Crisi esistenzial-professionali: l'orientamento in uscita.
Vorrei condividere qui con i lettori e le lettrici interessati/e al mondo della scuola, una personalissima riflessione sviluppata negli ultimi anni in tema di orientamento in uscita. Osservando le attività e gli incontri proposti ai nostri alunni e alunne del triennio (liceo linguistico) in materia appunto di orientamento universitario, noto purtroppo poca sostanza e grande confusione (o addirittura dis-orientamento). Nelle università, infatti, il personale addetto all’orientamento è composto spesso da docenti disciplinari che poco conoscono il mondo post-universitario o, più raramente, da psicologi o esperti del mercato del lavoro che si limitano a dire che tra 10-15 anni le professioni saranno molto diverse da quelle di oggi, molte scompariranno, altre non le hanno ancora inventate.
Quindi qual è la formazione (professionale e non solo) che può garantire oggi una università in Italia? Quale l’offerta formativa? Come differenziarla? E come indirizzarla al lavoro del domani? L’accademia è solo un “diplomificio”? E quale il reale valore di un titolo universitario? Queste domande me lo pongo io, ma le deduco dagli interventi dei suddetti professori ed esperti, le leggo anche negli occhi dei miei alunni e alunne. Il mio terrore è che (anche da ex docente universitario) i nostri 19enni proseguano nel percorso universitario esattamente come hanno svolto il percorso liceale: vado a lezione, prendo appunti, leggo i manuali e vado a ripetere ad una persona anziana quello che lui/lei vuole sentirsi dire da me.
Mi sono confrontato con amici e amiche della mia età (30-40enni), professionisti con lauree e master, esperienze di formazione e vita all’estero, anni di professione alle spalle. Mi sono fatto l’idea che se oggi avessi un figlio di 18/19 anni prossimo all’Esame di Stato, non so se gli consiglierei di iscriversi ad una università. Forse gli direi di “prendersi un anno”, andare in giro per l’Italia o all’estero, spendere il proprio tempo viaggiando, facendo lavoretti qua e là, conoscere e incontrare persone tra le più disparate, fare qualunque tipo di esperienza umana, lavorativa, relazionale. E poi, eventualmente, scegliere un corso di laurea a cui iscriversi. Co-gestisco dal 2010 un’associazione che riceve ogni anno volontari europei e noto che, ad esempio dalla Germania, vengono tantissimi giovani che appunto si “prendono un anno” prima di capire che percorso formativo o universitario intraprendere.
Voi che ne pensate? Scusate per la lunghezza del post, grazie a chiunque per il confronto.
p.s. L'immagine è presa da questo articolo:
https://www.orizzontescuola.it/universita-immatricolazioni-in-calo-messa-lavorare-sui-giovani-e-dare-il-messaggio-di-quanto-sia-utile-la-laurea/
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