Tuesday, November 23, 2010

Filosofia del linguaggio e conservatorismo cinese

La scorsa estate ho avuto piacevolissime discussioni con un ragazzo di Roma che sta per iniziare il suo dottorato in filosofia. Parlando con lui, mi sento sempre più convinto che l'unica filosofia oggi degna di tale nome è quella del linguaggio.

Non essendo il mio campo, rischio di dire una marea di minchiate. Ma non sarebbe una novità in ogni caso. Dunque buona lettura.

Ieri notte, a birre finite, uno studente olandese di filosofia politica mi ha attaccato una pippa non indifferente sul fatto che nel suo paese la gente vada fiera di due cose: la legalizzazione della marijuana; e quella dell'eutanasia. Io ho risposto che, libertà o meno, orgoglio o meno, queste due legalizzazioni portano un bel po' di soldi nelle casse dello Stato, visto che il turismo europeo è attratto da entrambe le due "libertà" Made in Netherlands. Molti giovani italiani, ad esempio, devono prendersi un volo Milano-Amsterdam per affittarsi una donna, fumarsi una canna in santa pace o far morire la nonna affetta da malattia non curabile. E questo per loro è, al di là di tutto, un business. Mi sembra ovvio e probabilmente anche il mio amico era d'accordo.

Fatto sta che ha improvvisamente volto la conversazione a qualcosa di decisamente più pesante. E di materia sinologica.

Secondo lui, nelle società dei paesi occidentali, è la Realtà 现实世界 a influenzare e modificare la Lingua orale 口语, che a sua volta va a definire quella scritta 书面语. Sempre secondo lui invece in Cina succede (da sempre e per sempre) il contrario. Ovvero la Lingua scritta 书面语 (immutata da secoli) definisce quella orale 口语, che a sua volta definisce la Realtà 现实世界. Schematizzando:

In occidente 现实世界 -- 口语 -- 书面语
Mentre in Cina 书面语 -- 口语 -- 现实世界

Questo perché, secondo il mio amico olandese, la lingua scritta in Cina non è soggetta a variazioni, soprattutto dal punto di vista grafico, visto che non ha un alfabeto. E lo stesso accade in Giappone o Corea, perché anche loro usano i caratteri cinesi. Questo spiega l'impossibilità cinese ad ogni progresso o modernizzazione culturale o filosofica, perché alienata dalla realtà, che è sempre in trasformazione. L'unico progresso cinese può essere quello materiale e tecnologico. Per il resto la realtà è impostata dalla lingua, che è sempre uguale a sé stessa. Da qui un conflitto che non ha via d'uscita.

Pur non essendo assolutamente d'accordo con lui, ritengo questa analisi interessante. Per questo la propongo qui.

I motivi del mio disaccordo sono fondamentalmente due:

- non è vero che la lingua scritta cinese non si è mai trasformata. Pur non avendo un alfabeto ha però radicali e caratteri, che si sono trasformati e modificati nel corso dei secoli, portando a semplificazioni, cancellazioni, creazioni di nuovi caratteri e nuove parole e via dicendo.

- non è vero che la lingua scritta crea sempre quella orale. Né che le due siano immutabili. Pensate ad esempio oggi quante parole di derivazione inglese, giapponese o comunque straniera fanno parte della lingua orale e/o scritta cinese (al di là che sia prima passata per la lingua scritta o per quella orale). Qualche esempio? "Bye bye" 拜拜 (o anche "88"). "OK 了“. "Cool" 酷. E così via...

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