Diario di un prof: tutti vittime di media e politica?
A termine di una lunga giornata accademica, mi ritrovo in uno dei tanti pub irlandesi di Cork in compagnia di quattro giovani studiosi cinesi. Due hanno terminato il loro dottorato ed ora insegnano cultura e politica cinese in due università di Dublino. Gli altri due stanno terminando il loro dottorato nell'università dove insegno.
Sono ragazzi di 25-30 anni, che parlano fluentemente inglese, hanno vissuto in Irlanda per diversi anni, hanno un'ottima cultura generale, conoscono "il mondo occidentale", i suoi sistemi politici, i suoi media, il suo approccio alla Cina. Ripeto, hanno un dottorato ed insegnano all'università, mi aspetto da loro una certa apertua mentale, mi aspetto di star bevendo birra con il meglio della gioventù intellettuale cinese. E infatti così è.
Già a cena con altri prof. e accademici irlandesi, si era parlato un po' di tutto, temi di cultura cinese e europea, cibo, democrazia, mercato delle auto italiane in Cina, addirittura di Falun Gong, nazionalismo e libertà di associazione. Io personalmente ne ero rimasto piacevolmente stupito.
La discussione è poi continuata al pub, con ironia e spensieratezza. Ad un certo punto si è anche scherzato sul fatto che non potevamo fare a meno di parlare di ricerca e tematiche accademiche, anche se eravamo tutti visibilmente provati dalla giornata di lavoro. Abbiamo anche provato a parlare di temi più leggeri, tipo la fica o il significato della vita, ma inevitabilmente siamo di nuovo tornati su tematiche più impegnate. Mi hanno chiesto cosa pensassi della politica del figlio unico. Approccio critico, a volte radicale, con rispetto reciproco, ognuno sulle sue posizioni ben documentate, con distacco, da "intellettuali".
Poi qualcosa è andato storto. Ho chiesto per pura curiosità cosa pensassero del caso Bo Xilai. Apriti cielo! Il loro atteggiamento è improvvisamente cambiato. Io volevo solo cercare di capire se per loro è normale che un governo (che si appresta a cambiare i suoi uomini al comando fra qualche mese) non debba dare spiegazioni al suo popolo sul caso Bo Xilai e le voci di colpo di Stato. Mi hanno risposto, quasi offesi, che il Partito in Cina non è mai stato unito e che diverse fazioni operano al suo interno. Che i media occidentali puntono solo a screditare l'operato del governo cinese. Che Bo Xilai è stato fatto fuori perché è troppo di sinistra. Che Utopia è di ultrasinistra ma non rappresenta il pensiero di nessuno. Che il Nanfang Zhoumo è di destra. Che la Cina esce da 100 anni di umiliazioni dovute all'imperialismo occidentale e da 30 anni di comunismo cinese. Che non è facile governare 1,3 miliardi di persone. Che il problema è culturale e che tanto io non posso capire. Che i cinesi sono abituati a non avere spiegazioni dal governo cinese e che tanto non cambiarebbe nulla. Che i cinesi se ne fregano di queste questioni e si interessano di altri problemi più concreti e reali.
Non mi sono sentito offeso, mi sono sentito insultato. Mi hanno trattato come l'ultimo idiota occidentale che non ha mai sentito parlare di Cina se non attraverso la CNN. Mi hanno ripetuto a pappagallo le classiche apologie alla situazione cinese, le stesse cose che io insegno ai miei studenti del primo anno. Potrebbero andare a fare da esaminatori ai miei studenti, perché quelle sono le cose che io insegno, non che mi faccio insegnare da loro. Mi aspetto risposte del genere da un vecchio contadino incontrato in un treno locale in Cina, non certo da un trentenne cinese con dottorato in scienze politiche e una cattedra in una università europea. Da lui mi aspetto qualcosa di più. Invece mi sono sentito deluso e insultato.
