Accade un anno fa. Secondo me il terremoto.
Un anno fa
tornavo a Macerata in macchina da un viaggio di qualche giorno tra Matera e
Taranto con quattro amici. Classiche giornate di svago, goliardia, strada,
sacchi a pelo, condivisione, ristoranti, bar, grasse mangiate e abbondanti
bevute. Non furono tuttavia giorni di spensieratezza. Eravamo infatti freschi
freschi di terremoto, e la nostra gita al Sud fu anche una piccola via di fuga.
A distanza di un anno il ricordo è ancora vivo e forte. E anche la paura, non lo nascondo. Mi capita spesso di svegliarmi nella notte pensando di sentire i muri tremare. Invece è stato solo un sussulto nel sonno. O di smettere improvvisamente di parlare in aula perché sento i vetri della finestra vibrare. Giusto il tempo di capire che è solo un camion che è passato. O, infine, di fissare il lampadario in cucina quando sento la credenza vibrare. Nessuna scossa, solo il vicino di casa che è rientrato sbattendo la porta.
Vi parlo della mia esperienza di terremoto.
Beh, innanzitutto ricordo quello del 1997. Avevo 15 anni, ero un ragazzino ribelle inconsciente e privo di amore per la scuola. Quando arrivò una delle scosse più forti ero in classe, il pavimento "ballava", la professoressa di latino ci urlò di infilarci sotto i banchi, io ero estasiato all'idea di uscire prima da scuola e scattai in piedi come un cretino con la braccia al cielo. Epicentro le zone di Foligno e Serravalle di Chienti, nei Sibillini, tra le province di Macerata e Perugia. Menarono le case dei montanari, diversi i danni ma giusto un paio di vittime tra gli anziani. Malori, non schiacciati sotto le macerie. A 15 anni ero stupido davvero.
Maggio 2008, terremoto del Sichuan (Cina sud-occidentale), 70.000 morti circa. Una catastrofe. Io avevo 26 anni e vivevo a Pechino, a quasi 2000 km dall'epicentro. Da noi il terremoto si avvertì solo in cima ai grattacieli, ma nei campus universitari si faceva a gara per donare vestiti, soldi, sangue. Organizzamo diverse veglie per ricordare le vittime.
Aprile 2009, terremoto nella provincia dell'Aquila, 300 morti. Ero ancora in Cina, ricordo che piansi quella sera e mi ubriacai di grappa cinese in un ostello nella provincia meridionale del Guizhou, dove ero in viaggio con alcuni compagni di studio.
24 agosto 2016, ero appena tornato da un viaggio nell'Est Europa e dormivo con mia madre a Macerata. Le violente scosse ci svegliarono in piena notte, giusto il tempo di capire cosa stava succedendo e di fuggire in strada in ciabatte. Ricordo che la luce era andata via e con essa anche la connessione ad internet. Passammo parte della nottata in auto, impauriti come poche altre volte prima di allora. Il giorno dopo leggemmo delle 300 vittime tra Lazio e Abruzzo, non così distante dalla nostra provincia.
26 ottobre 2016, ore 18 circa. Ero a lavoro nella sede dell'Istituto Confucio di Macerata, in una villa settecentesca non lontana dal centro storico della città. Per la precisione, la mia lezione doveva ancora iniziare ed ero fuori a fumare una sigaretta. Avvertii la prima scossa, non mi sembrò nulla di eclatante e rientrai nell'edificio a sincerarmi che tutti stessero bene. Era il primo giorno di lezione, c'erano pochi studenti e un paio di docenti cinese, oltre a me. Ci si chiedeva cosa fare. Rimasi in ufficio, rispondendo a delle chiamate e a guardare le news in rete. Si decise di restare anche per la seconda lezione.
Una mezz'oretta dopo arrivò "la botta", quella che non lascia spazio a speranze. Mai sentito vibrare il pavimento in quel modo, mai visto i muri ciondolare così o i calcinacci venir giù come coriandoli a carnevale. In aula, al secondo piano, per fortuna avevo solo uno studente. Esco dalla stanza solo per rendermi conto di non riuscire a star bene in piedi, sensazioni difficili da discrivere. Valuto l'idea di buttarmi giù dalla finestra alla mia sinistra. Penso sia finita, penso sarebbe potuta finire peggio. La scossa dura qualche secondo, secondi che sembrano secoli. Appena i muri smettono di ballare, mi guardo attorno e grido "Usciamo tutti!", giusto in tempo per rendermi conto che in realtà ero l'unico coglione ancora nell'edificio. Mi fiondo giù per le scale (sbagliato, in casi di terremoto) e poi fuori dal portone principale. Mi ritrovo con altre 10-15 persone nel giardino antistante la villa. Siamo tutti shockati, interdetti sul da farsi. Piove. Le linee telefoniche a puttane. Qualcuno va nel panico, inizia a piangere, gridare, muoversi senza senso alcuno. Ci sta. Qualcuno, cellulare alla mano, dice che l'epicentro è a Roma. "Addio!", penso. Invece poco dopo veniamo a sapere che questa volta è toccato alla terra marchigiana. Camerino (MC) una delle città dell'entroterra più colpite. Torno a casa in scooter sotto la pioggia, luce gialla e traffico in tilt. Accendo il camino, tiro fuori due castagne e verso del vino ai coinquilini stranieri impauriti. Esco a fumare, incredulo, a quanto accaduto mezz'ora prima.
È passato un anno. Non entro nel merito del cosa è stato fatto, cosa non è stato fatto, cosa si poteva fare meglio. Ricordo che, specie nei primi mesi, sono state giornate dure per tutti, grande confusione e gran da farsi.
Chiudo ricopiando qui sotto una cosa scritta una
mattinata dopo il sisma dell'ottobre 2016:
"Ho sognato il
terremoto e ho sognato di morire. Ti svegli sudato e impaurito, provi a dormire
di nuovo. Stavolta arriva il terremoto, quello vero. Il corpo che trema come la
stanza che hai intorno. Si chiama scossa proprio perché, di fatto, scuote. Ti
rovesci dal letto temendo che sia finita qui. Quando finisce hai finalmente
paura di tornare a sognare.
Buongiorno."
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