a parlare con i docenti che dirigono i lavori, alcuni studenti e alcuni anziani del posto: ai miei occhi, un fantastico esempio di progettualita' votata alla conservazione e allo sviluppo culturale di un piccolo villaggio di pescatori. Bravi davvero. 

Ma l'orgasmo non e' ancora terminato: finito di scattare le foto e visitare il locale tempio buddista cinese, H. mi porta a visitare gli altoforni rudimentali dove si lavora il legno per creare carbone vegetale. "Il migliore al mondo, quello che usate da voi per fare i barbecue", aggiunge H. 
Anche questo un vero e proprio spettacolo: fuori dal villaggio, verso la foresta, un piccolo fiume permette alle barche di trasportare legname dall'isola, lavorarlo e trasformarlo (attraverso ciminiere di terra dove lavorano immigrati bengalesi e pakistani neri come carbone) in carbonella. Business redittizio, pare. Spero lo sia anche per gli operai chiusi nei capannoni a contatto con gli altoforni, che sembra lavorino in condizioni non proprio ottimali: passasse la CGIL chiuderebbe non la fabbrica ma l'intero villaggio, anzi, l'intera nazione.

Siamo quasi ai saluti. H. mi da' un passaggio fino a Butterworth, da dove prendiamo un traghetto per l'isola di Penang. La nostra strada assieme si conclude qui. Lo ringrazio tantissimo per tutto quello che ha fatto per me. Se mai arrivero' ai 60 anni mi piacerebbe essere esattamente come lui: generoso, impegnato, curioso. Ci diamo un abbraccio di addio per poi sentirlo salutarmi con una delle poche espressioni in lingua malese imparate finora: selamat jalan,"buon viaggio!".

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