Rimasto turbato dalla loro reazione quasi violenta, bigotta, patriottica, una reazione da chiusura a guscio, quasi offesi da una mia semplice domanda anche abbastanza banale... Non ho più parlato, mi sono limitato solamente a chiedere a cosa serva, a questo punto, il giornalismo, l'informazione e, soprattutto, studiare. Studiare serve a trovare un buon lavoro e fare soldi, ha risposto uno di loro. Mi sono sentito offeso, di nuovo. Questa risposta me la può dare anche il muro che ho di fianco. Da lui mi aspettavo qualcosa di meglio.
Quanto al giornalismo... Ai loro occhi tutto ciò che viene scritto sui media occidentali è pura ed inutile cronaca viziata, di parte, dove ogni giornalista si dimentica di scrivere alla fine una semplice ma fondamentale considerazione: "Bene. Questo è quello che succede in Cina. Ma sappiate, cari lettori occidentali, che di tutto questo il cinese medio se ne frega altamente e noi giornalisti occidentali ne scriviamo solo per fare gossip, vendere giornali e portare il pane a casa".
Prendendo il caso Bo Xilai come esempio, secondo loro in occidente di grida al complotto, al colpo di Stato in Cina o a una "spy story", mentre per il cinese medio non è successo nulla di rilevante, solo questione di ordinaria amministrazione. E lì torna la mia domanda: ma allora di cosa si frega un cinese medio? E a che serve studiare o informarsi?
Sullo studiare e sull'accumulare sapere: tradizionalmene gli intellettuali sono distaccati dal resto della società, i loro problemi sono diversi da quelli del popolo, dunque essi sono inutili, "vivono nella torre d'avorio" (diremmo noi in Italia). Una risposta da Qin Shi Huangdi o da dittatore nordcoreano. Certo, non hanno tutti i torti se pensiamo che Liu Xiaobo o Ai Weiwei sono martiri della libertà in occidente ma sono dei perfetti sconosciuti per gran parte del popolo cinese. Ma sinceramente se ogni anno si verificano migliaia di "incidenti" (sommosse) popolari sul territorio cinese o se 500 milioni di persone hanno accesso a internet e molti tra loro scambiano informazioni, svelano verità scomode e criticano il governo vuol dire che qualcosa sta cambiando. E che la loro versione dei fatti mi sembra leggerissimamente conservatrice e non aggiornata.
Ma se nelle scuole insegnano loro il Marxismo e il pensiero di Mao Zedong, come fanno a pensarla così? Hanno mai sentito parlare di Antonio Gramsci? Che senso ha il loro dottorato e l'educazione che hanno ricevuto? Se vedono in me un imperialista americano che ha come unico scopo nella vita quello di criticare il popolo cinese ed esportare democrazia con le bombe, cosa pensano allora dell'occidentale medio che davvero è vittima di un giornalismo mediocre e di parte, che di Cina non sa praticamente nulla e che non ha mai messo piede nella Repubblica Popolare?
6 Comments:
Daniele mi fai tornare alla mente la laura del 1982 che discuteva con (figurati) gli interpreti, giovanissimi studenti di italiano, gli unici che mi illudevo potessero capirmi. Infinite discussioni! Ma era illusione, come illusione è la tua.
Ma come dici tu i tempi cambiano e l'acqua che passa non è mai la stessa.
