Wednesday, April 14, 2021

Cronache di un malato di SARS-CoV-2.


Giorno uno. L’unzione.
Galeotto fu il pranzo in famiglia. Il giovedì, per la precisione. Nella casa dove ho passato l’adolescenza. Il pomeriggio passato alle chiacchiere del telefono, passeggiando per un paio d’ore sul retro. Poi, inaspettata, la tegolata fra capo e collo: “Sono positiva”, ci dice mia madre. Serie indistinta di male parole e blasfemia profonda e transfrontaliera. Il panico. Il telefono cellulare. In casa siamo in cinque, da questo momento tutti e tutte in quarantena. Mal comune mezzo gaudio, e poi “almeno stiamo insieme”. Bene, ripartiamo allora da qui. La riscoperta dello stare assieme sotto lo stesso tetto. Reinventarsi spazi e abitudini. Calma. Calma un cazzo.


Giorno due. La logistica.
Lavoro a scuola, chiamo la scuola. Se lavorassi in miniera avrei chiamato la miniera. O forse no. In questi casi è fondamentale la solidarietà e la collaborazione di colleghe e colleghi. Tutto liscio, per ora. Dopo un paio d’ore di lezione mi arriva una telefonata dalla segreteria: “professore, non può insegnare”.  Cado dalla sedia. Come non posso fare lezione?! Non sono neanche malato (ufficialmente), ma solo formalmente in quarantena. E invece, purtroppo, di fatto sei formalmente in malattia. Quindi non puoi insegnare. Ringraziamo di vivere in un paese con un contratto di lavoro che garantisce un salario anche in malattia. Benissimo, grande fortuna, però… lasciare così ragazzi e ragazze prima delle vacanze pasquali mi dispiace. Cioè, non mi va, non va bene. Fisicamente sto ancora bene, nessun sintomo.

Giorno tre. Prime soluzioni.
Grazie a colleghi e colleghe, riesco almeno a salutare e lasciare indicazioni di lavoro alle mie alunne e alunni. Il problema principale non riguarda però il lavoro, ma la situazione familiare e mia nonna non autonoma dalla quale non possiamo dirigerci perché, in famiglia, tutti e tutte in quarantena. Anche qui, per fortuna, un lungo giro di telefonate per trovare un provvisorio rimedio. Per il resto, ancora nessun sintomo.

Giorno quattro. Domenica.
Fortunatamente mamma non sembra avere sintomi gravi, solo fiacca e debolezza. Il medico al telefono e qualche medicinale per non stare troppo male. Passo la giornata a prendere a pallonate il portone del garage, come facevo da piccolo, e ascoltare musica. Ultima giornata in assenza di sintomi.

Giorno cinque. Arriva la cavalleria.
Mi sveglio con sintomi di febbre, debolezza e mal di schiena. Nel pomeriggio chiamo il dottore e gli spiego la situazione. Consiglia riposo e ibuprofene. Paracetamolo? No. Antiobiotici? Per ora no. Va bene. Ibuprofene?! Un FANS. Che cazzo è un FANS? È la sigla per farmaci anti-infiammatori non steroidei, insomma medicinali che tolgono dolore e febbre. Tipo quelle bustine che si sparano la mattina presto le mie alunne quando hanno il ciclo. Supermercati e farmacie funzionano a domicilio anche in prossimità della Pasqua cristiana. Mi arriva il pacco di ibuprofene. Va sciolto in acqua, uno ogni otto ore, non più di tre al giorno. Sa di arancio. Ci mette un po’ a fare effetto, farmi sudare e abbassare la temperatura. Ricevo una telefonata dall’azienda sanitaria locale. Mi aspettano domani mattina per fare il tampone direttamente in auto all’ex manicomio.

Giorno sei. Il tampone drive-in.
Mi sveglio ancora febbricitante, mal di ossa, spossatezza, malessere. Prendo il giubbetto, ci butto dentro la tessera sanitaria, infilo le scarpe ed esco in pigiama, in auto all’ex manicomio. Il pigiama fa nichilista. Malessere e nichilismo. Breve fila di macchine, due tendoni bianchi con personale medico conciato come nei film di fantascienza degli anni ’80. “Come si chiama? Quando è nato?”, mi chiede la signorina bardata a guerra. Mi rilascia un foglio e qualche informazione, poi mi infila il tampone in gola e nel naso. “Bene, può andare. Buona giornata”. Buona giornata a lei, signorina.

Giorno sette. Il momento del giudizio.
Nella vita ho fatto un sacco di esami. Il mestiere che faccio prevede di far fare esami. Insomma, gli esami sono il mio pane quotidiano (e quello un po’ di tutti e tutte). Di solito li passo. Altre volte no. Anche stamattina mi alzo stanco e spossato, con febbre, malessere e perdita totale di gusto e odore. Non è strano: quando sono raffreddato o influenzato (non così raramente, dopotutto) gusto e odore sono i primi ad andarsene. Entro nel sistema on-line dell’agenzia sanitaria regionale. “Positivo”. Va be’, dai, si sapeva. E giù bestemmie. A volte vorrei avere un dio solo per bestemmiarlo. Per comunicargli tutto il mio odio e la mia avversione. Niente. Mai una gioia.

