Ultime da Lhasa
Il barbecue di yak e' saltato per pigrizia. Eccomi di nuovo in un internet point. E a qualcosa su Lhasa...
Dunque dicevo della massiccia presenza di cinesi di etnia Han, cioe' cinesi doc (oltre 90% della popolazione cinese), sia come turisti che come commercianti, operai, uomini d'affari. Presenza che rende Lhasa ben poco tibetana. Come gia' detto, ero rimasto schockato anche da un paio di vie stile Khaosam Road di Bangkok, ovvero vie di negozi, internet point, ostelli, pub e altri servizi create per i "viaggiatori" occidentali e giapponesi, giovani e meno giovani figli della media borghesia occidentale in cerca d'avventura e di vacanze alternative, zaino in spalla, lonely planet in mano e barba lunga. Un po' come noi insomma. Le bacheche degli ostelli sono pieni di annunci in inglese, giapponese, spagnolo o cinese di ragazzi che cercano compagnia per viaggi di qualche giorno in giro per il Tibet (uno ieri parlava di 4-5 giorni in jeep, scalata dell'Everest fino a tot metri, 180 euro circa pasti e alloggio esclusi); magari si possono anche fare incontri interessanti, noi invece abbiamo preferito entrare abusivamente in uno di questi ostelli, sederci in una panchina e consumare una torta salata, unico incontro interessante il viso di una tipa con le trecce bionde e lo sguardo disinteressato.
I tibetani. Per darvene un'idea (e scusate la blasfemia entografica) diciamo che sono degli asiatici scuri in volto e dai capelli lunghi raccolti spesso in trecce, una via di mezzo tra campesinos boliviani, indios dell'Amazzonia e rom dei campi nomadi italiani.
Dunque dicevo della massiccia presenza di cinesi di etnia Han, cioe' cinesi doc (oltre 90% della popolazione cinese), sia come turisti che come commercianti, operai, uomini d'affari. Presenza che rende Lhasa ben poco tibetana. Come gia' detto, ero rimasto schockato anche da un paio di vie stile Khaosam Road di Bangkok, ovvero vie di negozi, internet point, ostelli, pub e altri servizi create per i "viaggiatori" occidentali e giapponesi, giovani e meno giovani figli della media borghesia occidentale in cerca d'avventura e di vacanze alternative, zaino in spalla, lonely planet in mano e barba lunga. Un po' come noi insomma. Le bacheche degli ostelli sono pieni di annunci in inglese, giapponese, spagnolo o cinese di ragazzi che cercano compagnia per viaggi di qualche giorno in giro per il Tibet (uno ieri parlava di 4-5 giorni in jeep, scalata dell'Everest fino a tot metri, 180 euro circa pasti e alloggio esclusi); magari si possono anche fare incontri interessanti, noi invece abbiamo preferito entrare abusivamente in uno di questi ostelli, sederci in una panchina e consumare una torta salata, unico incontro interessante il viso di una tipa con le trecce bionde e lo sguardo disinteressato.
I tibetani. Per darvene un'idea (e scusate la blasfemia entografica) diciamo che sono degli asiatici scuri in volto e dai capelli lunghi raccolti spesso in trecce, una via di mezzo tra campesinos boliviani, indios dell'Amazzonia e rom dei campi nomadi italiani.
Veniamo al Potala: migliaia di visitatori al giorno, si fa una fila di qualche ora che inizia alle 5 di mattina e finisce verso le 11, il tutto per acquistare (passaporto alla mano) un biglietto da 10 euro per il giorno dopo all'ora che decidono loro. Noi ci siamo stati oggi pomeriggio, all'entrata sequestrano fiammiferi, accendini, coltellini e altro materiale "pericoloso" e controrivoluzionario. Scalinata ripidissima, sfiancante e allucinante (cadaveri di vecchie olandesi e coreane sparsi lungo il tragitto), fino alla residenza del Dalai Lama, le sue (ex) stanze da ricevimento, preghiera, notte, etc... tesori inestimabili, statue, statuette, raffigurazioni, scritture, le tombe dei dalai lama (roba da 3700 kg in oro e 10.000 gioielli l'una, alla faccia del buddhismo e dell'abbandono della vita materiale!!), paesaggio indescrivibile dal tetto, se fai una foto ti tagliano il braccio e il cesso piu' alto del mondo (in una stanzetta in legno due buchi per terra dove espletare, sotto 10 metri di vuoto e la montagna di cacca piu' alta e piu' vecchia del mondo, dove han cagato dal VII Dalai Lama a Cheng Yi, vice primo ministro cinese nel1956). Molto interessante, ma sicuramente piu' bello da fuori per gente che poco o nulla sa di lamaismo e arte buddhista tibetana, nepalese, indiana.
