Vorrei brevemente (si fa per dire) spendere qualche riga riguardo alla lettera a Repubblica dell’italiano Pap Khouma
Pap Khouma, nero italiano, scrive giorni fa una lettera a Repubblica, denunciando “episodi di razzismo” nei suoi confronti da parti di istituzioni e gente comune.
http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/cronaca/immigrati-13/nero-italiano/nero-italiano.html
Puntuale (vorrei ben vedere!) la risposta del ministro per le Pari Opportunità ed ex showgirl Mara Carfagna.
http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/cronaca/immigrati-13/carfagna-razzismo/carfagna-razzismo.html
Alcune personali considerazioni…
Premessa: me ne guardo bene dal difendere razzismi e altre forme di intolleranza.
Come già molte persone prima di me, credo che al mondo esista una sola razza: quella umana. Guardo all’uomo come insieme, al di là delle sue categorizzazioni e suddivisioni per etnia, lingua, religione, classe sociale, casta, credo politico, etc...
Senza troppi giri di parole arrivo direttamente a quello che, secondo me, è il punto centrale del problema, caro cittadino italiano Pap Khouma, cioè la definizione di “italiano”.
Io purtroppo non ho una risposta a questo quesito. Forse dovremmo chiederla a quelle persone che gridano “L’Italia agli italiani!” o “Non ci sono negri italiani!”. Non sa quanto mi piacerebbe capire cosa è “un italiano”. O un cinese, o un filippino, o un romeno o cingalese.
Cosa è? Una cultura? Una tradizione? Il fatto di essere nati e cresciuti in un territorio delimitato da certi confini anziché da altri? Il fatto di avere un nonno ebreo? Una zia emigrata? Il fatto di avere un passaporto? Il fatto di sentirsi appartenenti ad una nazione invece che ad un'altra? Belle domande, non crede?
“Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono” cantava Giorgio Gaber. Vale lo stesso anche per me. Me ne frego d’essere italiano, ma al tempo stesso mi resta difficile definirmi non italiano. Perché nato e cresciuto in Italia, da genitori, nonni e bisnonni italiani. Perché di lingua italiana. Perché di cultura cristiana. Perché da piccolo mi hanno parlato di Giulio Cesare, Dante Alighieri e Giacomo Leopardi. Perché mi hanno abituato a ballare il saltarello marchigiano, ascoltare le opere di Verdi e Guccini, seguire il calcio, mangiare la pasta, bere il caffè e ubriacarmi col vino invece che con birra o vodka. Probabilmente da un punto di vista storico, sociale e culturale sono queste le cose che fanno un italiano. Al di là del fatto che uno ci si senta o no (appunto “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono” ).
Sempre per evitare troppe retoriche e giri inutile di parole, vorrei farle notare che possedere un passaporto italiano non necessariamente fa di lei un italiano. Questo non per colpa mia o del razzismo, ma per un senso comune che starei attento a criticare con tanta superficialità.
Io vivo in Cina da anni, potrei sposarmi anche domani con la prima cinese che passa, fare domanda di cittadinanza cinese e fra qualche anno ottenerla. Crede che io diventi in quel momento “cinese” (da un punto di vista sociale)?! Le rispondo io: assolutamente no. Io mangio con le bacchette da anni, mangio quasi solo cinese, bevo birra e grappa cinese, parlo dialetto pechinese, conosco abbastanza gli usi e i costumi, amo il ping pong, sono affascinato dalla cultura e dalla scienza cinese, festeggio il capodanno cinese e il primo maggio, me ne frego del natale e della pasqua. Ma non sono un cinese. Specialmente per loro: sono e resterò sempre uno straniero. Magari uno straniero simpatico, amico, “compagno”. Ma mai un cinese.
Né che la cosa mi dispiaccia. Me ne frego di essere italiano tanto quanto me ne frego di diventare cinese. O estone. O romeno. O senegalese. Mi piace sentirmi cittadino del mondo. E sogno un mondo privo di confini e barriere. Specie quelle ideologiche.
