Thursday, March 08, 2012

Diario di un prof: calligrafia.





Tra le delizie che caratterizzano la cultura cinese, di almeno tre non mi sono mai interessato troppo: calligrafia, arti marziali e giochi da tavolo. Pigrizia, come al solito. E quella strana sensazione di poter utilizzare il tuo tempo in modo migliore (leggi “fare baldoria”).

E così ieri mi sono finalmente deciso a seguire il mio primo corso di calligrafia. Sì, in Irlanda. Il professore Xu e i suoi due assistenti dell'Istituto Confucio hanno trasmesso a noi studenti i rudimenti della 书法, ovvero la calligrafia cinese.

Pennelli, inchiostro e carta. Teoria delle tecniche di scrittura, moltissima filosofia e un campo semantico infinito. Disegnare i caratteri cinesi a questo punto diventa la cosa meno importante, protagonisti sono invece gli elementi cardine del pensiero tradizionale cinese che ritrovi sempre e comunque ovunque.

Due ore di fila ad osservare il professor Xu e a cercare di copiare i suoi tratti con un pennello intinto nell'inchiostro nero liquido ai lati del banco. Osservare e riprodurre sono “le due vie per il successo nell'arte della calligrafia”. Nozioni base di filosofia cinese antica nei momenti di pausa, Confucio e Laozi, virtù e rettitudine, giustizia e Tao che sbucano fuori ovunque come funghi. Piacevole davvero. Magari un po' di tè e musica di erhu in sottofondo non avrebbero guastato.

Avete visto i film “Hero” di Zhang Yimou (2002) e “Titanic” di James Cameron (1997)? Niente in comune fra i due credo. Ma io associo spesso due scene di questi film.
“Hero”: la scuola di calligrafia è assediata dall'esercito dello Stato rivale, mille miliardi di soldati armati fino ai denti scagliano dalla lunga distanza mille miliardi di frecce di ferro che devastano rapidamente la scuola di calligrafia. Gli studenti cercano di mettersi in fuga, ma l'anziano maestro resta seduto immobile, indifferente alla pioggia di frecce, a terminare la sua lenta opera di calligrafia. Gli studenti, allibiti, seguono l'esempio, tornano ai loro posti e riprendono in mano i pennelli, mentre le frecce del nemico trapassano i loro corpi inermi uno per uno.
“Titanic”: l'inaffondabile transatlantico è ormai sul punto di inabissarsi per sempre, chi poteva si è già messo in fuga calandosi con le scialuppe (Schettino si gode lo spettacolo su Sky da casa). Un manciata di musicisti resta invece sul ponte, intento a suonare. Si fermano un attimo. Uno scambio di sguardi. Tentare la fuga col resto dei passeggeri? No, riprendono i violini ed eseguono l'ultima melodia. L'ultima non della serata, ma della loro vita.

Ecco. Un po' per questo vedo un parallelo tra le scene di questi due film. Come direbbe Bersani, non siamo mica qui a dar da mangiare alle cavallette. L'arte per l'arte, l'arte come forma di vita, l'arte non meno importante della vita, come a gridare in silenzio “prendetevi la nostra vita, la nostra arte non l'avrete mai e la nostra libertà ancora meno”.



p.s. Dedicato alle donne tutte. Grazie per esistere, resistere e sopportarci.

1 Comments:

At 3:56 PM, Anonymous gregmacbook said...

oppure puo essere letta in altro modo, raggiunta la consapevolezza della fine inevitabile, meglio aspettarla facendo cio che si ama, arte a parte...

bel post braus!

 

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