Parole come "democrazia", "Tibet", "liberta'", "Taiwan", "Dalai Lama", "Falungong" sono pressoche' vietate in Cina, questo lo sappiamo tutti, sono parole da evitare e non tirare mai fuori, neanche con amici o studenti. Specie in Tibet. La fila di giornalisti, dissidenti e religiosi in carcere in Cina e' lunga assai. A dire la verita' non ho trovato nessun segno di dissenso o malcontento in questi giorni di Lhasa (mentre tra Canton, Pechino e Hong Kong di proteste improvvisate ne ho viste non poche). Sembra tutto ok, tutto tranquillo, alcuni vendono altri comprano e tutto va bene cosi', i fedeli pregano all'aria aperta, i monaci parlano al cellulare, bevono Red Bull o ascoltano mp3 e tutto va bene cosi'. Ma mentre ero seduto sotto il Potala aspettando Yu e gli altri mi si avvicina un tipo (in giacca e cravatta, ma scuro di pelle, tibetano), mi chiede se parlo cinese, comincia una conversazione come tante altre, qualche domanda dopo mi chiede cosa penso di Lhasa, rispondo "Bella. Ma troppi cinesi Han. Non sembra di stare in Tibet". Gli parte un sorriso a 32 denti, mi si mette piu' vicino e parla sottovoce, mi parla di Lhasa 10 anni fa, accenna qualcosa sul colonialismo Han e sul Dalai Lama. Yu arriva col pranzo in scatola e lo saluto.
E' forse proprio questo il punto: da quanto avevo letto e studiato pensavo il vero problema fossero i cinesi Han "mandati" in Tibet dal governo con promesse di lavoro e facilitazioni sociali, una sorta di immigrazione interna forzata per "sviluppare" il Tibet e cancellarne malcontenti e pretese di indipendenza. Figuravo un Tibet sotto la morza forzata dei cinesi, un Tibet militarizzato, pieno di polizia cinese e posti di blocco. Invece sembra tutto cosi' tranquillo e pacifico, tibetani e cinesi convivono insieme, si dividono negozi e ristoranti, attivita' e scuole. Non si distinguono neanche molto, li riconosco soprattutto dal colore della pelle o dalla lingua che parlano. Non accuserei tanto la colonizzazione Han, quanto piuttosto lo sviluppo forzato e la modernizzazione, quella intesa in senso globale (e non una semplice politica repressiva del governo cinese intento a "lavarsi i panni sporchi in casa"); quello sviluppo che conosciamo benissimo noi occidentali, quello inteso come produzione di beni di consumo e produzione di consumatori tramite pubblicita' e cultura dell'immagine, il mondo in mano a multinazionali e lobby del commercio. Credo sia piuttosto questo ad aver rovinato Lhasa e ad aver (almeno sembra) danneggiato fortemente una cultura secolare come quella religiosa (e civile) tibetana. E' vero pero' che il capitalismo in Tibet ce l'hanno portato i cinesi (una frase del genere trent'anni fa avrebbe fatto ridere di crepacuore anche l'ultimo degli yak nelle praterie qui vicino). Fossi il Dalai Lama mi preoccuperei piu' per il consumismo imperante scelto come unico dio dai giovani tibetani piuttosto che del governo di Pechino.
Credo a Lhasa vecchio e nuovo, ortodosso e blasfemo, tradizionale e moderno si siano sposati e l'abbiano fatto piuttosto male. Non sono rimasto particolarmente deluso da Lhasa (paesaggi splendidi, montagne esuberanti, templi unici... donne bellissime) ma preferisco di gran lunga una Kashgar, che sembra meglio ancora mantenere uno stile di vita e modi di fare antichissimi, sia architettonicamente sia a livello di vita quotidiana, per nulla disturbata dal turismo occidentale ne' dal centro capital-socialista di firma cinese; a Kasghar davvero sembrava di stare non in Cina ma a Kabul, senza soldati americani o inglesi e con qualche scritta cinese in piu'.
Parole come "democrazia", "Tibet", "liberta'", "Taiwan", "Dalai Lama", "Falungong" sono pressoche' vietate in Cina, questo lo sappiamo tutti, sono parole da evitare e non tirare mai fuori, neanche con amici o studenti. Specie in Tibet. La fila di giornalisti, dissidenti e religiosi in carcere in Cina e' lunga assai. A dire la verita' non ho trovato nessun segno di dissenso o malcontento in questi giorni di Lhasa (mentre tra Canton, Pechino e Hong Kong di proteste improvvisate ne ho viste non poche). Sembra tutto ok, tutto tranquillo, alcuni vendono altri comprano e tutto va bene cosi', i fedeli pregano all'aria aperta, i monaci parlano al cellulare, bevono Red Bull o ascoltano mp3 e tutto va bene cosi'. Ma mentre ero seduto sotto il Potala aspettando Yu e gli altri mi si avvicina un tipo (in giacca e cravatta, ma scuro di pelle, tibetano), mi chiede se parlo cinese, comincia una conversazione come tante altre, qualche domanda dopo mi chiede cosa penso di Lhasa, rispondo "Bella. Ma troppi cinesi Han. Non sembra di stare in Tibet". Gli parte un sorriso a 32 denti, mi si mette piu' vicino e parla sottovoce, mi parla di Lhasa 10 anni fa, accenna qualcosa sul colonialismo Han e sul Dalai Lama. Yu arriva col pranzo in scatola e lo saluto.
