Monday, April 02, 2012

Manifesto della nuova sinologia italiana (work in progress)

Il seguente è molto più di un progetto, è un’utopia, una rivoluzione. Se qualcosa mi ha dato il dottorato è stato avere l’opportunità di incontrare e conoscere moltissimi giovani intellettuali e ricercatori da ogni parte del mondo. Anche molti italiani. Sinologi, soprattutto.
Lo scorso ottobre, alla conferenza internazionale di Ljubljana sulla Cina moderna e contemporanea, ho parlato soprattutto con studiosi italiani. Tutte donne. Una professoressa a Palermo, due dottorande a Lecce, una a Barcellona e una professoressa in Francia. Tutte sinologhe italiane.

Ci rifletto da mesi, forse è venuto il momento di buttar giù qualcosa. L’utopia di una nuova sinologia italiana. E sottolineo “italiana” non in senso campanilista e nazionalista. L’idea è di riprendere la tradizione italiana dello studio della Cina. E di farlo con un approccio, un metodo e (soprattutto) una lingua che è quella italiana. Mi rivolgo a tutti i giovani (e meno giovani) sinologi italiani. Ovvero a chi (indipendentemente da razza, religione, genere e passaporto) ha studiato in Italia e in lingua italiana la Cina.
Vorrei una fiera risposta (“opposizione”, possibilmente) all’egemonia americana ed anglosassone. Vorrei che gli Stati Uniti e Regno Unito non fossero l’unica meta agognata dai giovani sinologi italiani. Vorrei pluralità e non omologazione al modello anglo-americano. Mi chiedo ancora cosa abbiamo da invidiare agli istituti di studi asiatici di Boston, Los Angeles, Oxford o Londra. Mi chiedo dove erano Boston, Los Angeles, Oxford o Londra quando Marco Polo incontrava il Grande Khan o quando Matteo Ricci insegnava geografia e astronomia ai mandarini cinesi. Mi chiedo perché “methodology” la vado a studiare in America se la parola in se stessa è un anglicismo dal latino “methodus”. Riprendiamo quello è che stato di questa parte del mondo, sviluppiamo su binari che sono nostri e confrontiamolo con quello che c’è fuori dallo stivale. Stimoliamo altre nazioni e scuole di pensiero a fare altrettanto. Pluralizziamo, non omologhiamo, non rendiamo tutto uguale. Vengano gli studiosi americani a studiare a Roma, Napoli, Venezia, Macerata.

Conosco trentenni italiani molto in gamba, in gamba come persone e dal punto di vista professionale. Scienziati politici, storici del pensiero filosofico, linguisti, esperti di letteratura ed arte, scienziati sociali, giornalisti, traduttori: tutti italiani e tutti col pallino fisso della Cina. Mi piacerebbe vederli tutti insieme a lavoro in un unico istituto di sinologia italiana. Tutti docenti in questa nuova scuola superiore di studi cinesi, una scuola pubblica, laica e gratuita. Dove si insegni in italiano e con materiale prodotto soprattutto da studiosi italiani di epoche diverse.

Andrebbe scelta in primis una sede. Una città italiana futura sede della nuova sinologia italiana. Nonostante Matteo Ricci, non potrà essere Macerata per conflitto di interessi. E neanche Venezia, perché là hanno già la Cà Foscari. Io proporrei Palermo, perché la Sicilia è un gioiello, terra d’immigrazione ed emigrazione, centro del Mar Mediterraneo, crocevia di razze e culture. Sceglierei Palermo perché lo straniero medio conosce Roma, Firenze e Venezia, al massimo Milano e Napoli. Invece esiste anche la Sicilia, nuovo centro della rinascita sinologica italiana.

Sarebbe bello. Sarebbe un sogno realizzato. Realizziamolo.

8 Comments:

At 4:22 PM, Blogger laura modini said...

