Sunday, June 20, 2010

Incubo relazioni di potere

La fascia di età che va tra i venticinque e i trentacinque anni è per molti aspetti una delle più piacevoli della vita. In primis, dal punto di vista professionale.
Anche e soprattutto grazie al fatto che vivo a Pechino e che porto avanti un dottorato in un’università cinese, negli ultimi due tre anni ho conosciuto una quantità pazzesca di giovani sui trent’anni da svariati paesi con progetti, lavori e passioni davvero interessanti. Credo sia l’età dell’attivismo: hai finito di studiare e ti attivi per “crearti” un mestiere che ti piaccia e che sia in linea con i tuoi hobby e i tuoi valori.

È l’età per creare organizzazioni, circoli politici, società letterarie, progetti di cooperazione e sviluppo, NGO, agenzie stampa, case editrici e via dicendo. E poi inventarsi un modo per finanziare e autofinanziare il tutto. Nonostante le mille difficoltà e frustrazioni, il tutto è estremamente dinamico e appassionante: impari molto e vedi messi a frutto anni di studio ed esperienze in qualcosa che è anche e soprattutto tuo, perché sei tu (con gli altri) ad aver ideato e realizzato il progetto. Indipendentemente da se e quanto il progetto in questione duri.

Ma in questo clima idillico e di inutili trionfalismi, noto purtroppo direttamente con la mia esperienza quel qualcosa che stona tutto il resto: il crearsi (naturalmente, ma non troppo) tutta una serie di gerarchie e relazioni di potere che rovinano il progetto. O semplicemente lo trasforma in qualcosaltro di simile a tutte le S.p.a., S.r.l e compagnie con fini di lucro che circondano le nostre vite.

È bello trovarsi tra giovani e amici da paesi diversi e con esperienze diverse, identificarsi in determinate idee e cercare di costruire insieme, in un’atmosfera di egualitarismo idealista e sciolti da ottiche di profitto, progetti mirati a rendere il mondo un po’ meglio di come l’abbiamo trovato. Che sia in campo economico, dell’informazione, del sapere. Si parte con grande entusiasmo, il classico entusiasmo che i giovani con voglia di fare hanno. E si inizia a lavorare. Ognuno secondo possibilità e capacità. E a volte i frutti (magari prima insperati) vengono fuori sul serio. È a questo punto però che quel tanto desiderato egualitarismo, rispetto, riconoscenza e relazioni personali che c’erano prima vanno un po’ a farsi fottere e per diversi motivi, quali il lato economico, le conoscenze (i “guanxi”. Che in Cina credo di aver capito siano davvero TUTTO), il titolo di studio, le competenze linguistiche o (incredibile ma vero) il genere e la “razza”, si creano e strutturano relazioni di potere e gerarchie.
Non siamo tutti uguali, per questo l’egualitarismo e l’assenza di strutture gerarchiche sono una sorta di goal, un fine che il gruppo dovrebbe avere. Se non c’è questa volontà (o questa coscienza) o se si perde per strada, i singoli nel gruppo perdono quel rapporto di reciproco rispetto ed egualitarismo che c’era prima. E allora si diventa come una qualsiasi Società per Azioni, si diventa come un qualsiasi ufficio dove c’è un dirigente che comanda e dei servi che obbediscono.

Purtroppo questo succede spesso. Per non dire sempre.

“Ci saranno un sacco di personalità. Vuoi che ti presenti qualcuno?” mi fa a bassa voce.
“Sì. Il barista. E vediamo se mi allunga qualche birra gratis”.

Un po’ come quel Diogene cinico che alla domanda di Alessandro Magno “posso fare qualcosa per te?” rispose “Sì, togliti dalle balle che mi copri il sole”. O alla tipa che gli diceva “Se imparassi a servire un re non saresti costretto a mangiare lenticchie!” rispose “Se tu imparassi a mangiare lenticchie non saresti costretta a servire un re!”.

Mi chiedo come mai se fino a pochi anni fa gridavamo “né servi né padroni” oggi siam tutti diventati servi e padroni. Forse sono io che mi ostino a non crescere. O forse è la giovinezza ad essere un piacevole carnevale della vita, un’anticamera del sistema comanda e obbedisci. Parafrasando Tom Waits, “when I see your power relations I don’t wanna grow up”.

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