Tuesday, January 09, 2018

Strade di Persia: cronaca di un breve soggiorno in Iran (III).


L’importanza del bazar, parola persiana che sta per “mercato”. Odore di spezie e mi sento subito e di nuovo per le bancarelle di Istanbul, Tunisi o Marrakech. Pensavo l’Iran fosse un grande consumatore di caffè, invece qui va per la maggiore il tè, bevuto nei tipici bicchierini con tonnellate di zucchero. Un po’ come in Turchia, ma con molto, molto più zucchero. Zucchero si dice nabat ed è la prima parola che ho imparato. Quando ordini un tè o un caffè ti portano anche ciotole di grani di zucchero bianco o addirittura una specie di lecca lecca caramellato da sciogliere nella bevanda. Lo zucchero filato per grandi e piccini si chiama qualcosa come pashmeik. Non credo abbiano ancora scoperto il diabete in Iran. In compenso questo è il paese dove anche i bambini possono bere birra. Tanto è sempre e solo analcolica. Il caffè si beve nei coffee shop e lo servono sempre con un paio di cioccolatini, biscotti e zucchero abbondante.

Il cibo? Non male. Riso bianco, zafferano, pane fino cotto su pietra nel forno. Cetrioli, pomodori, peperoncino e sottaceti vari. Zuppe di carne e vegetali. Yogurt salato, panna e altri prodotti del latte. Il kebab, ovvero carne di capra servita con riso e verdure. Non avvolta nel panino, come fanno curdi e turchi. Cipolle, mandarini, basilico dolce. E gelato. Tanto gelato. Ovviamente non ci sono bar o pub in giro, ma la sera giovani e meno giovani si fermano nei locali a consumare gelati, succhi di frutta o tè.
Soffiarsi il naso rumorosamente in pubblico è, come in Cina, ritenuto di grande maleducazione. Ovviamente io non ho fatto altro per i primi tre o quattro giorni, finché qualcuno non me l’ha fatto notare. Andate a soffiarvi il naso a casa vostra. Aiutiamoli a casa loro.

Mi han fatto anche notare che “Non siamo arabi né turchi, siamo iraniani. Non siamo musulmani, siamo musulmani sciiti”. Grazie. Chiaro. Tuttavia, mi chiedo, a che serve saperlo? A che serve dire Teheran, Kabul o Algeri? Per un italiano medio sono tutti uguali. Tutti musulmani, da Lampedusa a Islamabad. Uomini scuri e barbuti, che adorano Allah, si spostano in cammello, ingravidano più donne possibile e si fanno saltare in aria nelle stazioni di Gerusalemme e Parigi. Tutti uguali. Tutti ugualmente diversi, strani, cattivi. Se mai diventerò Ministro della Repubblica sostituirò la leva militare con 12 mesi di viaggio fuori dall’Europa per tutti i cittadini e le cittadine italiane che abbiamo compiuto il 18esimo anno di età. Obbligatori e a spese dello Stato. Non si accettano obiettori.   

In viaggio ho letto un libro sulla Via della seta. Ed è ripartita immediatamente la rota per l’Asia. La voglia di strade polverose, profumo di spezie, tappeti, steppe, deserti, scimmie, cammelli, uomini col turbante e donne bellissime. Il fascino dell’Oriente come storicamente idealizzato dall’uomo bianco occidentale. Proprio oggi che si parla tanto di Nuova Via della seta Made in China. Damasco, Baghdad, Samarcanda, Kashgar. Cominciate pure a costruire nuove vie della seta. Noi abbiamo già cominciato a percorrerle.

Sei ore di pullman ci portano da Esfahan a Yazd, città da mezzo milione di abitanti in casette di terra nel deserto. Tappa obbligatoria. Irresistibile romanticismo. Città cara allo zoroastrismo. Dove passò, secoli fa, un certo Marco Polo.
Arriva quindi il capodanno. Grandi feste, grandi cenoni, grandissime bevute, i fuochi d’artificio, il caos nelle strade a salutare l’anno appena passato e dare il benvenuto al nuovo. Noi invece quest’anno abbiamo passato un capodanno diverso e davvero alternativo. In una città iraniana nel deserto dove non si festeggia il capodanno cristiano e, soprattutto, non c’è carne di maiale né da strafogarsi di vino e spumante. Un capodanno sobrio ante litteram. Senza auguri. Senza brindisi. Come se fosse una serata come un’altra. Come se fosse una serata a Yazd. In compenso, però, ci siamo drogati di tè ultra zuccherato sul tetto di case di terra, la luna ad illuminare l’orizzonte nel buio stellato d’oriente. Discutendo del rapporto tra lavoro e capitale. Di movimento per l’occupazione delle case. Di soggetto politico antagonista. Per lo meno fin quando non sono salite sul tetto anche delle turiste austriache ad offrirci birra. Analcolica, si intende. A ricordare che è capodanno anche se non ti svegli con il mal di testa.

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