Caro Daniele dal mio letto di dolore (sono ammalata da 15 giorni) un attimo di risveglio mi ha dato il tuo post.
Figurati se non sono d'accordo, soprattutto perchè da 15 anni sta crescendo una bella ondata di donne sinologhe che nulla hanno da invidiare ai vecchi purrucconi di aria (ormai stantia) inglese.
Bella anche l'idea di Palermo, forse per me troppo lontana e con dubbi sull'operato degli apparati di vario genere.
Io sono qui, già pronta con l'elsa in mano
bacio
laura

 
At 7:17 PM, Anonymous Anonymous said...

"Mi chiedo ancora cosa abbiamo da invidiare agli istituti di studi asiatici di Boston, Los Angeles, Oxford o Londra." Un bel po '. Una domanda: Perchè non propone una cooperazione tra la sinologia americana e la sinologia italiana? Mi può consigliare 10 libri sinologici pubblicati in italiano negli ultimi 10 anni? Sono interessato alla sinologia e vorrei imparare l'italiano.

 
At 7:54 PM, Blogger Massaccesi Daniele said...

caro anonymous,
"Un bel po '." non direi. certo a quantità e qualità di studio e produzione di sapere non c'è partita, ma questo perché semplicemente "da loro" si investe di più in ricerca e si prende il tutto molto più sul serio. significativo però è vedere quanti "cervelli" (che quasi mai cervelli sono) italiani lavorano nelle università americane, inglesi, francesi e australiane dove si fa sinologia. ci dimostra come 1) da noi la sinologia si insegna bene, per lo meno a livello base 2) molti studenti italiani hanno ancora interesse e passione per il mondo cinese, seguendo una tradizione che è iniziata prima ancora che l'america venisse "scoperta".
libri? volentieri. in che ambito di preciso?
nel frattempo, quanto a cina e anonymous:

http://blog.wired.it/madeinchina/2012/04/10/la-deludente-chattata-con-anonymous-china.html

 
At 7:54 PM, Blogger Massaccesi Daniele said...

caro anonymous,
"Un bel po '." non direi. certo a quantità e qualità di studio e produzione di sapere non c'è partita, ma questo perché semplicemente "da loro" si investe di più in ricerca e si prende il tutto molto più sul serio. significativo però è vedere quanti "cervelli" (che quasi mai cervelli sono) italiani lavorano nelle università americane, inglesi, francesi e australiane dove si fa sinologia. ci dimostra come 1) da noi la sinologia si insegna bene, per lo meno a livello base 2) molti studenti italiani hanno ancora interesse e passione per il mondo cinese, seguendo una tradizione che è iniziata prima ancora che l'america venisse "scoperta".
libri? volentieri. in che ambito di preciso?
nel frattempo, quanto a cina e anonymous:

http://blog.wired.it/madeinchina/2012/04/10/la-deludente-chattata-con-anonymous-china.html

 
At 11:04 AM, Anonymous Anonymous said...

Grazie per la risposta. Ci sono sinologi olandesi, belgi, tedeschi, francesi e italiani, per non parlare di sinologi cinesi e giapponesi, nelle università americane. Mi può consigliare un buon dizionario cinese classico-italiano? Un libro di grammatica della lingua classica (in italiano)? Una storia istituzionale dei regni Kangxi e Qianlong (in italiano)? Una storia della dinastia Han (in italiano)? Una storia della dinastia Tang (in italiano)? Una storia intellettuale della dinastia Song (in italiano)? Una introduzione al teatro Yuan (in italiano)?

 
At 5:50 PM, Blogger Massaccesi Daniele said...

ok, ora ho capito la provocazione. certamente se devo consigliarti dei materiali su cui studiare i temi di cui parli allora tiro fuori saggi in lingua inglese. non ci sono dubbi su questo. ma nel mio "manifesto" (che e' anch'esso una provocazione) il punto e' proprio questo: ri-prendere qualcosa che e' andato perso, ovvero una prominente tradizione italiana di studio della cultura cinese.

