Finalmente qualche paranoia...
Va forte da troppo tempo il tema del precariato, legge Biagi, contratti co.co.co e co.co.pro. Stiamo parlando di lavoro. Ieri decido di scaricare dal blog di Beppe Grillo la versione pdf del libro "Schiavi moderni". E sì che sale la paranoia. E' una raccolta di lettere scritte da italiani di età compresa fra i 20 e i 40 anni dove parlano della loro situazione lavorativa e denunciano le amenità del precariato. Quando 4-5 anni fa sotto il regime di Berlusconi Cofferati portò un milione di operai al Circo Massimo e Giordano gridava "Giù le mani dal lavoro!" e Bertinotti continuava "Siamo tutti disoccupati, siamo tutti terroni, siamo tutti clandestini, siamo tutti froci e siamo tutte lesbiche" e io stavo nel mare di bandiere rosse con una mezza bottiglia di lambrusco in mano pronto prontissimo per la rivoluzione, mi chiedo oggi, quei bei signori che oggi han tutti la poltrona e la giacca nuova, del precariato e del diritto e dignità del lavoro si sono scordati così in fretta da dire "Beh, questione di tempo e qualche ritocchino alla Biagi la faremo"!?!?. Fanno schifo. Tutti. Han ridotto il lavoro un bene di lusso e i lavoratori merce. Il lavoro. A 25 anni compiuti al lavoro dovevi già aver cominciato a pensare. E se non l' hai fatto è bene che cominci a farlo.
Quando mi chiedono che lavoro voglio fare da grande rispondo ancora come un beota: il barbone a New York, il vagabondo, la borsa di studio e così via. Ultimamente sto leggendo un libro sulla vita di Durruti e la storia dell'anarchismo spagnolo, mi sta venendo voglia di fare il rivoluzionario di professione. Ma cazzate a parte io nel mio intimo ci penso a che minchia mi metterò a fare da grande. E soprattutto come. A leggere del mondo del lavoro dei giovani italiani d'oggi viene da mettersi a piangere. Per fortuna non ho mai preso in considerazione l'ipotesi di lavorare in Italia...
Pensavo al giornalista, al free lancer, male che vada il professore di lingua o di materie umanistiche, magari il ricercatore in qualche osservatorio sociale che si occupi di Cina, forse il volontario in Africa, non escludo l'eremita. Mi cago addosso solo a pensare al lavoro, figuriamoci al matrimonio. So che fino a luglio sarò qui in Cina a studiare e vivere praticamente gratis, e se continuo come negli ultimi giorni (lavori a manetta, comparsa per film e pubblicità, ma si aprono anche altri orizzonti part-time sembra) riesco anche a mettere qualcosa da parte. Nei prossimi 3-4 mesi devo decidere cosa fare, sono già alla ricerca di nuove borse di studio o opportunità di studio (non credo di essermi ancora stancato) o magari mi butto sul servizio civile internazionale.
Quando mi chiedono che lavoro voglio fare da grande rispondo ancora come un beota: il barbone a New York, il vagabondo, la borsa di studio e così via. Ultimamente sto leggendo un libro sulla vita di Durruti e la storia dell'anarchismo spagnolo, mi sta venendo voglia di fare il rivoluzionario di professione. Ma cazzate a parte io nel mio intimo ci penso a che minchia mi metterò a fare da grande. E soprattutto come. A leggere del mondo del lavoro dei giovani italiani d'oggi viene da mettersi a piangere. Per fortuna non ho mai preso in considerazione l'ipotesi di lavorare in Italia...
Pensavo al giornalista, al free lancer, male che vada il professore di lingua o di materie umanistiche, magari il ricercatore in qualche osservatorio sociale che si occupi di Cina, forse il volontario in Africa, non escludo l'eremita. Mi cago addosso solo a pensare al lavoro, figuriamoci al matrimonio. So che fino a luglio sarò qui in Cina a studiare e vivere praticamente gratis, e se continuo come negli ultimi giorni (lavori a manetta, comparsa per film e pubblicità, ma si aprono anche altri orizzonti part-time sembra) riesco anche a mettere qualcosa da parte. Nei prossimi 3-4 mesi devo decidere cosa fare, sono già alla ricerca di nuove borse di studio o opportunità di studio (non credo di essermi ancora stancato) o magari mi butto sul servizio civile internazionale.
Il timore è quello di cui discutevo qualche anno fa con uno studente di antropologia: vedeva già noi aspiranti sinologi laureati e masteriazzati in cinese come futuri miseri burocrati e mediocri topi d'ufficio del commercio internazionale in Cina, vale a dire, con un lessico meno post marxista, interpreti e sguatteri di uomini d'affari e compagnie varie che vengono in Cina perchè la vita costa ancora molto meno e qua si fanno ancora buoni affari. Esattamente l'ultimo dei motivi per il quale io ho scelto di studiare cultura cinese. E comunque secondo me il collega antropologo sbaglia, perchè la pacchia dei prodotti a basso costo non durerà ancora per molto e tuttosommato sembrano aprirsi altre strade in ambito professionale per sinologi masterizzati, quali nel campo artistico e nella ricerca.
Non ha paura. Male che vada fino a quarant'anni continuo a fare la comparsa nei film (non immaginate quanti tizi conosca che in Cina tirano avanti così). E poi credo mi piacerebbe vivere in America Latina, spero negli anni a venire aprano molte nuove facoltà di lingua cinese dalla Patagonia a Cuba e spero soprattutto la domanda di insegnanti di cinese si impenni a breve. Fratello / sorella sinologo / a, non disperare! Non siamo schiavi moderni! Non ancora almeno.
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