Monday, April 04, 2016

Appunti pechinesi: parte prima.



20 marzo 2016. Macerata-Pechino: partenza.
Dalla foce del Chienti intravedo la neve sui Sibillini e a ogni fermata del pullman salire uomini e donne che in una parola definirei: cinesi. Han, per la precisione. Distinti, sommi, carichi di pacchi. Probabilmente vanno come me a Fiuicimino a prendere l’aereo di stasera per Pechino. Diciamo che mi piace pensarla così. Ah, gli hanren! Eccoli lì, gli hanren… Che grandi! Che stile! Adesso va di moda sui social cinesi vedere ragazze fotografarsi mostrando il giro vita più stretto di un foglio A4. Quello degli uomini han lo è sempre stato. Ah, gli uomini han! Senza sigaretta in bocca non si alzerebbero dal letto la mattina.

Il pullman muove silenzioso verso la capitale e da lì verso l’aeroporto. “Asì, asì, asì es la vida” continua a ripetere l’auricolare, una canzone punk spagnola che con questo odore di primavera provoca nostalgia dei miei ex coinquilini iberici.

Ore dopo atterro a Pechino. Ho dormito poco, letto e visto film per lo più. Non faccio in tempo a raggiungere il controllo passaporti che riconosco subito questa maestosa signora rossa che noi stranieri chiamiamo ancora: Cina. La grandezza, le dimensioni, i numeri. Anche e soprattutto all’aeroporto. Noto con piacere che il China Daily è ancora un giornale moderatamente interessante. Nonostante tutto qui ancora sputano a terra, qui ancora non sanno fare la fila. Vai sereno, caro romantico amico sinologo: è ancora tutto più o meno come un tempo. Meno male. Meno male. Ah no, i prezzi sono lievitati, un buon 30-40% in più rispetto ai tempi in cui scorrazzavo per Pechino mosso da irrazionale amore e frenesia di scoperta. Per fortuna alcool e sigarette hanno ancora un prezzo risibile per un europeo: sull’importanza del comunismo e dell’economia pianificata.

Di Pechino non riconosco o non ricordavo:

- la polvere. Da cinque anni vivo tra Cork e Macerata. In queste città, tra loro così diverse, c’è un aspetto comune: il colore. Il verde irlandese, la campagna maceratese. Colore vivo, piacevole, gustarsi un quadro, sedere e fissare. Pechino è invece opaca. Anche a primavera, anche col bel tempo, anche senza inquinamento. È la polvere: la porta il vento e la prende dal deserto kitano. Ogni panchina, bicicletta, tavolo da ping pong, marciapiede, aiuola, tetto… tutto ha quei quattro cinque millimetri di polvere sopra. Forse meglio così: la polvere conserva; conserva e mantiene. Pechino docet. Quel "北京的破砖烂瓦" di cui scriveva Shi Kang;

- i turisti cinesi. Di turisti cinesi ne ho visti tanti a Roma, Firenze, Parigi, Bangkok. A Pechino ne avevo visti alcuni a Piazza Tian’anmen. Ora la città è invasa un po’ ovunque da turisti cinesi. Stesso turismo di massa che trovi anche nel resto del mondo. Bandierina e cappellino, selfie e confusione, negozietti e ristorantini, marketing del turista cinese. Di come il turismo cinese in Cina modifichi il paesaggio urbano cinese. Sulle proposte di tesi di laurea specialistica.

Poi forse non tutti lo sanno ma i pechinesi non parlano: abbaiano. Ore undici di mattina a spasso per gli hutong, fuori da un ristorantino senza pretese due pechinesi seduti a un piccolo tavolo, spaghetti focacce due bottiglie di grappa, se incroci il loro sguardo ti invitano a sedere con loro e per te sarebbe la fine: ti alzeresti ore dopo con una mina da spaventare Boris Eltsin. Un brindisi al compagno Zhou Enlai che se fosse vivo il primo proiettile sarebbe per i fondamentalisti dello Stato islamico, il secondo per i nazisti in Ucraina, il terzo per il parrucchino repubblicano. Al compagno aviatore Chen Huaimin e alla resistenza contro il nazifascismo giapponese. Alla compagna professoressa Z. perché insegnare non è solo un lavoro.

1 Comments:

At 8:12 PM, Anonymous Anonymous said...

è sempre bello leggere quello che scrivi..... miss yu

 

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