"italiana" non significa solo "in linga italiana". io credo e spero che ogni paese e cultura approcci e studi una cultura diversa in modo diverso. ci sono e ci sono stati ottimi sinologi giapponesi, russi, tedeschi, ognuno dei quali ha avuto una prospettiva e metodologia di studio diverse per cultura d'origine. secondo me questo andrebbe salvaguardato e sviluppato. altrimenti (ed e' quello che e' successo negli ultimi decenni) la prima cosa che fa un sinologo e' impararsi bene la lingua inglese e il "metodo americano" (ammesso che ne esista uno) per studiare la cina e produrre saggi accademici sulla cina. vedo sviluppo e progresso in campo sinologico solo diversificando e specializzando gli approcci alla disciplian, anche e soprattutto culturalmenete (non "nazionalisticamente"). altrimenti e' tutto un cotto e ricotto di quello che l'accademia americana detta. un po' come nel giornalismo sulla cina, dove quello che leggi in italiano, francese, spagnolo, portoghese, ecc... e' tutto un copia, incolla, traduci di quello che esce nei principali media di lingua inglese.

chiaramente ci sono accademici olandesi, belgi, tedeschi, ecc... che insegnano in america, ma questi non hanno la tradizione (o anche solo l'immagine) che l'italia ha, per tutta una serie di ragioni storiche che giocano a "nostro" favore.

spero di aver spiegato meglio il contenuto di questo post.

 
At 9:01 PM, Anonymous Anonymous said...

The University of Leiden is a great centre of European sinology - at least as much as any Italian university. So is the University of Heidelberg. Your original post struck me as a little nationalistic. Of course Italian sinology can learn from American sinology: there is nothing wrong with that. And I hope that the day will come when American sinology will be able to learn from Italian sinology. Meanwhile, Italian sinologists should concentrate on producing Classical Chinese dictionaries and grammar and write history books on China's long institutional and intellectual history. This is not a provocation: merely a suggestion. I stand by my assertion that Italian sinology can learn "un bel po'" from American sinology, just as American historians of China learned a great deal in the 1950s, 1960s and 1970s from Japanese sinologists. There is absolutely no shame in that.

 
At 6:16 PM, Anonymous Anonymous said...

Riguardo allo studio di cinese in Italia... Io non so come viene strutturato l'insegnamento nelle altre regioni ma a Torino, direi, non e' un granche'. I professori sono molto bravi e ben preparati, pero' l'approccio lascia ancora desiderare. Non sono madrelingua italiana, percio' le prime conoscenze con la Cina le ho allacciate nella mia Patria lontana che, tra l'altro, non era mai dimenticata di essere ricordata nei libri italiani di Storia della Cina ed ecc., in quanto in diversi periodi aveva veri e propri legami con Tianxia - in Russia, e per essere piu' precisi, a Mosca. Li' l'insegnamento della lingua cinese mirava piu' alla pratica, ma era limitata dai libri con uno scarso vocabolario. Pero' lo sapevo usare almeno. Invece, quando ero venuta a studiare in Italia, mi sono trovata bombardata da un nuovo lessico che, con mio grande dispiacere, non veniva mai praticato come si deve a lezione . I professori trascuravano questa parte dell'insegnamento, concentrandosi per lo piu' sulla teoria che, senz'altro, e' anche di grande importanza. Pero' sarebbe bello vivere ogni attimo della lingua, iniziare a respirare con essa, il che, a mio avviso, potrebbe essere raggiunto grazie a lezioni contenenti piu' pratica. Forse, per primo bisognerebbe partire con elaborazione del piano perfetto ( per quanto sia possibile nella natura l perfezione :) ) dell'insegnamento della lingua che rendera' piu' appassionati gli studenti che indubbiamente saranno segnati dal loro ''vivo'' incontro con la lingua e vorranno andare sempre piu' in fondo proponendo nuove questioni da affrontare, in quanto la lingua parlata in vita e' sempre diversa da quella teorizzata nei manuali. E questo si capisce solo solo attraverso la pratica, secondo me.

 

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