Giorno otto. Male sul serio.
Mi sveglio con una voglia matta di andare a fare denuncia contro ignoti. Devono avermi picchiato questa notte, in tre, forse quattro, con bastoni e altri corpi contundenti. Bastardi. Purtroppo non ricordo nulla. Mi fa anche malissimo la testa, forse ho bevuto troppo. Ah, no… Cazzo. Il covid. Ho il covid. Malessere che raggiunge l’apice, con un mal di testa fortissimo. Continuo a drogarmi di FANS, ma nulla possono contro il mal di testa. Fuori scorrono giornate bellissime, dovrei essere in vacanza a godermi questo bellissimo inizio di primavera. Invece sono storditissimo buttato su un letto come dopo un pestaggio della polizia a suon di manganellate. Soffro d’asma. Da quando sono piccolo. Se il covid mi prende i polmoni è finita. Poteva finire peggio, poteva finire meglio. Finirà, credo, con la  sindrome respiratoria acuta grave.

Giorno nove. Sempre peggio.
Mi sveglio ancora con febbre e una trave nella tempia destra. Non riesco a fare nulla che non sia dormire, stare steso a letto a guardare filmati su Youtube o cazzeggiare al cellulare. Frustrante. Per fortuna, nonostante la perdita di odori e sapori, non ho perso l’appetito e il senso dell’umorismo. Me ne sto chiuso in camera ed esco solo per usare il bagno, sperando di non attaccare il virus agli altri inquilini della casa, che per ora restano asintomatici.

Giorno dieci. Non saper più cosa fare.
Ho praticamente tutti i sintomi influenzali. Nulla di particolarmente grave, non fosse per quella sensazione costante di ossa rotte e quel fastidiosissimo dolore persistente alla tempia destra. Non so più cosa fare, per disperazione provo anche a buttar giù una pasticca di paracetamolo, nella speranza che tolga il mal di testa. Sudore, temperatura che scende, il dolore si allevia ma non si placa.

Giorno undici. La santa Pasqua.
Mi sveglio incredibilmente in forma. Non ho più mal di testa né febbre. Stamattina la colazione non è con gli anti-infiammatori FANS ma con cioccolata fondente e colomba pasquale. Quanto è bello non star male. Passo la giornata al telefono con amici, amiche e conoscenti. Passo la giornata al computer. Il peggio sembra esser passato. Ho un piccolo principio di broncopolmonite, ma non mi posso proprio lamentare.


Giorno dodici. Bello star bene.
Fuori cè il sole e laria fresca, mi sveglio senza dolori né febbre. Firmerei a sangue. Il peggio sembra davvero passato. E adesso? E adesso attesa. Prigioniero nella camera del me adolescente, come gli scorsi undici giorni e almeno fino al 13 aprile, giorno del prossimo tampone. Ancora otto giorni di formale malattia. Tifiamo negativo. 


Giorno venti. Speranza.
Le giornate sono scorse via senza grandi segnalazioni. Sto bene, non ho più fastidi o sintomi influenzali, solo un po’ di catarro nei polmoni. Tornati sapori e odori. L’appetito non se n’è mai andato. Che strano e che brutto buttare l’immondizia in un unico grande sacco nero. Mia madre sta meglio di me, gli altri e le altre fortunatamente sono negativi/e al virus. Come passare il tempo tra le quattro mura della camera? Beh, dopo quasi 14 mesi di limitazioni da pandemia, non so più cosa inventarmi... letture, film, musica, quattro chiacchiere con i familiari, riflessioni sulla vita... Queste quattro mura cariche di foto, lettere e poster sono un bombardamento costante di ricordi e spunti per fare l’ennesimo punto della situazione. La radio e i podcast, grandissima compagnia. Le telefonate con la P., le chiamate e le visite dal balcone di qualche amico e amica. Il lallare della mia nipotina come colonna sonora della quarantena. Domani ho il tampone a 14 giorni dalla positività. Ci spero.  


Giorno ventidue. Ho finito le imprecazioni.
Ieri mattina sono andato in auto a fare il tampone nella zona drive-in di Macerata. Stasera ho ricevuto il responso: “Positivo”. Cazzo. Ci speravo. Mi ero impegnato, avevo studiato. Bocciato anche stavolta. Un’altra settimana di arresti domiciliari. Un’altra settimana lontano dalla scuola, dalle mie lezioni, dai miei ragazzi e dalle mie ragazze. Magari qualcuno sarà contento. Ci sta. A me, però, dispiace tantissimo. 


Mi consolo pensando a chi sta peggio. Stringo i denti. Ci vediamo fra una settimana. Spero.
“Positiva al Covid a Rebibbia, è in isolamento da giorni e si lava con una bacinella. La storia di Giuseppina deve far riflettere” 
https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/04/14/positiva-al-covid-a-rebibbia-e-in-isolamento-da-giorni-e-si-lava-con-una-bacinella-la-storia-di-giuseppina-deve-far-riflettere/6165334/


“Oggi cerco un’ora sola di furibonda anarchia e per quell'ora darei tutti i miei sogni, tutti i miei amori, tutta la mia vita” - Renzo Novatore

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