Malacca paura nessuna: Singapore, parte seconda. Ed ultima.
Rieccoci a Singapore, il cui nome sta per "terra dei leoni". Qui di leoni non se ne sono mai visti, segno evidente che in passato si faceva uso pesante di droghe pesanti. Oggi invece il consumo di droga e' pesantemente punito. Cambiano, i tempi.
Un po' zuppo di pioggia raggiungo la casa di M., il ragazzo indiano che mi ospitera' per un paio di notti. Zona abbastanza centrale, carina e caratterizzata da palazzoni moderni e colorati tutti uguali. M. e' gentile e simpatico, un po' come gran parte della comunita' Couch Surfing. Mi sparo una doccia e poi parliamo un po' di viaggi, di India e d'Italia (no, non dei maro'), di donne e di sport. Mi parla benissimo di Singapore, citta' che vive da cinque anni, mentre moglie e figli li ha lasciati nel suo paese: "In India tutti vanno di fretta ma nessuno e' in orario", mi fa. Curioso. Ci raggiungono anche un ragazzo brasiliano e due ragazzine appena maggiorenni, indonesiane mussulmane appena arrivate a Singapore, che si tolgono il velo appena arrivate in casa. Interessante. Il giorno dopo sveglia per tutti alle 6,30 visto che M. esce per andare a lavorare. Io invece punto sull'isola di Sentosa.
E punto male, perche' l'isola e' un'orribile attrazione turistica, una piccola Disneyland di plastica e cartapesta, per una tipologia di turismo di massa e inscatolabile, da bandierina e fischietto, le pecore al pascolo, l'associazione delle famiglie felici, gruppi sterminati di cinesi, indiani e mongoli a cavallo. I barbari 2.0, le scale mobili, l'aria condizionata, le attivita' che finiscono in "-ing", i negozi, gli hotel di lusso, le telecamere, i giochi per bambini e le signore di mezza eta', i selfie con quel coso che sembra una mazza da baseball, i portieri in divisa e i prezzi alle stelle. Non mi avrete mai! Scappo in direzione spiaggia lontano dai bikini e schiaccio un pisolino tra la folta vegetazione. Poi afferro il bus gratuito (qualcosa di positivo quest'isola doveva pure averla!) e giungo nell'estremita' orientale di Sentosa, che ospita il vecchio forte inglese e un museo di cera dedicato alla presenza britannica a Singapore, alla resistenza e all'occupazione dei giapponesi durante la seconda guerra mondiale. Ho passato almeno un paio d'ore tra forte e museo e ho goduto infinitamente di questa inaspettata scoperta (oltretutto non c'e' neanche un biglietto d'ingresso!). Viva Arnold Watson, viva le avventurose fughe dai campi di detenzione!
In viaggio mangio poco e quando capita, ad ogni modo il posto piu' economico dove mangiare dev'essere il supermercato, oppure le bettoline etniche ai lati della strada. Consigliatissimo, gratuito ed enorme e' poi il Giardino botanico di Singapore. Il tempo di incontrare anche un lucertolone grande quanto un ghiro e un paio di scoiattoli, mi addormento sul grande prato vicino all'ingresso, non lontano dalla famosa National University of Singapore. Faccio un'ultima passeggiata per i dintorni e un giro per la China Town locale (che qui chiamano 牛车水, non so perche'), per poi tornare a casa di M.
Alcune considerazioni:
- si', e' proprio da qui che i cinesi hanno imparato (leggi "copiato") il capitalismo. Bravo Deng Xiaoping. Quello che oggi vedete a Pechino, Shanghai, Tianjin, Shenzhen, Chongqing eccetera e' un capitalismo a immagine e somiglianza dei cugini di Singapore;
- come gia' mi aveva detto un amico statunitense che studiava con me a Pechino, a Singapore e' chiaramente quella cinese la classe dirigente, mentre indu' e tamil fanno per lo piu' i lavori piu' umili, quelli che in Cina fanno i migranti dalle campagne. Qui lo si nota dal colore della pelle: piu' e' chiaro e piu' probabilmente giri con l'orologio d'oro, piu' e' scuro e piu' probabilmente pulisci le strade;
- a me Singapore impressiona per la co-esistenza etnico-linguistica e culturale cosi' diversa da non riuscire a capire come facciano ad essere "nazione". Forse non lo sono, chissenefrega della nazione quando hai un PIL come quello di Singapore. A livello di vita, per quel che ho avuto modo di notare nelle ultime 48 ore, mi ricorda molto Canton: una metropoli enorme, affollata, che alterna l'aria condizionata dei centri commerciali a trenta piani con il caldo afoso delle larghe strade, una citta' nella foresta equatoriale, un clima insopportabile, milioni di asiatici in camicia e ventiquattrore spostarsi senza sosta;
- a Singapore sembra tutto perfetto e poco umano, non ho avuto tempo e modo di vagare nei meandri piu' oscuri della citta' ma ho letto on-line che ovviamente anche qui esistono zone piu' povere e malfamate, vicoli sporchi, peggiori bar, postriboli di prostitute e gioco d'azzardo. Se la cosa vi interessa chiedete per Geylang.
La sera a casa di M. le due ragazze mussulmane ci preparano del te' indonesiano: anche questo direi molto simile al chai indiano. M. mi spiega come varcare la frontiera ed entrare a Larkin, prima citta' malese fuori dal confine singaporese (o singaporeano?!). Buona notte a tutti/e, il mattino dopo mi sveglio di buonora e dopo una serie di bus, dogane, timbri sul passaporto e entusiasmo alle stelle eccomi alla stazione dei bus di Larkin. Addio Singapore, prossima fermata Melacca!
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