Fonte e Foto: La Stampa Online
PECHINO
Era una delle istituzioni prova della tirannia, della crudeltà e della iniquità del sistema, e il governo lo sa. Per questo ieri l’annuncio della riforma del «laojiao», l’educazione attraverso il lavoro, in pratica i lavori forzati fino a quattro anni assegnati attraverso pratiche amministrative, senza passare da un tribunale o da un giudice, era un titolo a tutta pagina sul quotidiano ufficiale in inglese «China Daily».Il «laojiao» non sarà abolito del tutto, ma la prossima sessione plenaria del parlamento cinese che si aprirà a Pechino il 5 marzo ha in programma una profonda revisione della legge che lo regola. La «condanna» ai campi di lavoro non potrà superare i 18 mesi, e cambierà il profilo stesso di questi penitenziari: non ci saranno più sbarre alla finestre o reticolati di filo spinato a marcare il perimetro esterno. Saranno molto più degli istituti correzionali, marcatamente diversi dalle prigioni, mentre ora non c’è in pratica alcuna differenza. Il giornale afferma che la riforma è un passo avanti per una maggiore garanzia dei diritti umani in Cina.In effetti la legge era in preparazione da anni ma, insieme a quella che limita l’uso della pena di morte ed è stata approvata alla fine dell’anno scorso, trovava enorme opposizione tra gli alti quadri del partito. L’idea semplice degli oppositori della riforma è che ci vogliono strumenti duri per arginare la criminalità di ogni tipo. I 400mila detenuti nei «laojiao» erano speculari e paralleli nella forma e nella sostanza ai circa 4mila cinesi condannati a morte ogni anno per motivi più vari, dall’omicidio alla rapina senza spargimento di sangue.Alla testa del gruppo di giuristi che hanno lavorato alla riforma delle due leggi ci sono per una volta alcuni professori ed esperti in diritto italiano. Hanno tradotto Cesare Beccarla già negli anni ’80 e quel volume è servito ad abolire l’uso della tortura nelle carceri cinesi. Questi giuristi negli ultimi anni hanno spiegato pazientemente ai governanti che non c’è nessuna prova scientifica sulla bontà della pena di morte per limitare i crimini gravi. Anzi, è vero il contrario: un uso troppo «generoso» della pena capitale incoraggia il criminale alla colpa più pesante. Se rapina e omicidio portano comunque davanti al plotone di esecuzione allora tanto vale uccidere il testimone, tutela meglio la sicurezza del criminale. La nuova legge sulla pena di morte, che passerà anch’essa nel pacchetto della prossima sessione del parlamento, impone il ricorso alla Corte Suprema per tutte le condanne capitali, cosa che di fatto limiterà enormemente queste sentenze. I giornali spiegano che i condannati al «laojiao» erano accusati di piccoli furti, prostituzione, uso di stupefacenti. Ma la categoria era in realtà molto più vasta. Il «laojiao» è diverso ed ha un sapore più politico. Garantisce un potere indiscriminato alla polizia, oltre il sistema dei tribunali, per cui piccoli dissidenti politici o anche persone semplicemente antipatiche al capo locale, finivano senza complimenti in un campo di lavoro.In qualche modo la nuova legge limita l’arbitrio assoluto delle forze dell’ordine e demolisce il principio che in realtà esisteva dalla fondazione della Repubblica Popolare, in cui i campi e le prigioni erano due nomi per la stessa cosa. Ora il «laojiao» vieie riportato nell’orbita del sistema giuridico: agli accusati che rischiano di di finire in un campo viene accordato il diritto a un avvocato difensore. Sembra un nuovo inizio per la Cina, di certo lo è nella retorica. Gli esperti spiegano come il «laojiao» sia anticostituzionale. Insomma, la Cina vuole essere oltre che più umana anche più Stato di diritto, e questo è un segnale politico che indirizza verso una maggiore democratizzazione
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