Strade di Persia: cronaca di un breve soggiorno in Iran (IV).
Camminate notturne per le vie di Yazd dunque, foto alle moschee illuminate di blu, foto nei bagni turchi e nelle saune aperte fino a tardi. Un signore del posto sulla sessantina e una panza da far invidia al Gabibbo ci invita a prendere un tè a casa sua. Qua è normale, lo fanno in tanti. Il giorno dopo una guida locale che conosce un po’ di inglese ha portato noi tre e un altro turista giapponese nella città di Meybod a visitare un artigiano, un mastro vasaio che tocca la creta come Dio l’uomo, come Michelangelo il David. E a vedere morire il sole dietro un’antica fortezza al tramonto. A scalare la montagna di Chah Chah, sacra al Zoroastrismo. E poi a Kharanagh, la città fantasma, il paese delle carote gialle dolci. No, non sono sotto l’effetto di allucinogeni. È solo l’Iran.
In serata un treno che aveva tutta l’aria di essere l’Orient Express ci porta a Kashan, dove il giorno dopo visiteremo giardini e fontane, e poi ancora verso Abyaneh, un villaggio colorato di rosso, abitato solo da anziane vedove. Al tramonto un pullman ci riporta a Teheran, attraverso la città di Qom, dove si formano i vertici del clero sciita.
Livelli troppo preoccupanti di inquinamento e scuole chiuse a Teheran e non solo. La sosta in doppia fila come a Macerata negli anni novanta. Sui motorini in tre, senza casco e contromano. Come mi immagino ancora oggi in alcune città dell’Italia meridionale.
Doveva fare un gran freddo. Invece il clima è stato dalla nostra parte. Anzi, abbiamo sofferto il caldo. Il caldo sparato a tutto da termosifoni e bocchettoni d’aria, nelle stanze d’hotel così come nei negozi, nei taxi, nei coffee shop, nei pullman, nei treni. Roba da star male ed esser costretti ad aprire la finestra di notte e stare a maniche corte. Come neanche gli irlandesi a Palermo in inverno. Succede quando il paese abbonda di petrolio e gas, e le bollette sono uno scherzo anche per le classi meno abbienti. Il silenzio. Il silenzio ci ha colpito. Anche la Cina ha un problema enorme di traffico e smog. Ma il traffico cinese è rumoroso come un concerto di GG Allin. Qui invece regna un silenzio religioso che non disprezzo. Anzi. Iran paese civilissimo, dove trovi sempre in giro bagni pubblici, puliti e gratuiti. E l’acqua. Per abbeverarti e per togliere polvere dal viso. Negli hotel, nei musei e in aeroporto trovi anche prese pubbliche per ricaricare cellulare o computer e sentirti meno lontano da casa, meno tagliato fuori dal resto del mondo. Nelle antiche città, perso nelle stradine tra case di terra e moschee, incontro anziani uomini che esclamano “Welcome!” e ti chiedono “Iran very good?”. Certo amico, l’Iran è very good. La musica di Kayhan Kalhor. L’arte di Manuchehr Sheybani. I film di Abbas Kiarostami. Non so se avete mai visto il suo “Il sapore della ciliegia”. Se non l’avete visto smettete di fare quello che state facendo e andate subito a procurarvi questo film.
Il nostro viaggio iraniano volge al termine. Al termine sembra giunta anche la rivoluzione. Rivoluzione che, riportano media internazionali, ha dato la morte ad almeno 21 persone. L’ultimo giorno a Teheran cazzeggiamo tra tè e chiacchierate per le grandi vie del centro metropolitano, tra università e bazar, tra coffee shop e musei. La sera a casa di amici di A. per due risate in compagnia, in attesa che un volo delle cinque del mattino ci spedisca a Kiev, unico scalo prima di rientrare in Italia. All’aeroporto di Teheran vedo per la prima volta in vita mia i controlli di sicurezza divisi tra uomini e donne, in due diversi corridoi.
Negli ultimi otto giorni ho visto posti incantevoli, retaggio di una Persia orientalizzata e di un passato che in qualche modo voglio sentire come “nostro”. Ho incontrato persone cortesi, disponibili e di grande dignità. Iran un paese assolutamente da visitare.
Da Teheran credo sia tutto: passo e chiudo.
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