Exploited: monto la polemica. Identità sinologica e mercato globale
Che cosa è un "sinologo"? Oggi "sinologo" non vuol dire più niente, anzi suona male negli ambienti di sinistra perchè sa di "colonialista". In passato indicava chi "studia la Cina", in particolare nei suoi aspetti culturali, storici, filosofici, antropologici, archeologici, senza necessariamente saperne la lingua (il cinese mandarino o le altre lingue e dialetti parlati in Cina).
Oggi "sinologo" fa ridere, ma tra studenti di cultura cinese ci piace definirci "sinologi" e farci due risate sopra, tanto per darci, tristemente, un titolo, una dignità. Poichè un laureato in Economia non è un economista né un laureato in Lettere è un letterato, a maggior ragione un laureato in Lingue e Civiltà Orientali (lingua cinese) non è un sinologo. Formalmente siamo tutti dottori, ma siccome dire "dottore in Lingue e Civiltà Orientali (lingua cinese)" fa cagare, allora ci piace definirci "sinologi" e soprattutto scrivere "sinologo" nel biglietto da visita, che oltre a far sbellicare dalle risate è anche discretamente punk: "Piacere, Dott. Daniele Massaccesi, sinologo".
Chiamateci e chiamiamoci come vi / ci pare, la cosa peggiore è che non siamo "nessuno". O almeno questo penso. Lo penso dal giorno in cui mi sono iscritto alla facoltà di Lingue e Civiltà Orientali (lingua cinese) all'Università "la Sapienza" di Roma, un sei-sette anni fa. Lo penso da un sacco di tempo, ma lo scrivo ora perchè mi sono tornati in mente vari dibattiti e discussioni con "sinologi" ventenni e trentenni di Roma e di Pechino, in particolare il piacevole incontro qualche giorno fa con delle carissime amiche, nonché ex compagne di studio.
Il punto era che noi "sinologi" siamo un po' l'ultimissima ruota del carro, in Cina come in Italia, una sorta di "nessuno", usati e sfruttati dal mercato per le nostre supposte capacità di capire e tradurre il cinese. Ci passano avanti tutti, laureati in economia, ingegneria, architettura, scienze politiche, che parlino un inglese discreto e abbiano fatto sei mesi di studio in qualche scuola privata di cinese in Cina, tanto per capire che il cinese è dfficile da imparare e tanto vale lasciar perdere subito. Siamo usati e sfruttati come pseudo segretari/ie, fotocopisti, centralini, guida turistica ai centri commerciali di Shanghai e Canton, insomma baldi giovani che ti accompagnano in giro per la Cina durante i tuoi affari commerciali, che risultano utilissimi soprattutto quando devi comprare una collana di giada per tua moglie in Italia non prima di esser passato a farti fare il "servizio completo" dalla massaggiatrice cinese per "due soldi" (gli stessi "due soldi" con i quali la massaggiatrice cinese ci vive due settimane nel suo villaggio natale e tu "sinologo" italiano a Pechino ti ci paghi cinque cene alla mensa studentesca). Credo sia questa la migliore definizione contemporanea di "sinologo". Non so bene come funziona in Nord Europa o nel continente americano, ma per gli italiani è grosso modo così. Motivo per il quale le mie carissime amiche avevan buttato lì l'idea di metter su una sorta di sindacato, una "union" di "sinologi"-interpreti italiani in Cina per "tutelare" i nostri diritti del lavoro e soprattutto i nostri stipendi. Per conquistarci una dignità insomma, in nome del fatto che l'unione fa la forza.
Scettico come sempre (ma anche come sempre felicemente stupito della decisa intraprendenza delle mie amiche) ho manifestato i miei dubbi, primo fra tutti il fatto che noi "sinologi" italiani siamo persone quasi senza identità, non sappiamo neanche come presentarci, già dire che sei un interprete ti caratterizza e identifica fortemente, peccato che noi non siamo interpreti e la scuole di interpreti sono altra cosa dalle università dove si insegnano Lingue e Civiltà Orientali. Sapere (più o meno bene) una lingua non significa necessariamente fare l'interprete: altrimenti tutti i tantissimi cinesi nati e vissuti in Italia e tutti gli italiani nati e vissuti in Cina farebbero questo mestiere e lo farebbero meglio di chiunque altro. Se non lo fanno è perchè non interessa loro (o perchè non sanno quante opportunità di lavoro ed "easy money" avrebbero).
