Malattie, dottori, ospedali, droghe legalizzate: il mio stile di vita non è materia di sua competenza.
Quando uno è malato vorrebbe solo una cosa: guarire. E tornare a vivere. Non dico al top, ma meglio che in stato di malattia.
Non ci voleva un genio per capirlo. Invece quello che lei non capisce è che il mio stile di vita non è materia di sua competenza. Mi creda. Noi siamo gente che finisce male, cantava Guccini. Viviamo male, finiamo male. Galera od ospedale, nella migliore delle ipotesi. Sottoterra da giovani, sa, ci spaventa solo l’idea di finire settantenni tremanti lunghi su un lettino con una badante bosniaca che da giovane batteva nelle periferie di Budapest. No, grazie. Magari finire con un gesto eclatante, un colpo alla testa dove aver dato fuoco ad una chiesa o assaltato una stazione di polizia. Ci credo che il nostro stile di vita non è salutare: è una condanna a morte premeditata, una roulette russa per un solo giocatore, una partita a scacchi con dieci re e nessuna regina, un ridere amaro alla vita, il non riservare a nessuno (tanto meno ad amici immaginari che chiamate “dio”) la potestà del nostro vivere quotidiano. Non viviamo per mangiare, noi. Il nostro stile di vita è una rivoluzione senza rivoluzionari, una favola senza eroi, un fucile senza colpi in canna. E no, non è salutare.
Non stavo fisicamente male dai tempi delle costole fratturate a Pechino. Mi sono ammalato un mese fa, una strana influenza e una ancora più strana infezione agli occhi. Malessere continuo. Dopo due tre settimane di orgogliosa resistenza ho ceduto e sono andato dal dottore. Anzi, dalla dottoressa. Una bella donna, giovane. Esami del sangue (che nel mio caso andrebbero più opportunamente chiamati "esami del vino") e delle urine. E da lì sono stati solo giorni di antidolorifici e antibiotici, imbottirsi di medicine dalla mattina alla sera. Senza alcun risultato. E sale la paranoia.
“Prenda questo pasticcone una volta al giorno, queste gocce due volte al giorno e questi antidolorifici ogni volta che ne sente il bisogno”.
“Questo significa che non posso farmi qualche pinta di birra la sera con gli amici?”.
“Mezza pinta. E non troppe. Non dimentichi che il suo stile di vita è collegato al suo stato di salute”.
Non ci voleva un genio per capirlo. Invece quello che lei non capisce è che il mio stile di vita non è materia di sua competenza. Mi creda. Noi siamo gente che finisce male, cantava Guccini. Viviamo male, finiamo male. Galera od ospedale, nella migliore delle ipotesi. Sottoterra da giovani, sa, ci spaventa solo l’idea di finire settantenni tremanti lunghi su un lettino con una badante bosniaca che da giovane batteva nelle periferie di Budapest. No, grazie. Magari finire con un gesto eclatante, un colpo alla testa dove aver dato fuoco ad una chiesa o assaltato una stazione di polizia. Ci credo che il nostro stile di vita non è salutare: è una condanna a morte premeditata, una roulette russa per un solo giocatore, una partita a scacchi con dieci re e nessuna regina, un ridere amaro alla vita, il non riservare a nessuno (tanto meno ad amici immaginari che chiamate “dio”) la potestà del nostro vivere quotidiano. Non viviamo per mangiare, noi. Il nostro stile di vita è una rivoluzione senza rivoluzionari, una favola senza eroi, un fucile senza colpi in canna. E no, non è salutare.
Mi creda dottoressa. Il mio stile di vita non è materia di sua competenza.
6 Comments:
...un mio caro amico, un grande artista, uno scultore, anarchico e, sotto tortura, di sinistra, mi confidò un giorno di aver sacrificato (si fa per dire) la sua vita alla sua 'arte'.
niente figlioli dunque..., non c'è posto per i figli nel caracollare attoniti tra la non vita e la non morte..., giusto la passera, in subordine, come attività propedeutica all'arte...
unico tiranno a cui sacrificare 97 anni di vita, l'arte
(e la passera, of course..)
è stato ed è un grande artista, ha avuto tutto quello che desiderava dalla sua vita, onori, intelletti, amicizie e molte e lusinghiere attività propedeutiche....
l'unica cosa che invidia a me, di una generazione più giovane, ma altrettanto attonito e diversamente anarchico, sono i miei figli...
li adora, avrebbe voluto averne...
ora.
mi raccomando, tieni in custodia l'involucro della tua ossessione, conducilo all'assunzione degli ettolitri prossimi venturi, renditi disponibile ad una ciuca di Refosco over settanta ...(Refosco in gray...)
vivere per raccontarla,
in culo alla seconda legge della termodinamica....
e per dispetto, diceva la mia nonna..
insomma, vedi di star bene,
ciao Daniele
r
E' tutto da imputare allo stile di vita? Dipende. Anche chi non beve, no fuma, va a letto presto e si mette a riposo quando ha la febbre, raccomandando di fare lo stesso agli altri, poi è stata fregata, dal destino. E nessuno sa spiegare perchè. Anche la saccenza dei medici ha dei limiti ben definiti. Da qui comincia il tuo discorso... fai quello che ti senti, e sii felice :)
ganbei!
ciao
masa
Io direi che il preservarsi fine a se stesso ha poco senso..voglio dire, condurre una vita sana e regolare per rimanere nel piccolo borgo paesano è forse una perdita di tempo, anche se il valore della vita, a quanto dicono, dovrebbe essere assoluto.
in ogni caso, io direi il preservarsi con una prospettiva..tipo l'India, (magari ci sei anche stato, e allora ne sei consapevole ancora di più)....per farla in un certo modo, a certi ritmi, con gli autobus locali e i treni infiniti con i quarantacinque gradi del rajhastan a metà luglio, devi starci con i sentimenti, come dicono dalle mie parti, e preservarti. ti ci vedi ad attraversare una parte del deserto con ettolitri di vino e 2 pacchetti di tabacco????
tutto per dire che va bene vivere sregolati, ma teniamo presente i motivi per cui dovremmo preservarci.
e detto ciò.....viva lu varnelli!!!!!
Aspetto 'na risposta provocatoria in ogni caso.
from viva lu varnelli
la provocazione maggiore che porto nello stomaco al momento è la felice novella che gli occhi stanno migliorando e non ho febbre da un paio di giorni. resta solo il mal di testa, ma troveremo una soluzione anche per quello. nel frattempo, ieri sera una delle feste più fighe mai fatte, cinquanta persone a casa di un amico, birra a fiumi, pizza vegetariana fatta in casa e tanti tanti giocolieri, che verso la mezzanotte si sono spostati in un enorme prato fuori città a giocare col fuoco. vino e fuoco, stesi sul prato e le sue labbra. da morire di gioia. e quindi oggi prendo un bus e me ne vado a galway, festival degli artisti di strada, quattro giorni a rotolarmi tra pub e marciapiedi, se non muoio prima vi prometto un post per la prossima settimana.
non si vive di solo varnelli: c'è anche il jameson.
"e per dispetto"
bro, la medicina di cui hai bisogno è l'aria de casa...a piccole dosi per poi ripartire cose sempre del resto...
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