E' forse proprio questo il punto: da quanto avevo letto e studiato pensavo il vero problema fossero i cinesi Han "mandati" in Tibet dal governo con promesse di lavoro e facilitazioni sociali, una sorta di immigrazione interna forzata per "sviluppare" il Tibet e cancellarne malcontenti e pretese di indipendenza. Figuravo un Tibet sotto la morza forzata dei cinesi, un Tibet militarizzato, pieno di polizia cinese e posti di blocco. Invece sembra tutto cosi' tranquillo e pacifico, tibetani e cinesi convivono insieme, si dividono negozi e ristoranti, attivita' e scuole. Non si distinguono neanche molto, li riconosco soprattutto dal colore della pelle o dalla lingua che parlano. Non accuserei tanto la colonizzazione Han, quanto piuttosto lo sviluppo forzato e la modernizzazione, quella intesa in senso globale (e non una semplice politica repressiva del governo cinese intento a "lavarsi i panni sporchi in casa"); quello sviluppo che conosciamo benissimo noi occidentali, quello inteso come produzione di beni di consumo e produzione di consumatori tramite pubblicita' e cultura dell'immagine, il mondo in mano a multinazionali e lobby del commercio. Credo sia piuttosto questo ad aver rovinato Lhasa e ad aver (almeno sembra) danneggiato fortemente una cultura secolare come quella religiosa (e civile) tibetana. E' vero pero' che il capitalismo in Tibet ce l'hanno portato i cinesi (una frase del genere trent'anni fa avrebbe fatto ridere di crepacuore anche l'ultimo degli yak nelle praterie qui vicino). Fossi il Dalai Lama mi preoccuperei piu' per il consumismo imperante scelto come unico dio dai giovani tibetani piuttosto che del governo di Pechino.
Credo a Lhasa vecchio e nuovo, ortodosso e blasfemo, tradizionale e moderno si siano sposati e l'abbiano fatto piuttosto male. Non sono rimasto particolarmente deluso da Lhasa (paesaggi splendidi, montagne esuberanti, templi unici... donne bellissime) ma preferisco di gran lunga una Kashgar, che sembra meglio ancora mantenere uno stile di vita e modi di fare antichissimi, sia architettonicamente sia a livello di vita quotidiana, per nulla disturbata dal turismo occidentale ne' dal centro capital-socialista di firma cinese; a Kasghar davvero sembrava di stare non in Cina ma a Kabul, senza soldati americani o inglesi e con qualche scritta cinese in piu'.
Una cosa salvo e non posso far a meno di scrivere: la fede della gente del posto. Quella non e' ancora del tutto venduta, stuprata, corrotta. Impressionaa qualsiasi turista il vedere folle di tibetani venute da ogni angola della regione (e non solo) passare intere giornate in preghiera, facendo rotare nella mano destra un corto bastone di ferro e nella sinistra una sorta di rosario, recitando formule a non finire, soprattutto anziani barcollanti ma infinitamente dignitosi, vestiti poveramente ma tradizionalmente, stracci colorati e bisacce, fermandosi a donare elemosine ad ogni monaco anziano che incontrano sul lato della strada, per non parlare dei fedeli che per ore si inchinano, si sdraiano, si rialzano e si inchinano di nuovo e in continuazione di fronte o nei paraggi del Potala o dei templi. La paura e' che tutto cio' morira' con loro, non sono molti i giovani tibetani che si comportano come i loro anziani.
Con questa vi lascio. Domani treno per Pechino. 48 ore seduti. Sempre meno tranqua.
Il viaggio volge al termine e con questo anche i miei post su Xinjiang e Tibet.
A presto gente!
Stefano Yu Ale Daniele
Foto: visto che non ne abbiamo piu', ne pubblico due prese dal sito de L'Unita' (foto da pena di morte in Cina); proteste a Pechino ed in India contro i giochi olimpici di Pechino 2008 e per l'indipendenza del Tibet.
Con questa vi lascio. Domani treno per Pechino. 48 ore seduti. Sempre meno tranqua.
Il viaggio volge al termine e con questo anche i miei post su Xinjiang e Tibet.
A presto gente!
Stefano Yu Ale Daniele
Foto: visto che non ne abbiamo piu', ne pubblico due prese dal sito de L'Unita' (foto da pena di morte in Cina); proteste a Pechino ed in India contro i giochi olimpici di Pechino 2008 e per l'indipendenza del Tibet.
2 Comments:
ma come tornate a pechino,.....noooo,...avete fatto 30 fate 31,...da lahsa transhimalayana fino a katmandu,...dall'altopiano tibetano attraversi il tetto del mondo e arrivi alle verdi valli nepalesi,...uno spettacolo a quanto pare,...io lo farò a settembre..bacio belli..
http://troppagrazia.ilcannocchiale.it/post/1588799.html
Ciao :-)
Giuliana
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