Stadio e tifo: una volta seguivo il calcio
Da anni me ne sbatto, ma da piccolo seguivo con passione il calcio. Ne parlavo con gli amici e i compagni scuola, compravo le figurine Panini, avevo i miei idoli del pallone, giocavo senza sosta, seguivo le partite in TV. E soprattutto andavo allo stadio.
Da un punto di vista sociologico lo “stadio” è una gran figata. Io ho perso la passione calcistica per motivi politici e ideologici intorno ai vent’anni. Le ragioni sono molteplici. Per citarne alcune, ho cominciato a vedere il tifoso come uno che osserva ventidue coglioni correre dietro ad una palla. Reputo da idioti e frustrati fare violenza e scontrarsi con la polizia per motivi di calcio. Il business ha rovinato il calcio. Generalmente parlando non provo simpatia per chi in un giorno guadagna quanto mio padre in un mese e quanto un operaio cinese in un anno. E così via.
Ma alle scuole medie e superiori la passione calcistica era enorme. Non solo a livello di calcio di serie A, ma della squadra della propria città. Nel mio caso, la Maceratese, chiamata dai tifosi la “Rata”. La Rata quando ero piccolo era molto più che una passione: era un credo. Potevi uccidere per la Rata. La domenica sapevi già cosa avevi da fare: andare allo stadio a tifare Rata e urlare contro tifoseria avversaria e polizia. A diventare un fiero supporter della Rata lo imparavi a scuola. I ragazzi più grandi ti prendevano a calci nel culo e ti rubavano la merenda se non ti vedevano la domenica allo stadio. Allo stadio si andava armati di slogan, monetine, bulloni, petardi e accendini. Noi ragazzini più piccoli avevamo il compito di nascondere bulloni tra le mutande, visto che la polizia ci risparmiava (per la tenera età) la perquisizione. E allo stadio si beveva, cantava, ballava. Ricordo i cori. Cori schifosamente violenti, razzisti, maschilisti. Ma questo l’ho capito solo dopo. A quindici anni cantavo con quanto fiato avevo in corpo. Il derby (e odio cittadino) la Rata biancorossa lo gioca storicamente con la Civitanovese. I civitanovesi chiamano i tifosi della Rata “pistacoppi” perché Macerata è piena di piccioni e cacca di piccioni, mentre i maceratesi chiamano i civitanovesi “pesciaroli”, perché Civitanova è sul mare e molti fanno il pescatore di professione. Tutto questo per aiutarvi a capire i cori carichi di odio e maschilismo di cui parlavo sopra:
“Pesciarolo / vuoi sapere perché / tua sorella viene a studiare da me / con la scusa dell’università / tua sorella sai che fa / perde la verginità”
“Oh pescià pescià / tu madre la troia fa / tu padre in galera sta / oh pescià oh pescià”
“Oh pesciarola / apri le cosce / fatti montare dalle furie biancorosse / quando saremo sopra di te / noi grideremo forza Rata alè alè”
“E chi non canta è un figlio di puttana / e chi non canta è un bastardo pesciarolo / e chi non canta resti a casa / che cazzo vieni a fare qua”
E via dicendo. Politica poca. In curva trovavi fascisti, comunisti e menefreghisti vari, accomunati dalla passione per la sbronza domenicale e la Rata. E poi ricordo i tentativi di entrare gratis scavalcando i cancelli. I fumogeni e gli affronti alla polizia. Lanci di bottiglie, manganellate, macchina prese a sassate. Insomma guerriglia urbana. Ma in nome del calcio. Ovvero di un cazzo. Calciatori e presidenti si godono fama e miliardi e noi idioti là fuori a prenderci a botte per nulla. Ma queste cose a quindici anni non le capisci. Mi auguro però che prima o poi la gente apra gli occhi e invece di andare allo stadio vada negli spogliatoi a gridare “A lavorare! Andate a lavorare!”.
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