Diario di un prof: classe, genere, etnia
Siamo vicini alla
fine del trimestre, comincio a tirare le somme e spingere le sottrazioni.
Tra i corsi che più
mi piace tenere c’è sempre quello di “classe, genere ed etnia nella Cina
contemporanea”. Un vero spasso, perché ha molto a che vedere col mio lavoro per
la tesi di dottorato e inoltre coinvolge gli studenti (quelli dell’ultimo anno)
in tematiche a loro in qualche modo vicine.
Parto con una introduzione
teorica generale (teoria di genere, sex studies, Marx, Weber, stratificazione
sociale in Cina, ecc…) per poi andare a toccare la polpa del corso (ruolo delle
donne, industria del sesso, migrazione, nuova classe media, ecc…) e infine
concludo provando a collegare le tre aree della classe, del genere e della
provenienza etnica.
E allora dico, ad
esempio, che alla Foxconn di Dongguan i prodotti Apple li assemblano giovani
cinesi che vengono dalle zone interne e rurali ma li comprano i figli dei
ricchi a Londra, Mosca e New York. A dieci volte il costo mensile del lavoro
usato per produrlo.
O che le operatrici del sesso negli alberghi di Chongqing
sono quasi sempre giovani donne che vengono dalle campagne e che hanno un
prezzo diverso anche in base al gruppo etnico di provenienza (han, mongole,
uigure, tibetane, russe, malesi, ecc…).
Ok, ma Dongguan e
Chongqing stanno in Cina e la Cina è lontana. Serve un esempio più semplice,
più vicino, più concreto. Ecco: andate nei locali dell’università, nelle aule,
in biblioteca, a mensa, nei bagni e chiedetevi come mai gli addetti ai lavori di pulizia o
sono africani o sono donne e parlano polacco...
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