Caro Daniele, ti rispondo qui perché così sono più coerente con la tua volontà di aprire un dibattito. Non capisco di cosa tu ti stupisca? Non è forse quello che abbiamo sempre sostenuto? In Cina funziona al contrario, è il contadino che ha più capacità critica, e non si tratta di capacità ma di vuoto mentale. Ti ricordi Laozi? Laozi se mai esistito pensava che lo studio ti allontana dalla Natura (in senso cinese) e nel caso in questione è vero fino all'inverosimile. Lo studio in Cina, soprattutto universitario, ti da un'impostazione precisa su come e cosa pensare, più studi e più vai in quella direzione, è sbagliato pensare che sia qualunquismo, al contrario! Ricordi il tassista di Chongqing? I cosiddetti cinesi hanno da secoli l'impressione di non essere capiti dal cosiddetto Occidente, e forse è proprio così. Abbiamo un'altra concezione del sapere, della Verità, di cosa è importante e cosa no e se non usciamo da questa dimensione, come pensiamo di poter davvero metterci nei panni altrui. Alla fine è di questo che si parla, mettersi nei panni altrui. Noi siamo gli imperialisti, i presuntuosi, coloro che credono di esportare democrazia, mentre loro sono i ciechi, i disinteressati i nazionalisti, i sostenitori della Cina (entità che talvolta si identifica con il partito, altre con la patria, altre con il pensiero tradizionale, altre con la cinesità). Capire la Cina è anche comprendere quelli che per noi sono paradossi, come si può studiare marxismo fin dalle elementari e vivere in una società dove un porche sfreccia accanto ai sanlunche? La realtà è soggettiva, il Reale è soggettivo, e in Cina essere soggettivo significa essere collettivo. Tutto ha caratteristiche cinesi, il marxismo, il capitalismo, la Verità e se così è è perché i cinesi hanno qualcosa che va oltre alle scoperte delle maschere dei Sanxingdui che dimostrano una eterogeneità culturale sul territorio cinese, ai dissidenti che dimostrano un'eterogeneità di pensiero politico. La Cina è un'unità eterogenea che però è anche omogenea. Un po' come il Dao che comprende tutto e pervade tutto, ma si manifesta in variazioni estremamente diverse. La Cina per i cinesi è il Dao e si può comprendere solo uniformandosi al suo flusso. Lettura consigliata per farti dormire sonni più tranquilli: La pratica della Cina di André Chieng (o qualcosa del genere) Baci!
@laura: sì, credo sia esattamente la stessa cosa. ma sono passati 30 anni, quanti ne ho io. e preferisco illudermi che qualcosa sia cambiato, anzi ne sono quasi sicuro. globalizzazione, migrazione, cinesi all'estero, esteri in cina e la fine dello stato nazione dovrebbero giocare a mio favore.
@lavi: qua non è tanto la questione "loro sono diversi" ma cercare di capire chi sono "loro" e realizzare che in realtà "loro" non esistono più, travolti da globalizzazione, modello americano, migrazioni, classi sociali come categoria dominante rispetto all'identità nazionale. "chi/cosa è un cinese?" o "chi si identifica come tale?". non siamo più nel 1800 e neanche al tempo della rivoluzione culturale. e, ancora una volta, il discorso della daibiaoxing.
comunque secondo me abbiamo sottovalutato quando agli esordi del nostro studio della cultura cinese ci dicevano "ai cinesi non piacciono i film di chen kaige e zhang yimou". potevamo capire molto di più da questa banale considerazione...
Caro Daniele,
ma mi chiedo perche' tu vada a cercare la meglio gioventu' cinese nei professori che hanno studiato all'estero? Cerchi l'intellettuale cinese con cui difendere gli ideali che hai costruito fino ad ora e distruggere quelli che hai sempre rifiutato? I roaring 20s alla Beijinger? Perche' si ha cosi tanto il bisogno di cercare un consenso?
Yuebai
caro yuebai,
io non vado a cercare la "meglio gioventù" cinese né tantomeno la vado a cercare tra i cinesi che hanno avuto la fortuna di studiare all'estero.
neanche cerco l'intellettuale con cui condividere degli ideali. il consenso poi mi fa schifo, è una menzogna, è un bisogno della democrazia, una via meschina per giustificare il potere e la delegazione di potere.
quello che volevo fare con quei giovani accademici cinesi era semplicemente scambiare delle idee e capire qualcosa in più della cina e dei cinesi. resti fra noi, ma lo faccio di mestiere. quello che mi ha un po' deluso è stata non tanto la loro risposta ma i toni coi quali mi hanno risposto.
grazie per le tue domande, sono servite anche a me.
dan
Anytime! E condivido pienamente.
"Cara Yuebai" :)
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