Ma torniamo a noi. A noi "sinologi". Che cazzo devo fare della mia vita, io, "sinologo"? Chi sono? Dove è il "mio" posto? Per quanto non ci sia niente di male andare a lavorare sottopagati in uffici di aziende italiane o joint venture in Cina come telefonisti-fotocopisti-segretari-traduttori di e-mails, credo che, almeno alle origini, non fosse quello il nostro posto. Che poi finiscono (e finirò anche io a breve, il 25 giugno sarò finalmente a pieno titolo disoccupato... "Piacere, Dott. Daniele Massaccesi, disoccupato") tutti lì è un altro discorso.
Il nostro posto credo dovrebbe essere altrove: nei centri di ricerca, nelle sedi di riviste e giornali che si occupano di oriente, nelle scuole e nelle università, nei siti archeologici, nelle biblioteche, nelle troupe televisive che realizzano film e documentari sulla Cina. Credo sia quello il nostro posto. Lontano dai posti dove circolano capitali, lontano dalle compra-vendite, lontano dai commerci. Che poi non tutti si sono laureati in "sinologia" per finire nei posti che ho detto due righe sopra lo so benissimo e me lo auguro soprattutto. Uno (compreso me) può benissimo scegliere di studiare la Cina per semplice interesse e curiosità e finire per laurearsi in cultura cinese senza dover finire in un centro di ricerca e andare piuttosto a fare panini a Londra o l'interprete a Canton. Ma credo comunque che il posto del "sinologo" sia altro. Il sinologo è quel particolare animale bipede erettile dotato di scatola cranica e laurea cum laude che quando sente parlare di Cina sente una scossa su tutto il corpo, alza la mano e senza arroganza dice "Sì, sì... ho letto qualche libro sulla Cina e ho sputato parecchio sangue sui caratteri cinesi", correggendo il tiro di giornalisti venduti, turisti irrispettosi, businessmen ignoranti, attivisti esaltati, economisti preoccupati. Il "sinologo" dovrebbe essere quello che impedisce agli altri di parlar male (ovvero ciarlare senza sapere neanche di cosa si sta parlando e senza essere in grado di dare collocazione geografica al Tibet o storica a Matteo Ricci) della Cina. Fratelli e sorelle "sinologi" io credo che il nostro posto sia qui.
Cazzo il lavoro è una cosa davvero importante. Da giovane lo disprezzavo, ora capisco a pieno la frase "il lavoro nobilita l'uomo". Ci dà una dignità, una collocazione, un senso, una direzione. Non che il lavoro sintetizzi tutto questo ma di certo dà una bella mano. Togliere il lavoro ad un uomo è il miglior modo per umiliarlo. Se avessi un lavoro conforme alle mie passioni, ai miei studi e alla mia formazione smetterei di studiare e di cercare fantasmagoriche borse di studio per rinviare l'entrata nel mondo del lavoro sottopagato negli uffici di aziende italiane tra persone in giacca e cravatta che pensano che la carta non l'abbiano inventata i cinesi ma McDonald's.
Sogno un posto da "sinologo" in qualche centro di ricerca sulla Cina contemporanea o in agenzie di stampa che si occupano di Estremo Oriente, finirò a fare i panini a Londra o l'interprete a Canton, ma una cosa la so: il significato del termine obsoleto e senza senso di "sinologo". Evvai! Evviva il sindacato libero di "sinologi" italiani venduti al mercato globale! Viva!
11 Comments:
Ciao Daniele,
mi sono appena imbattuto nel tuo blog, complimenti.
Penso che questo post sia molto veritiero, ci hai azzeccato molto.
Spero di vederti a Pechino, io ci sono da Giugno,ciao!
Luca
molto intiresno, grazie
imparato molto
necessita di verificare:)
good start
necessita di verificare:)
ciao mi chiamo Giuseppe e sto prendere il diploma, mi piacerebbe studiare lingue orientali a Venezia però leggendo il tuo blog mi sono come dire spaventato... tu mi sconsiglieresti di studiare lingue orientali???
Ciao Daniele! Mi sto per diplomare in un liceo classico di Roma e avevo intenzione di informarmi riguardo alla facoltà di studi orientali alla Sapienza, ma il quadro che mi dipingi non è il più idilliaco senza dubbio!
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Hello. And Bye. Thank you very much.
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