Friday, April 10, 2015

Diario di viaggio (III): alla prossima, inshallah!

Ad un paio di ore di macchina da Hammamet in direzione sud si trova la piccola cittadina di El Djem, dove è sito un anfiteatro romano costruito nel 238 circa, terzo per grandezza nel mondo dopo il Colosseo e quello di Capua. Di fronte a tanta maestosità, mi è subito frullata per la testa la massima di Orazio "mai vedrai qualcosa più grande di Roma". Immagino Orazio non abbia mai visitato la Grande muraglia cinese, il monte Sinai, Parigi o il deserto del Sahara.
Andando invece verso ovest si giunge a Kairouan, luogo sacro ai musulmani perché importante centro di studi religiosi e punto di partenza per la diffusione dell'Islam nel nord Africa. Celebre soprattutto la sua moschea.

Insomma, forse da grande voglio fare il mercante di tappeti. Ma la cosa più bella di questi favolosi paesi arabi e segno evidente della loro superiorità a qualsiasi altra civiltà, da quella cinese a quella ariana, da quella mesopotamica a quella andina passando per quella anglosassone e azteca è: il bar! In Cina non esistono bar e non ne esistono neanche in Irlanda (per lo meno non come noi Italiani intendiamo il bar), nei paesi arabi però i bar esistono e sono superiori: sono sempre pieni di gente, sono all'aperto, tavolini e sedie danno sulla strada o sulla piazza, sono un vero luogo di socializzazione e vita sociale e culturale. Un tè alla menta, un caffè espresso, un caffè alla turca, un caffè con latte, una sigaretta o una fumatina di shisha (quello che noi chiamiamo "narghilè") costano un'inerzia. Il punto non è fare cassa, arricchirsi o fare profitto, il punto è affrontare insieme e con quanta più spensieratezza possibile questo enorme fardello chiamato "vita". Evviva il bar! Ridanno molto ai bar italiani, ma solo a quelli popolari, dello sport, le cantine, i dopolavoro... quelli che dalle mie parti si chiamano "lu caffè" o "lu circulu". Allah benedica i bar italiani e quelli arabi! Unica (grossa) differenza è che qui non trovi donne: solo uomini dai 20 ai 90 anni. Differenza non da poco. Eppure le donne in Tunisia sembrano più che emancipate, poche portano il velo, moltissime sono al volante. Oltretutto questa è l'unica nazione araba a non ammettere poligamia. "Le donne non sono cammelli!", sembrerebbero sostenere in questo laico paese illuminato.

E' quasi giunta l'ora di tornare a casa, nello Stivale. "Qui molto ricercate sono le FIAT Siena", ci dice la guida sulla strada per l'aeroporto. Mai sentita. Sapevate che i dossi qui li chiamano "il poliziotto morto"? Chissà perché! Qualche segnale di orgoglioso sottosviluppo l'ho notato anche nell'area "duty-free" del piccolo aeroporto di Tunisi, nel vedere una commessa fumare all'interno del negozio. Mi ricorda un po' quella Cina dei primi anni 2000, anarchica e sporca, maleducata e impolverata, in barba al moderno e raffinato occidente borghese. Ah, a proposito di Cina: al controllo passaporti il tipo dietro il banco mi fa in italiano "Daniele... come stai?", e poi "e così sei un insegnante. Cosa insegni?". Me lo chiedo tante volte anche io. Diciamo "lingua e cultura cinese". "Ah, potresti venire a lavorare qui allora! Molti giovani tunisini vogliono studiare il cinese!". Non l'avrei mai detto. Chissà, ci farò un pensierino...

1 Comments:

At 4:34 PM, Anonymous Dottornomade said...

Credo per lo stesso motivo per cui i dossi artificiali a Voghera c'è chi in maniera retrorazzista-leghista li chiama "ammazzaterroni". Si vede che gli sbirri in Tunisia guidano da sboroni.

 

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