Il mio natale
Pechino, 10 di dicembre. Sembra strano, non fa così freddo. La temperatura oscilla intorno agli 0 gradi. Va sotto di notte e sopra di giorno. L'anno scorso di questi tempi non uscivi di casa. Quest'anno è più mite. Ma che vento! Sembra di stare in Mongolia. Non mi intendo di meteorologia ma credo la temperatura meno rigida del solito e l'assenza di neve abbiano a che fare col vento...
Qui nel campus universitario la vita procede come sempre: studenti in strada, le comunità internazionali nel dormitorio, lezioni, conferenze, discussioni, cene insieme, feste in camera, i libri da riportare in biblioteca, nessuna voglia di lavorare. Il solito insomma. Durante la giornata, al termine delle lezioni (alle 11.30 di mattina e alle 17.30 di sera) gli altoparlanti sparano quei cinque minuti di canzoni per dire agli studenti "E anche oggi è andata! Tornate a casa a riposarvi ma non dimenticatevi di studiare!". In Italia non esiste nulla del genere. La musica in sé non mi disturba, anzi, ma da qualche settimana a questa parte hanno cominciato a mettere canzoni pop americane, tipo Eminem e cagate simili. Io non dico che la Cina e i cinesi si stanno occidentalizzando, ma spero sinceramente che qualche studente cinese vada ad incazzarsi negli uffici competenti.
Venendo a noi e al mio natale... Ore 18.00 circa, di ritorno da una conferenza dall'università di Pechino. Torno al mio dormitorio e passo nello spaccio di fianco all'entrata. E' un piccolo spaccio che vende bibite, sigarette, snacks, spaghetti liofilizzati, cioccolata, spazzolini da denti, ombrelli, detersivi e cianfrusaglie varie per la quotidianità degli studenti. Quest'anno è tutto nuovo perché hanno ristrutturato l'edificio e dunque nuovo anche lo spaccio e le donne che ci lavorano sono cambiate. Ma stasera noto la signora che conoscevo da quando misi piede per la prima volta in questa università, nel lontanissimo settembre 2007. Non le faccio molto caso, perso come sempre nei miei mille pensieri inutili e costantemente di fretta. "Un pacchetto di Hongtashan", le faccio. La signora (che chiamiamo "zia", titolo con cui ci si rivolge in Cina alle donne più grandi di te di qualche decina d'anni) mi guarda e mi fa: "E non mi saluti neanche? Non ti ricordi di me?". Cazzo, ha ragione, un vero cafone. E' che in Cina "buongiorno", "buonasera", "grazie", "arrivederci" non si usano molto. Infatti quando torno in Italia mi dimentico sempre delle (nostre) buone maniere. "Certo che mi ricordo!" le dico imbarazzato. "Sono contenta di essere tornata". "Anche noi siamo felici di riaverti qui" (ipocrita!). Ci penso e le chiedo "Ma dove sei stata negli ultimi mesi?". "In un altro spaccio, dall'altra parte del campus. Ma non mi trovavo bene. Voi studenti stranieri siete divertenti, coi cinesi mi annoiavo" mi dice sorridendo. Non so perché ma questa frase ha messo il sorriso in bocca anche a me. Gentile la zia! Magari ipocrita anche lei, chi lo sa. Ma mi ha messo di buon umore. E' una pechinese vecchio stile, ex fumatrice accanita ed ex bevitrice dura. Quando ci becca il weekend a fare scorta di birra e grappa nello spaccio ci raccomanda sempre di non esagerare con l'alcool. "Tranquilla zia!" le diciamo ogni volta. E poi ci vede il mattino seguente con la faccia stravolta, stralunati in pieno post sbronza stile Hemingway. In gamba la tipa.
Pago le sigarette e, non so perché, la lascio con un "Buon natale zia!".
1 Comments:
Come sono le Hongatashan?
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