Thursday, May 26, 2011

When I start drinking cigarettes: osservazioni sul futuro delle università in Cina

Ero ieri a pranzo col mio supervisor di tesi, il professore Li Lulu. Persona che stimo, prima ancora che per il suo valore accademico, per la sua umanità e condotta anti formalista. Disprezza le procedure burocratiche più degli studenti stessi, sorride e alza le mani quando gli chiedi di fogli da portare in segreteria. Non l'ho mai visto in camicia (figuriamoci in cravatta!) neanche durante importantissime conferenze internazionali. Solo maglietta e giubbetto scuro. Legge cinese, inglese e giapponese, ma parla solo pechinese stretto. E, come ogni cinese sulla cinquantina che si rispetti, vive solo di sigarette e té. E di libri e lavoro di ricerca, da accademico quale è.

Al pranzo erano presenti anche altri due dottorandi che hanno appena finito di discutere la tesi, tre sue studentesse di Master e un altro paio di dottorandi che finiranno gli studi l'anno prossimo. Il pranzo è stato una piccola ed informale cerimonia per festeggiare i neo disoccupati, ovvero noi che abbiamo terminato il dottorato.
Tema fisso delle due ore trascorse insieme è stato il mondo del lavoro in Cina. Con qualche spunto di paragone con l'Italia e l'estero in generale. Tema che non mi affascina molto, al massimo mi annoia o mi deprime. Ma io sono un privilegiato. Questi giovani colleghi cinesi sulla soglia dei trent'anni hanno portato a termine degli studi SOLO per guadagnarsi un posto decente nella società, ovvero un lavoro non manuale e ben pagato. Di norma, in Cina si comincia a cercare lavoro mesi prima di aver consegnato la tesi (di laurea, Master o dottorato che sia). Si esce dall'università che già hai un piede e mezzo nel mondo del lavoro. I miei colleghi di dottorato hanno in gran parte trovato posto come insegnanti in istituti universitari più o meno rispettati. Nessuno è entusiasta, si limitano a dire che la paga non è male. Le loro uniche preoccupazioni sono: 1) trovarsi una casa e un auto da comprare 2) sposarsi 3) fare figli.

Interpellato su cosa ho intenzione di fare nel futuro e di come funziona il lavoro in Italia, ho evitato battute del tipo “Me ne guardo bene dal cercare lavoro: potrei correre il rischio di trovarlo!”, perché non le avrebbero capite. Ho invece sviolinato le mie solite filippiche contro il matrimonio e la famiglia come istituzione, contro il lavoro dipendente e salariato. Discorsi che (so già) li annoiano, e che commentano con un semplice “Siamo d'accordo con te, ma noi siamo cinesi e qui le cose le pensiamo e le facciamo diversamente”. Capisco.
Sapete quante università ci sono in Cina? Circa due mila. Negli Stati Uniti ce ne sono di più. Certo, non tutte di serie A. Le università cinesi “buone” che ti garantiscono una buona occupazione post laurea sono solo qualche decina, non arrivano al centinaio. La cosa curiosa è che quasi non esistono università private. Non ci sono Bocconi o Luiss, per intenderci.
E qui ho cominciato a storcere il naso. Alla fine siamo in regime di economia di mercato, i cinesi miliardari sono già qualche decina di milioni, dove andranno a comprare titoli di studio per i loro figli viziati e pigri? All'estero, innanzitutto. Ma se un diciottenne non ha voglia di lasciare la Cina? A questo punto o le migliori università cinesi si sputtaneranno accogliendo questi figli di papà al di là del loro merito oppure (e, anche se mia, non mi sembra un'ipotesi del tutto assurda) istituti privati ed università dove si entra e si esce solo se paghi nei prossimi decenni spunteranno come funghi anche in Cina.
Non ho avuto modo di condividere i miei ragionamenti con il professore Li e gli altri colleghi, visto che il tema era già tornato al lavoro, alla casa, alla famiglia.


Per la cronaca: la nuovissima e modernissima Biblioteca nazionale di Pechino è chiusa per trasferimento materiali fino a fine agosto. Non credevo alle mie orecchie. Una delle più grandi biblioteche al mondo chiusa per mesi!
Ancora scosso, ho fatto ritorno alla mia università, dove la nuova biblioteca non ha molto da invidiare (per magnificenza architettonica e impatto estetico) alla Biblioteca nazionale. Anche qui molti libri sono irreperibili perché in trasferimento dalla vecchia. Ma almeno le poltrone in pelle sono comodissime, internet va meglio che nel resto del campus e il primo piano ospita una mostra intitolata “Liu Shaoqi e il Partito comunista cinese”. Un ottimo modo per salvare la giornata.

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