Appunti di viaggio: Taormina
Mi lascio la bella Palermo alle spalle e dormo per quasi tutte le tre ore di treno che mi portano a Messina. E' la mattina del 1 gennaio e ovviamente in giro non c'è nessuno: vuote le strade, chiusi i bar e le altre attività commerciali. Ho fame, sete e sonno, ma non c'è molto che possa fare per soddisfarli. Oltretutto piove. Un ottimo inizio dell'anno. Gironzolo per il porto e queste grandi vie del centro, ma trovo solo residui di petardi e rom chiedere l'elemosina ai semafori. Comincia a piovere di brutto, si creano enormi pozzanghere qua e là, ritorno in stazione fradicio di acqua. Tra un bestemmia e l'altra compro subito un biglietto per la prossima destinazione: Taormina.
Mi avevano detto che la rete ferroviaria siciliana è disastrata e consigliato di evitare sempre i treni. A me sembra tutto nella norma, oltretutto sono anche abbastanza puntuali, concetto poco conosciuto nella penisola. In un'ora e dieci sono in questa perla del mediterraneo chiamata Taormina.
Fuori dalla stazione vedo solo taxi. Il bus oggi non passa e per salire al centro del paese non mi resta che andare a piedi. Dopo una trentina di minuti, un centinaio di gradini a strapiombo sul mare e una sudata epica eccomi in uno dei posti più turistici mai visti.
Taormina è uno spettacolo di arte, cultura e paesaggio, ma anche è il tipico paesino con un enorme problema: ha troppa bellezza concentrata in pochissimi chilometri quadrati. Mi ricorda quei posti nelle Cinque Terre in Liguria o attorno al Lago di Garda in Lombardia, difficili da raggiungere, esclusivi per turisti benestanti, poco ospitali per viaggiatori zaino in spalla o gente squattrinata. In giro noti solo negozi e ristoranti, tutta l'economia e la vita dei locali ruota attorno al turismo costante e impertinente. Le strade puzzano di denaro. Una bellezza che diventa condanna per la località stessa. Dev'essere orribile vivere qui e non poterti neanche godere una passeggiata in centro o una birra al bar perché sotto la costante presenza di panzoni tedeschi e francesi, cinesi e giapponesi, russi e polentoni. Io soffoco, mi sento troppo fuori luogo.
Come se non bastasse, l'entrata al teatro greco è già chiusa e per camminare devi andare a passo di lumaca. Mi godo un po' il panorama, scatto qualche foto e poi non ci penso due volte: via!
Il mondo è talmente piccolo che mentre me ne tornavo alla stazione dei treni credo di aver intravisto una mia ex studentessa in Erasmus all'università di Cork. Sarebbe incredibile.
Momenti di difficoltà, di noia o di solitudine sono fisiologici al viaggiare, così come lo sono alla vita. Il segreto sta nel non farsi abbattere troppo, prendere le cose di petto e spararle dritte sotto al 7 senza starci a pensare su.
Stanco e ancora bagnato di pioggia e sudore, attendo il treno per la prossima meta: Catania, sto arrivando!
Mi avevano detto che la rete ferroviaria siciliana è disastrata e consigliato di evitare sempre i treni. A me sembra tutto nella norma, oltretutto sono anche abbastanza puntuali, concetto poco conosciuto nella penisola. In un'ora e dieci sono in questa perla del mediterraneo chiamata Taormina.
Fuori dalla stazione vedo solo taxi. Il bus oggi non passa e per salire al centro del paese non mi resta che andare a piedi. Dopo una trentina di minuti, un centinaio di gradini a strapiombo sul mare e una sudata epica eccomi in uno dei posti più turistici mai visti.
Taormina è uno spettacolo di arte, cultura e paesaggio, ma anche è il tipico paesino con un enorme problema: ha troppa bellezza concentrata in pochissimi chilometri quadrati. Mi ricorda quei posti nelle Cinque Terre in Liguria o attorno al Lago di Garda in Lombardia, difficili da raggiungere, esclusivi per turisti benestanti, poco ospitali per viaggiatori zaino in spalla o gente squattrinata. In giro noti solo negozi e ristoranti, tutta l'economia e la vita dei locali ruota attorno al turismo costante e impertinente. Le strade puzzano di denaro. Una bellezza che diventa condanna per la località stessa. Dev'essere orribile vivere qui e non poterti neanche godere una passeggiata in centro o una birra al bar perché sotto la costante presenza di panzoni tedeschi e francesi, cinesi e giapponesi, russi e polentoni. Io soffoco, mi sento troppo fuori luogo.
Come se non bastasse, l'entrata al teatro greco è già chiusa e per camminare devi andare a passo di lumaca. Mi godo un po' il panorama, scatto qualche foto e poi non ci penso due volte: via!
Il mondo è talmente piccolo che mentre me ne tornavo alla stazione dei treni credo di aver intravisto una mia ex studentessa in Erasmus all'università di Cork. Sarebbe incredibile.
Momenti di difficoltà, di noia o di solitudine sono fisiologici al viaggiare, così come lo sono alla vita. Il segreto sta nel non farsi abbattere troppo, prendere le cose di petto e spararle dritte sotto al 7 senza starci a pensare su.
Stanco e ancora bagnato di pioggia e sudore, attendo il treno per la prossima meta: Catania, sto arrivando!
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