Thursday, October 20, 2011

My life in Cork: descrizione di una giornata tipo (parte prima)

Mattino. Ore 7.45. La sveglia del mio coinquilino irlandese comincia a suonare. Le sveglie, in quanto tali, hanno tutte un suono di merda. Non conosco ancora il nome del mio coinquilino, non ci vediamo quasi mai. Ha da poco trovato un lavoro, tutte le mattine si alza alle 7.45, si butta in doccia e si veste come il portiere di un albergo a cinque stelle. Credo faccia il portiere di un albergo a cinque stelle. La sua sveglia non mi disturba. Mi giro dall’altra parte e abbraccio il guanciale. Io non ho mai lezione prima delle 10.00, ma mi alzo abbastanza presto, intorno alle 8.30.

Alle 8.30 suona la mia, di sveglia. Mi denudo completamente, per far sì che il freddo mattutino mi desista dal riaddormentarmi. Non faccio caso alla finestra, so già che tempo fa: cielo grigio e pioggia. Mi guardo intorno cercando di ricordare il sogno della notte prima. Spesso ci riesco e mi dico “Ricordati di appuntarti questo sogno”. Quotidianamente poi mi dimentico di farlo. Infilo calzini, mutande, jeans, maglietta, felpa e scarpe. Scendo al piano di sotto per andare in bagno. La toilette del piano di sopra ha un lavandino troppo piccolo. Sgattaiolo per le scale ascoltando il rumore della doccia che si sta facendo il mio coinquilino, sempre quello che lavora come portiere forse. Al piano di sotto passo di fianco alla stanza di un altro coinquilino, anche lui irlandese. L’odore pesante di sigarette e il suo russare mi rimettono completamente in sesto. Mi guardo allo specchio. Mi dico “Ricordati di tagliarti la barba”. E anche in questo caso, puntualmente, me ne dimentico. Rapido lavaggio di faccia e denti, comoda pisciata, sciacquone, afferro ombrello e portatile: ore 8.45, sono in strada. Solitamente sono di buon umore e fischietto allegro per tutto il percorso che va da casa mia all’Università di Cork. Una quindicina di minuti a piedi. Una volta c’ho messo meno di tredici minuti. Record imbattuto. Le strade sono solitamente semi deserte, poche macchine e qualche studente di liceo con la sua uniforme verde. Di solito piove, ma davvero qui non ci fa caso nessuno. Qualcuno fa caso al mio fischiettare motivi che vanno dal Barbiere di Siviglia all’inno dell’Internazionale Comunista passando per i cori degli ultras della Maceratese e “Paper Planes” di M.I.A.

Entro in Facoltà, imbocco il corridoio del mio dipartimento, apro la porta del mio ufficio: casa dolce casa. A quell’ora del mattino campus ed uffici sono deserti. Sono io uno dei primi coglioni ad entrare “a lavoro” ed uno degli ultimi ad andarsene. La prima cosa che faccio è mettere a bollire l’acqua con un aggeggio elettrico che ho in ufficio. La seconda rubare tè verde cinese al professore che l’anno scorso usava questo ufficio. La terza godermi tazze bollenti di tè sfogliando on-line i media internazionali e leggendo le news dal mondo. Senza rotture di cazzi. Divino.

Dalle nove di mattina alle nove di sera sono in università. Il sabato e la domenica stacco prima, perché alle 17.00 e alle 15.30 rispettivamente mi buttano fuori dall’ufficio le guardie che devono chiudere a chiave l’intera Facoltà. Ho dieci ore di lezione a settimana, per il resto sono a mensa, a riunione dalla preside o nel mio ufficio. Cosa faccio? Insegno. Cioè, per insegnare devi preparare le lezioni che dai agli studenti. Quindi l’ora di lezione in sé per sé è una minima parte del lavoro che faccio. Di mestiere, al momento, studio. Leggo, studio, ri-studio ed organizzo le cose da insegnare in classe, con l’aiuto di proiettori e presentazioni in Power Point. L’insegnante del 21esimo secolo.
Non male, devo dire la verità. Mi piace quello che faccio.

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