Strani ricordi. E le donne d'Iran.
Scrivevo nel lontano ottobre 2006, da Canton:
“Mai avuto un blog e pressoché mai cercato di crearne uno. Oggi ci provo. Oggi è un bel giorno per buttar via del tempo. A Canton non tira un filo d'aria. In casa non c'è nessuno, compreso il mio cervello che se ne è andato stamattina appena alzato, in preda ai postumi della solitaria sbronza di ieri sera.
Scopo di questo blog? Sfogarmi. Spesso mi sfogo con lunghe e-mail che mando a tutta la mia mailing list, lunghe sbroccate che arrivano spesso indesiderate a conoscenti ed amici vicini e lontani. Posso fare a meno di rompere le scatole agli altri riempiendo le loro caselle di posta elettronica, ma non posso far a meno di scrivere. Come diceva Bukowsky ‘Scrivere ti salva il culo’. E su queste dolci note per ora vi/mi lascio.
Vado a vedere se mi riesce di capirci qualcosa con questo blog, magari infilare qualche foto, tradurre pezzi anche in cinese e in inglese.
E ad un blogger non credere mai...”
A cinque anni di distanza non ho molto da aggiungere.
Oggi ho assistito ad una conferenza di studi iranici. C’erano molte accademiche e attiviste iraniane. Sembra che non se la passino bene, le donne in Iran.
Sempre oggi ho avuto fisse in mente (non saprei proprio perché) le seguenti tre immagini:
- Frosinone, autunno 2002. Era il periodo di miei vagabondaggi per il Lazio alla ricerca di me stesso. Partivo di venerdì, da solo, sacco a pelo in spalla, e tornavo la domenica a Roma, dove abitavo e studiavo. Dormivo dove capitava. Ovvero in strada. Quella sera, in una piovosa e tristissima Frosinone, dormii da qualche parte al di là di un cancello, sotto un edificio disabitato e dall’architettura stalinista. All’alba del giorno dopo, mentre me ne stavo andando, un anziano guardiano mi ferma e mi fa “Come sei entrato?”, strafottente e scazzato rispondo “Indovina! Ho scavalcato il cancello”. “Ora chiamo i carabinieri, perché hai scavalcato il cancello”, mi fa il vecchio in divisa. “Se non te lo dicevo io neanche sapevi che ho scavalcato il cancello, coglione!”. Continua a gridarmi qualcosa, io tiro dritto per la mia strada, autostop verso la stazione, sacco a pelo in spalla. Avevo vent’anni, le scarpe zuppe di pioggia e il mal di testa dovuto ai postumi della sbornia della sera prima.
- Pechino, settembre 2009, mia stanza nel dormitorio studentesco alla Renmin University. Greg è seduto sul mio letto, ha in braccio la chitarra e canta “Datemi un passaggio per fuggire dai locali intelligenti e dagli sguardi dei clienti” e io gli faccio “Figa questa canzone, dove l’hai sentita?”. Per mesi ho poi suonato e cantato questa canzone dei Timoria, specie lo scorso inverno steso a letto con tre costole rotte.
- Pechino, marzo 2010, stanza da letto in casa di Tyra, in casa della ragazza che per mesi è stata così importante per me, la prima cosa alla quale pensavo la mattina e l’ultima alla sera, prima di addormentarmi. C’è una festa in corso, la festa di compleanno di Tyra, molta tequila, molta musica, tutti ubriachi e i vicini incazzati neri. Ricordo io saltare sul materasso dove eravamo soliti amoreggiare, ballando sbronzi con una ragazza spagnola amica di Tyra e una tipa francese bellissima che era lì per caso: aveva perso l’aereo per Bangkok.
Meglio non scavare nel passato, suggerisce qualcuno. Mah.
Improvvisando un’analisi potremmo suggerire che: mi manca vagabondare, mi manca Tyra e mi manca Greg. E mi manca anche la chitarra e l’alcool a due lire. Qui in Irlanda bere è piacevole, peccato che bisogna fare un mutuo in banca per sbronzarsi. E mi sa che ho anche tanta voglia di volare a Teheran. Ho appeso in camera il poster di Amnesty International “Keeping Iran’s Heart Beating: Stories of Women’s Right Activists”.
I am a chewing gum. 'notte.
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