Thursday, February 04, 2010

Sinologia a pranzo e a cena

A pranzo...

Capodanno cinese alle porte, Pechino vuota, il campus universitario è peggio di una città fantasma: anche i fantasmi si sentono soli. Ero a mangiare un piatto di spaghetti freddi all'aperto, in un baracchino di strada nascosto. Di fronte a me ua signora con bambino e una giovane ragazza. Entrambe cinesi. Stavano contrattando il prezzo per un falso diploma di laurea. Cento metri più giù, gli studenti pagano tasse altissime e spendono anni di studio e bestemmie nelle biblioteche e nelle aule di lezione per conquistarsene uno. La pratica della vendita di un diploma, un titolo o un documento falso è diffusissima e all'acqua di rose. Quando arriva la polizia le donne che vendono documenti falsi si nascondono, quando la polizia se ne va, tornano in strada. La polizia non le arresta perchè hanno con loro i bambini. E non è facile coglierle in flagranza di reato. Fanno un buon business, probabilmente corrompono anche la polizia. Sono piene di clienti, la prima cosa che fa uno studente appena di laurea (e dunque non è più iscritto all'università e non più in possesso di un tesserino da studente) è andarsi a comprare il tesserino falso da queste signore. Costa due euro, un euro se sai trattare. Con un tesserino da studente ottieni sensibili sconti per biglietti del treno, ingressi a mostre e concerti. Otto-dieci euro costa un diploma di laurea falso.
Alla fine la ragazza non compra il diploma falso. E se ne va. La donna raccatta il bambino buttato in strada, mi guarda e fa "Hai bisogno di un documento?". Mi fingo straniero che non parla cinese e non le rispondo. Finisco gli spaghetti e penso: "No, il documento non mi serve. Però ragionavo sul fatto che per un diploma di laurea servono quattro anni di studio. Per un bambino due minuti di sesso, nove mesi di attesa e anni di pannolini... Senti un po', quanto me lo metti il bambino al chilo?!"



... e a cena

Un mio compagno di dottorando cinese è tornato da un periodo di studio in Giappone. Per festeggiare ci ha invitati tutti (tutti quelli rimasti a Pechino, cinque su trenta, di cui quattro in partenza) a cena in un ristorante. Partono brindisi violenti di birra, una volta tanto mi improvviso astemio. Ci scarrella una lunga narrazione del suo orribile periodo di studio in Giappone, orribile per la freddezza dei giapponesi, la sua noia e solitudine, per non parlare degli usi e costumi (dal cibo alla pulizia) a cui non era abituato e non si è abituato. Troppo felice di tornare in Cina insomma. Finalmente ha capito anche lui cosa si prova a vivere lontano da casa, cosa si prova a vivere da straniero in terra straniera. E' tutto un brindisi a non finire, probabilmente è per l'aria di festa e l'imminente capodanno cinese. Uno si rivolge a me "A volte penso tu conosca la Cina meglio di noi cinesi. Vivi in Cina da diversi anni, hai una formazione da sinologo, come mai tanti stranieri vengono in Cina a studiare la Cina? I più grandi studiosi della Cina sono occidentali". Non mi han fatto rispondere, è partito un altro giro di brindisi e la domanda è morta senza una risposta.
Secondo me il problema è solo linguistico, di definizione. E' una palese stronzata che i più grandi studiosi di Cina sono occidentali. Conoscete qualche famoso sinologo cinese? No. I sinologi sono solo stranieri. In gran parte occidentali (francesi, italiani, inglesi, americani), per tradizione. "Sinologia" (parola che odio) in cinese si dice "hanxue", cioè "studio degli han", ovvero studio della cultura han, principale etnia cinese. Ma in Cina la parola che si usa per indicare gli studi collegati al proprio paese è "guoxue", ovvero "studio del paese" (il loro, ovviamente). Quindi un cinese non si spaccia per "eminente sinologo" ma per "eminente studioso del proprio paese". Soliti nazionalismi e retaggi colonialisti. Avete mai conosciuto un "italianologo" cinese o un "occidentologo" cinese? No. Fa ridere solo il nome. Ovviamente esistono specialisti delle più varie e disparate discipline in una geografia umana sempre più ampia. E' ora passata di chiamare le cose con il vero nome, definire le cose più nel dettaglio che con inutili definizioni ottocentesche quale "sinologia" o "orientalismo"!

E poi, a volerla dire tutta, visti i tempi di crisi (economica, psicologica, umana, esistenziale, accademica e d'identità) della quale non vedo l'uscita, va sottolineato che ci siamo (no, non è un plurale maiestatis) stancati di studiare la Cina. Più vivi e studi in Cina, più conosci e meno capisci. Se mi chiedono "cosa fai in Cina?" da domani risponderò "Cosa vuoi che faccia in Cina, quello che fanno tutti: faccio affari, mi arricchisco e non penso a nient'altro. D'altronde "capire" è una pretesa del cazzo, "conoscere" una perdita di tempo!". C'aveva visto giusto Deng Xiaoping: "Arricchirsi è glorioso!". E anche punk, ormai.

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