Wednesday, November 01, 2017

Il minuto di poesia

Dalle finestre si vedevano dattilografe.
Sotto, il vicolo, tanfo di scampi fritti,
qualche zaffata di nausea dal canale.
Bell’affare a Venezia
affacciarsi su quel paesaggio e lei
venuta da lontano. Lei che amava solo
Gesualdo Bach e Mozart e io l’orrido
repertorio operistico con qualche preferenza
per il peggiore. Poi a complicare le cose
l’orologio che segna le cinque e sono le quattro,
l’uscita intempestiva, San Marco, il Florian deserto,
la riva degli Schiavoni, la trattoria Paganelli
raccomandata da qualche avaro pittore toscano,
due camere neppure comunicanti e il giorno
dopo vederti tirar dritta senza
degnare di un’occhiata il mio Ranzoni.
Mi domandavo chi fosse nell’astrazione,
io lei o tutti e due, ma seguendo un binario
non parallelo, anzi inverso. E dire che avevamo
inventato mirabili fantasmi sulle rampe
che portano dall’Oltrarno al grande piazzale.
Ma ora lì tra piccioni,
fotografi ambulanti sotto un caldo bestiale,
col peso del catalogo della biennale
mai consultato e non facile da sbarazzarsene.
Torniamo col battello scavalcando becchime,
comprando keepsakes cartoline e occhiali scuri sulle bancarelle.
Era, mi pare, il ’34, troppo giovani o troppo strani
per una città che domanda turisti e amanti anziani.


Eugenio Montale - Due prose veneziane

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