Saturday, August 04, 2012

Di quel viaggio in America Centrale (V): l'assenza di stress mi mette ansia, i Caraibi non fanno per me...



Nell'isola minore di Maiz siam stati solo un paio di notti. Superficie minuscola dicevo, come il centro storico di una città media italiana. Palme, cocchi, banani, spiagge, biciclette, rasta, erba e turisti occidentali. Pochi in realtà, pochissimi. Siamo in bassa stagione, dopo tutto. Niente strade, niente computer o centri internet, niente di niente. La piccola comunità locale vive solamente di pesce, frutta e di quello che importano le navi dal "continente", cioé dopo 70 km di mare. Cibo, vestiti, televisioni, frigoriferi... Tutto è importato. E pagato solo grazie al turismo. La vita procede lenta, lentissima, direi quasi ai limiti umani della sopportazione. Per lo meno agli occhi di un animale urbano occidentale come me.

La vita sociale ruota attorno alla Chiesa. La Chiesa (un po' ovunque nei villaggi e nelle città del Nicaragua, ma soprattutto nelle isole) funge da luogo di ritrovo e di animazione, canto e ballo, un po' come i bar o le piazze in Italia o i pub in Irlanda. Ritratti di Gesù Cristo, di Che Guevara e di Bob Marley occupano le pareti delle basse e coloratissime case sperse qua e là tra banani e palme da cocco. Birrette fredde e marijuana scandiscono il lentissimo passare delle ore. Musica, sorrisi, bagni al mare sono le principali attività dei giovani e dei giovanissimi, gli anziani sono seduti fuori casa e osservano il mare, gli uomini e le donne di mezza età lavorano nel piccolissimo porticciolo e sono occupati con le attività turistiche (tipo snorkeling, diving e tutte quelle americanate che finiscono in "-ing". Drinking escluso).

Resto allucinato non solo da questa economia minima, ma anche dallo stile di vita degli isolani. Avevo già visto cose del genere, ma mai ai livelli di queste poche persone che vivono a 70 km di mare dalla "civiltà". Sono creoli soprattutto, ma anche Garifuna (i neri dei Caraibi, quelli come Bob Marley per intenderci, passo molleggiato, rasta, occhiali da sole, sorriso e spinello in bocca). Avrei voluto capirci di più, parlare coi locali, dare libero sfogo alla mia vena sociologica, ma la pigrizia e le passeggiate nella giungla alla ricerca di manghi e cocco gratuiti ha avuto la migliore. Abbiamo solo scambiato quattro chiacchiere con la padrona dell'ostello e con un pusher locale. Messo troppo male per una normale comunicazione.

Che dire... gente di cui invidio lo stile di vita, l'apparente tranquillità e la serenità. Ma io credo che ci camperei poco in un posto del genere. Va bene per una settimana di vacanza, ma senza ansia io mi annoio, lo scorrere lento del tempo e il paesaggio tutto uguale mi fa terrore, starsene tutto il giorno sdraiato in spiaggia a fumare erba mi manda in paranoia...
No, non fa per me. Mi impiccherei ad un banano dopo appena un mese di permanenza lì.  

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