Venendo a noi, caro cittadino italiano Pap Khouma, a me dispiace e credo non sia giusto che la polizia le chieda sempre i documenti, che agli uffici la guardino in modo strano, che a volte la gente la prenda per ladro o “vu cumprà”… ma che vuole farci, sono i pregiudizi! Non si cambiano con la bacchetta magica o gridando al razzismo. Guardi, se una persona di colore viene a suonare a casa mia, al 99% è un ambulante. Non credo sia colpa mia, né del razzismo. È facile avere pregiudizi, per quanto uno si sforzi di non averne. E purtroppo qualcuno questi pregiudizi li deve subire. Purtroppo bisogna farci l’abitudine, portando avanti le nostre piccole lotte quotidiane per cambiare ciò che crediamo sbagliato. Capitava anche a me, quando vivevo a Roma e aveva la cresta verde e i ferri in faccia: la gente mi prendeva per un tossico o per un borseggiatore… cosa vuole che ci faccia?! Pensa che faccia piacere?! No. Ma per sradicare pregiudizi e luoghi comuni ci vogliono anni, decenni, pazienza, tolleranza, educazione, etc…
E poi ci aggiunga la disinformazione, i media strumentalizzati dai partiti, l'ignoranza...
Poi magari a Milano la “gente bene” si lamenta che i nomadi rubano e che i tunisini spacciano. Non possiamo neanche dire che son tutte cazzate purtroppo. La criminalità non ha etnia, ma se penso agli spacciatori da strada che conosco a Roma son quasi tutti marocchini o senegalesi. Gli autori dei furti a cui ho assistito in vita mia eran quasi tutti nomadi o giovani tossicodipendenti. Le radici sono politiche e sociali, l’etnia non c’entra, fatto sta che la gente si lamenta di marocchini, senegalesi, nomadi e tossicodipendenti. Dobbiamo capire, o no!?
Se la Santanché va in televisione, dati alla mano, a dire che i due terzi (sparo una cifra) dei carcerati sono extracomunitari, non possiamo dire che non è vero o che dobbiamo espellere gli extracomunitari, semplicemente dovremmo chiederci “perché?!” ed evitare che qualche “cittadino onesto” diventi razzista o si faccia giustizia da solo…
La gente dovrebbe definirsi per quello che si sente e nessuno può avere il diritto (o arroganza) di definire gli altri (ad esempio come “stranieri”) giudicando in base alla lingua parlata, religione, colore della pelle, passaporto, provenienza geografrica o culturale. Non esiste “casa mia” o “casa tua”, “paese mio” o “paese tuo”. Ma certo, non è facile. Giudicare è sempre stato un bisogno, specie in Italia.
Neanche se la Terra venisse invasa dagli alieni mi verrebbe in mente di esclamare “La Terra ai terrestri!”. Sarebbe una gran minchiata che poco onore fa al genere umano.
Purtroppo non basta il suo passaporto da italiano a fare di lei un italiano. Né in questura né in strada. Dispiace anche a me, ma non può essere che così. Speriamo che le cose cambino quando suo figlio avrà la sua età. Non credo sia per adesso.
Non che in Russia, Cina o Polonia le cose vadano meglio. Ma questo, lo so, non significa e non giustifica niente.
Detto questo, da italiano le chiedo scusa per questi supposti “casi di razzismo” e le stringo, virtualmente, la mano.
In solidarietà
4 Comments:
sinceramente mi fan ridere gli episodi ormai frequenti di manifestazione di pseudo orgoglio italiano, soprattutto da gente che magari prima sputava sull'italia, o da chi si sarebbe volentieri pulito il culo con la bandiera italiana (...).
viene fomentata la paura dello straniero, del non-cristiano, di quello "col velo" magari, e il pdl per rafforzare in qualche modo l'identità italiana-cristiana (un binomio che nello stato laico non ci dovrebbe essere) presenta al senato disegni di legge per il crocefisso obbligatorio. e il suddetto tizio che si sarebbe pulito il culo lo vuole pure nel crocefisso..
le critiche ai simboli dell'identità italiana-cristiana vengono ovviamente dagli italiani stessi, non dagli stranieri. ma si sa, il razzismo cavalca l'ignoranza..
intendevo dire che il suddetto tizio lo vuole (il crocefisso) nella bandiera italiana..
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