Wednesday, August 12, 2015

Malacca paura nessuna: indimenticabile Penang!


Penang e' una grande isola nel nord ovest della Malesia. Il nome deriva dal frutto di betel, di cui pare sia piena l'isola, in cinese 槟榔. A George Town, citta' principale, si arriva con 10 minuti di traghetto (prezzo biglietto 30 centesimi di euro), mentre piu' a sud sono presenti due lunghissimi ponti. Ad ospitarmi e' T., una ragazza di origine cinese della mia eta' conosciuta sempre attraverso Couch Surfing. Vive nel centro dell'isola in un palazzone di 27 piani in un piccolo appartamento con tre cagnolini: dal terrazzo di casa si ammira un ottimo panorama di mezza isola... i grattacieli, i templi, le colline e il mare.

T. lavora come agente immobiliare e mi porta in giro con la sua nuova macchina di grossa cilindrata, illustrandomi le caratteristiche dell'isola e degli isolani, e illuminandomi con graditissime informazioni sulla comunita' cinese locale (la piu' grande in Malesia). Lei e' di lingua hokkien, ma parla anche cantonese e mandarino, oltre ovviamente a malese e inglese. Ma soprattutto e' la miglior guida che abbia conosciuto in termini di cultura gastronomica: mi porta ad ogni ora del giorno e della notte in ristorantini e mercatini all'aperto dove apprezzare le specialita' locali, per gran parte di origine cinese e indiana. I venditori ambulanti di spuntini qui li chiamano "mama's store", in cinese 小饭中心 o anche 经济饭, ovvero "pasto economico". I bar, bettole e ristoranti si chiamano invece tutti 茶室, che in italiano tradurrei come "casa del te'" o "sala da te'". In hokkien le 店屋 sono chiamate per lo piu' 老厝, mai sentito prima. Sempre in hokkien, agli stranieri occidentali (il caro vecchio "uomo bianco" portatore di guerra, violenza, sorpruso e disgrazia) non lo chiamano 老外 (troppo moderno) ma 红毛, cioe' "pelo rosso". Stiloso. E al dio degli Inglesi non credere mai. La mazzetta che si lascia al poliziotto di turno quando ti ferma per un controllo viene simpaticamente chiamata 咖啡费, ovvero "mancia per il caffe'". I locali di origine cinese la Cina non la chiamano 中国 o 中华 ma 唐山, anche questo molto interessante. Ok, basta cosi'. Passiamo ad altro...  

Nel centro dell'isola troneggia uno dei templi piu' grandi del Sud est asiatico, finanziato nei decenni dai facoltosi uomini d'affari cinesi. Sembra il Potala di Lhasa in piccolo ed e' dedicato alla sempre presente dea della compassione Guan Yin. Anche qui assistiamo ad un susseguirsi di templi buddisti, indu', chiese e moschee e la spiritualita' religiosa si respira nell'aria. E anche il materialismo. Fuori da un altro tempio trovo un baracchino ambulante di teatro classico cinese. In un altro tempio ancora noto un venditore di incenzi giocare a tetris al cellulare, mentre fuori una signora vende biglietti della lotteria. In un bus una anziana cinese in pensione mi attacca una pippa infinita in lingua inglese sul cristianesimo (non potete immaginare che faccia abbia fatto quando le ho detto di essere agnostico!) e mi ha lasciato con questa frase (che a me suona piu' come minaccia!): "choose the Pentecostal Church!". Me lo diceva mia nonna, di non parlare con gli sconosciuti...

Chulia Street nel centro di George Town assomiglia moltissimo a Khaosan Road di Bangkok: ostelli a non finire, servizi turistici, cibo di strada, baracchini, ristoranti, centri internet, viaggiatori zaino in spalla. Mi siedo ad osservare merci e persone e noto una donna della quale mi innamoro: una ragazza del posto, di eta' tra i 35 e i 45 anni e di probabile etnia malese. Veste poco e male, e' nera di sporco ed evidentemente vive per strada. Ha un volto bellissimo, nonostante i denti rovinati; siede a terra fuori da un supermercato, respira mastice a tutto manco fosse un bambino dei bassifondi di Bucarest, con lo sguardo perso nel vuoto. Fissa i passanti e ogni tanto scoppia in una improvvisa e rumorosa risata, spaventando gli uomini bianchi. Ha un tatuaggio sulla mano, "LIE", che in inglese significa "menzogna" ma che magari nella lingua del posto significa qualcos'altro. La osservo per un'oretta, poi mi avvicino per parlarle ma lei non fa caso a me. Fotografarla mi sembrava quanto di piu' inopportuno, ma terro' con me il ricordo di lei e a lei pensero' ogni volta che mi parleranno di Penang.

George Town e' bellissima e ricca di edifici e musei da vedere, tra questi segnalo assolutamente i murales che si trovano qua e la' per il centro, i 店屋 e le 茶室 cinesi e il Museo di stato che ospita diverse esposizioni sulla storia della immigrazione cinese ed indiana a Penang: qui ho trovato molte risposte alle mie curiosita' sinologiche in Malesia. Curioso un gioco tradizionale malese che si chiama congkak, in esposizione nel museo di cui sopra.
Mi fermo per tre notti a casa di T., che con me e' gentilissima e mi porta anche a mangiare un 肉骨茶, un piatto cantonese a base di interiora di maiale, tofu e germogli di soia: il miglior pranzo del viaggio e forse dell'anno. Consiglio anche di mangiare asam laksa e ambula. Qui il cibo e' tutto (un po' come in Cina, molto piu' che in Italia, cose che un anglosassone non potrebbe capire mai e io neanche), e' l'attivita' principale, si mangia sempre e comunque, in strada la gente principalmente mangia, il consumo di cibo e' costante, ordinato e culturale. Impressionante. Mi adeguo anche io. D'altronde, come scrive Paolo Rumiz, "mangiare e' un modo per fissare i luoghi nella memoria". 

Baci e abbracci, saluto T. e i suoi cagnolini. Un treno a due vagoni con cuccetta mi porta finalmente in Tailandia, a Chumphon, in 9 ore circa (di cui un'ora e mezza fermo alla frontiera tra Malesia e Tailandia). Prezzo 22,5 euro. In dieci giorni ho percorso via terra quasi 1.400 chilometri da Singapore a Chumphon, dove mi attende un caro amico maceratese.

Nessuna paura. Il viaggio continua.

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